Un giudice a MilanoIl governo non sottovaluti l’importanza strategica di avere in Italia una delle tre sedi del Tribunale Unificato dei Brevetti

Come spiega a Linkiesta l’avvocato Iuri Maria Prado, il nostro Paese non deve farsi sfuggire ancora una volta la titolarità di un importante organismo internazionale. L’esecutivo guidato da Giorgia Meloni deve impegnarsi per non sprecare il grande lavoro diplomatico fatto da Mario Draghi in questi mesi

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Il nome (Tribunale Unificato dei Brevetti) potrebbe far sembrare questa vicenda fredda, tecnica e poco rilevante. E invece è una questione che tocca un punto sensibile del sistema economico e produttivo dell’Italia. Ne parliamo con Iuri Maria Prado, presidente della Camera Avvocati Industrialisti, impegnato da anni tramite pubblicazioni scientifiche e giornalistiche, convegni e audizioni parlamentari, nello sforzo di sensibilizzare gli operatori economici e le istituzioni a proposito di questo argomento.

Perché è importante avere un Tribunale Unificato dei Brevetti? 
Perché Il sistema brevettuale è l’ossatura immateriale che regge lo sviluppo tecnologico, promuovendolo e incentivandolo. Rende appetibile e proficua la ricerca scientifica, richiama investimenti, stimola l’invenzione di soluzioni nuove. La cultura e la pratica brevettuale hanno una importanza fondamentale nei sistemi economicamente e tecnologicamente più avanzati. E una parte essenziale del sistema brevettuale è ovviamente costituita dalla gestione delle controversie, e dunque dall’apparato giurisdizionale che lo governa.

Quali sono i suoi compiti e perché si aggiunge “unificato” alla denominazione di questo tribunale?
Il Tribunale Unificato dei Brevetti (TUB) è stato istituito con un accordo internazionale. È l’altra metà del cosiddetto patent package, vale a dire un sistema che istituisce una tutela brevettuale europea con effetto unitario e, appunto, un Tribunale unificato incaricato di decidere sulle controversie in materia. Per capirsi: un brevetto europeo in vigore direttamente in tutti gli Stati membri, e un giudice “centrale” che se ne occupa.

E dove è la sede di questo Tribunale?
È proprio questo è il punto. Era previsto che il Tribunale avesse tre “bracci”, uno a Parigi, uno a Monaco di Baviera e un altro a Londra, ma con l’uscita del Regno Unito dalla Unione europea la sede londinese è fuori gioco. E proprio l’Italia, con Milano, avrebbe dovuto e dovrebbe dunque prendere il posto di Londra. L’accordo internazionale prevedeva infatti che le sezioni della divisione centrale dovessero andare ai Paesi con il maggior numero di brevetti al momento dell’accordo, e l’Italia era il primo dopo il Regno Unito.

E invece?
Il governo Draghi stava muovendosi in questo senso, rivendicando il buon titolo dell’Italia a ospitare la sezione della divisione centrale divenuta vacante. Il dossier, in mano al sottosegretario Benedetto Della Vedova, pareva a buon punto. Ma è evidente che con l’avvicendamento al governo occorre una rinnovata iniziativa di impegno, a livello diplomatico e, soprattutto, a livello politico. O si capisce che è importante (gli altri Paesi l’hanno capito benissimo), e ci si lavora presto e bene, o siamo a rischio.

Quando parla di rischio a cosa si riferisce?
Al rischio che anche questa volta l’Italia si faccia sfuggire la titolarità di un importante organismo internazionale. E, nello specifico, al rischio che l’Italia rimanga una provincia del mondo brevettuale e della concorrenza, anziché diventare una capitale, come le spetterebbe.

E come lo si scongiura, questo rischio?
Facendo informazione, spiegando le cose di cui ho parlato sinora, facendo in modo che la classe politica e di governo sia opportunamente informata e si sprovincializzi, comprendendo che la retorica del Made in Italy può andare bene se non si risolve nella promozione della mozzarella e del capocollo mentre il treno del Tribunale ci passa davanti e finisce in una stazione straniera. 

Insomma, tenere alta l’attenzione.
Esattamente. Qualcosa si è mosso, ma non basta. Qualche settimana fa se ne è occupato Ferruccio de Bortoli, sul Corriere della Sera, proprio sottolineando l’importanza della questione e la necessità che il nuovo governo se ne occupi con la dovuta energia e tempestività. Ma occorre fare di più, e che il governo sia chiaro nel far capire che non è una questione negoziabile, spetta all’Italia punto e basta, appunto come aveva indicato il precedente esecutivo. Perché, con tutto il rispetto dovuto all’attuale presidente del Consiglio, vediamo di non nasconderci dietro a un dito: per i partner europei dire no a Mario Draghi era un conto, dire no a Giorgia Meloni è un altro conto. 

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