Nonostante il dogma dell’infallibilità papale, può capitare che anche chi siede sul trono di Pietro contribuisca a propagare operazioni psicologiche russe. Ne sa qualcosa Jorge Bergoglio, che ha attribuito molte delle atrocità commesse dalle truppe della Federazione Russa a soldati «non appartenenti alla tradizione russa», tirando in ballo le unità cecene e buriate. In un certo senso è ironico che la massima carica della chiesa cattolica tiri in ballo due delle minoranze etniche che più soffrono nel sistema autocratico del Cremlino.
L’accusa di crudeltà ai gruppi di religione musulmana e buddista-animista (anche se in Buriazia la maggioranza relativa degli abitanti è russo-ortodossa) è però un forte indicatore di quanto il razzismo calcificato delle istituzioni russe, e specialmente delle forze di sicurezza e nell’esercito, sia utilizzato da Mosca come strumento politico per propagare la propria politica neocoloniale.
Kadyrov e i suoi pretoriani
Tralasciando possibili speculazioni sul perché il Papa abbia citato proprio queste due minoranze, è infatti innegabile che le truppe cecene abbiano una reputazione temibile al di fuori dalla Russia. La loro immagine spazia tra i brutali tagliagole e le inarrestabili truppe d’assalto. I soldati del Caucaso del Nord hanno un ruolo di primo piano nella coreografia propagandistica del Cremlino.
Ciò non sorprende: il presidente della Repubblica cecena Ramzan Kadyrov è uno degli alleati più devoti di Putin e una colonna portante del regime. Kadyrov è legato da una fedeltà personale al presidente russo, già fautore dell’ascesa del padre alla guida della Cecenia durante le guerre dei primi anni Duemila. È proprio in questi conflitti, nei quali Mosca è riuscita a soffocare nel sangue le tendenze separatiste cecene e a indebolire il terrorismo di matrice islamica, che le unità di combattimento cecene fedeli alla Russia si sono guadagnate la loro terribile reputazione.
Nella ricerca sociologica, specialmente sulle guerre civili, la violenza sui cittadini è razionalizzata come misura per creare un’unità di combattimento coesa e fedele: se si fanno cose terribili assieme si rimarrà più coesi. È anche usata come misura di terrore per mantenere il controllo su una vasta area geografica, e Kadyrov in particolare usa spesso l’immagine di brutale «implementatore» della politica putiniana per instillare paura nei propri avversari e imporre una forma di terrorismo di Stato nella Cecenia «pacificata».
La guerra corazzata su TikTok
Ciò è stato fatto anche in Ucraina. Per dimostrare il proprio valore agli occhi di Putin e guadagnare un vantaggio politico nei confronti dell’esercito regolare, Kadyrov ha immediatamente fornito unità di combattimento dalla propria guardia pretoriana, un supporto particolarmente gradito a causa della penuria relativa di soldati nei primi mesi di guerra.
Pubblicando un grande numero di video di alta qualità su TikTok e altre piattaforme social, le unità cecene inquadrate de iure nella guardia nazionale Rosgvardia hanno provato ad alimentare la propria immagine di forza d’assalto straordinariamente brutale ed efficace, utilizzando così un antico stereotipo che vuole le popolazioni musulmane del Caucaso come capaci di qualsiasi crudeltà, specialmente contro i soldati slavi (va detto che parte della campagna mediatica cecena è anche riconducibile alla grottesca autocelebrazione del leader: basti ricordare che a luglio sul canale Telegram del presidente ceceno è stato pubblicato un video in cui Kadyrov, interpretato da sé stesso, accettava la resa da parte di un sosia balbuziente di Zelensky).
La necessità di enfatizzare per via mediatica la propria forza e crudeltà serve a seminare il terrore fra le forze ucraine, ma riflette anche lo scarso impatto che le unità cecene hanno avuto sul terreno. L’inquadramento nella milizia nazionale e le esperienze in missioni passate, soprattutto in funzione anti-insurrezionale e antiterrorismo in Siria e Cecenia, danno ai veterani di Kadyrov poca dimestichezza con lo scenario operativo nei quali si trovano attualmente.
La manovra terrestre combinata con aeronautica, forze corazzate e artiglieria pesante contro un nemico alla pari è molto diversa rispetto al conflitto asimmetrico combattuto in una condizione di totale superiorità aerea e tecnologica. Le truppe cecene non si sono dimostrate capaci di reggere il confronto con i propri avversari ucraini, ma nemmeno con le truppe professioniste russe.
Una parziale eccezione sono le unità di forze speciali (Spetsnaz) del battaglione Akhmat, le quali rappresentano tuttavia una minoranza assoluta delle truppe impiegate. I tentativi di infiltrazione a Kyjiv nelle prime ore del conflitto si sono rivelate un fiasco e l’incapacità di coordinarsi con altre unità (come d’altra parte i mercenari della Wagner) dimostrano che la presenza sul campo è più legata alla volontà di Kadyrov di dimostrare la propria capacità di generare truppe e meglio posizionarsi nella lotta politica dentro al regime, mossa assieme all’oligarca Yevgeny Prigozhin contro le istituzioni ufficiali dello stato russo.
La Buriazia non è la Cecenia
Comunicazione a parte, è indubbio che le unità cecene si siano macchiate di numerosi crimini di guerra – inclusa parte dell’eccidio di Bucha, svelato dopo il primo ritiro russo. Ma gli atti di brutalità sono una realtà aberrante la cui colpa ricade su gran parte delle formazioni di combattimento della Federazione Russa.
Verosimilmente, essa è anche il risultato di una mancanza di disciplina e di ufficiali con la capacità di mantenere il controllo sulle proprie truppe, soprattutto nei momenti di massima frustrazione militare come assedi e ritirate. Alcuni giornalisti ucraini hanno anche indicato che le truppe cecene si sarebbero lasciate andare a violenze contro soldati dell’esercito russo in fuga dal fronte e che, di regola, i comandanti ceceni preferiscono mandare soldati di altre etnie a compiere le operazioni più pericolose.
Questi racconti sarebbero in linea con le esperienze vissute dai soldati della Buriazia, una Repubblica russa dell’Asia centrale fra le più povere del Paese. Nonostante Bergoglio li abbia inclusi fra i crudeli soldati non russi, ben poco lega etnicamente o politicamente i buriati ai ceceni. È risaputo che le regioni etnicamente non-russe abbiano fornito proporzionalmente più soldati allo sforzo bellico, sia a causa di un più alto numero di riservisti (spesso privi di altre prospettive economiche) che di una volontà presunta di Mosca di graziare la maggioranza slava-ortodossa delle grandi città.
Ma il caso della Buriazia è particolarmente eclatante. La piccola Repubblica ha fornito tre volte il numero di soldati rispetto alla media regionale prevista dal piano di mobilitazione parziale, che prevedeva il richiamo dell’uno per cento dei riservisti (cioè uomini in età di leva che avessero recentemente servito nelle forze armate).
Secondo il media di opposizione iStories, il tasso di mortalità per i giovani buriati è aumentato del novantatré per cento dallo scoppio della guerra, un eccesso spiegabile solo dalle pesanti perdite subite dalle unità buriate in Ucraina. Tutti i reparti schierati in Ucraina stanno subendo pesanti sconfitte, ma il flusso di bare diretto verso l’Asia centrale dimostra quanto le unità non etnicamente russe siano ridotte a carne da cannone.
Un esercito di oppressi
Porre sullo stesso piano il contributo delle diverse unità etniche che costituiscono la Federazione Russa e considerarle tutte alla stregua di crudeli orde pagane vuol dire sostanzialmente accettare una narrazione attivamente portata avanti dal Cremlino e dai suoi alleati. Essa nasconde il sacrificio imposto da Mosca alle province per una guerra imperiale che non gli appartiene o nella quale hanno un interesse particolare i gerarchi di Putin.
Le guerre sono sempre combattute da società, non solo eserciti. La condotta russa rispecchia un sistema nel quale le minoranze sono in fondo alla catena alimentare, un regime che trasla la brutalità domestica, come la repressione in Cecenia, in una guerra imperialista che imita malamente l’espansione degli zar a est e sud nel corso del diciannovesimo secolo.
Come recentemente dimostrato dai fallimenti militari – ma anche dalla presenza di legioni cecene e buriate libere che combattono dalla parte ucraina – l’ordine politico russo avrà molte difficoltà a prevalere in un conflitto che sta assumendo una dimensione sempre più esistenziale per il Cremlino.