The taste of luxuryIl gusto del pericolo e l’irrazionalità del lusso a tavola

Nell’epoca di Instagram e dell’impiattamento perfetto come stile di vita, cresce l’interesse per il cibo di nicchia, meglio se costosissimo e introvabile. Ma perché ci piace così tanto se poi, in fin dei conti, non è neanche particolarmente intrigante? Viaggio tra i misteri della mente umana

Foto Patou Ricard – Pixabay

Χαλεπά τά καλά, ovvero «Le cose belle sono difficili» dicevano gli Antichi Greci. E oggi verrebbe da aggiungere: «Quelle buone sono pericolose!» e spesso anche molto costose, seppur non necessariamente belle (o buone).

Sì perché in un’epoca in cui la ricercatezza estetica nell’impiattamento è la cifra stilistica di più di una generazione di chef e il foodporn domina incontrastato sui social, permane (o cresce?) l’attrazione fatale per il cibo “particolare”, “di nicchia”, poco accessibile sia in termini di reperibilità che di budget, è considerato gourmet anche se per aspetto, provenienza e gusto non ha nulla di particolarmente affascinante. Anzi.
(e i menu delle Feste sono spesso il luogo privilegiato per mettere in scena una vera e propria fiera degli orrori culinari).

Uova chic: caviale & Co
Uno status symbol talmente inflazionato che i fine diners più avventurosi lo considerano quasi “scontato”, ma che nell’immaginario collettivo resta una presenza immancabile sulle tavole di lusso. Sì, stiamo parlando del caviale, nome che conferisce un’allure esotico a quelle che in fondo non sono che uova di storione, salate e preparate con procedure particolari.

A trasformare in una prelibatezza questo prodotto (lavorato già dalle popolazioni cosacche del XVI secolo e citato dai ricettari del Rinascimento) fu l’aristocrazia russa del Sette-Ottocento, che ne diffuse la fama anche a Parigi, dove quella che fino ad allora era stata considerata una semplice curiosità culinaria, divenne una moda (e un simbolo di prestigio socioeconomico) anche presso la borghesia.

Il più pregiato è quello che si ottiene dallo storione di varietà Beluga (in media 3700 euro al kg circa), che impiega da 14 a 18 anni per raggiungere la maturità e le cui uova, per essere estratte, richiedono un procedimento estremamente complesso, lungo e costoso, che richiede necessariamente la morte dell’animale (non per nulla attualmente a rischio estinzione).

Alternative più abbordabili e sostenibili sono l’ikura (da 200 euro al kg), un pregiato caviale rosso di salmone selvatico dell’Alaska che viene normalmente utilizzato nella cucina giapponese, e l’uni (150 euro al kg), nome giapponese per la parte commestibile del riccio di mare. In questo caso non si tratta però solo delle uova bensì di tutte le gonadi dell’animale. Pensarci fa un po’ ribrezzo, ma la consistenza cremosa e il gusto dolce, spingono molti a vincere il pregiudizio.

Ostriche: belle dentro? Insomma…
Due valve rugose che racchiudono un frutto pallido e viscido, dal sapore salmastro. Così descritte le ostriche risultano tutt’altro che invitanti, eppure restano innegabilmente tra i molluschi più gettonati per gli antipasti di lusso. Preferibilmente crude. Preferibilmente accompagnate da un buon Champagne. Preferibilmente mangiate direttamente dalla conchiglia senza posate.

Anche se oggi è possibile trovarle allevate e a prezzi accessibili (meno di 20 euro al kg), le ostriche mantengono la loro natura ostile: non solo filtrano l’acqua del mare trasformandosi in potenziali vettori di batteri (primo fra tutti il vibrio vulnificus) e impurità presenti nell’acqua, ma in più sono abbastanza complicate da aprire senza tagliarsi (anche se ormai alcuni produttori si sono attrezzati con metodi tecnologici che rendono più agevole questo compito).

Questi aspetti non bastano come deterrente per far desistere gli appassionati delle crudité di mare, ma per chi volesse uscire dal cliché e fare sfoggio di reale sperimentalismo in cucina c’è l’erba ostica (Mertensia maritima o “Oyster leaf”): una specie vegetale marina e commestibile, della famiglia della borragine, che cresce spontaneamente sulle coste di Canada, della Scozia e sulle Isole Shetland (da cui proviene la qualità migliore in commercio), ma può essere coltivata anche in casa. Ha foglie carnose e dal sapore intenso e iodato, che ricorda appunto quello delle ostriche vere e proprie. Il costo? Circa 10 euro se si acquista una piantina, 3-4 euro se si opta per i semi.

I percebes… artigli fatali
Meno noti rispetto ad altre varietà di crostacei, i percebes sono rarissimi e considerati una vera e propria prelibatezza dal sapore iodato e marino, nonostante l’aspetto poco invitante, che ricorda un artiglio appartenente a qualche animale preistorico o a un alieno.

Si pescano (o meglio, si raccolgono) sulle scogliere dell’Oceano atlantico, nella zona del Golfo del Nordafrica e in Spagna, ma quelli più pregiati provengono dalla regione settentrionale della Galizia, in particolare dalla famigerata Costa della Morte, nella provincia di A Coruña, dove molti percebeiros perdono la vita ogni anno nel tentativo di raccoglierli.

La pesca di questi crostacei è molto difficile e pericolosa e si effettua calandosi con delle funi direttamente sulle rocce battute dai cavalloni, sfidando i violenti venti che caratterizzano questo tratto di costa. Questo ne giustifica il prezzo, che può arrivare a 180 euro al kg. Ma considerando che in molti paragonano il gusto delicato dei percebes a quello dei gamberetti, viene da chiedersi: ne vale la pena?

Follie d’Oriente… vive o crude
Altra leccornia proveniente dal mare e condita di “pericolo” è il fugu, il pesce palla. Si tratta di un pesce velenoso che, se non eviscerato in maniera corretta, risulta letale anche da cotto. Nel Sol Levante è considerato un vero e proprio lusso e la difficoltà di preparazione lo ha reso uno dei piatti più celebri e affascinanti della cucina orientale.

Nella città di Osaka a questo speciale alimento è dedicato un museo e gli chef giapponesi autorizzati a maneggiarlo devono avere una speciale licenza, acquisita dopo anni di studio. L’obiettivo? Servire un pregiato sashimi di pesce palla, chiamato fugu sashi o tessa, e che di solito viene impiattato con una forma che ricorda quella di un crisantemo (sarà un caso?). Il pesce intero costa circa 75 euro, ma il fugu sashimi può arrivare a costare anche 120 euro a porzione.

Sempre in Oriente spopola un’altra follia culinaria non particolarmente invitante per un occidentale: il Sannakji della Corea del Sud, un piatto a base di nakji, una specie di piccolo polpo locale che, nonostante venga servito tagliato in piccoli pezzi, è ancora vivo nel momento in cui arriva in tavola. Pertanto le ventose sui tentacoli sono ancora attive quando si ingerisce il boccone e si fanno sentire, attaccandosi alla bocca e alla gola. Il rischio? Quello di soffocare durante la cena… ma con stile.

Una rondine non fa primavera… ma fa zuppa!
Se per gli europei rovinare un nido di rondine significa attirare la sfortuna, in Oriente (in particolare in Thailandia e nel sud est asiatico) non esitano a raccoglierli e a utilizzarli come ingrediente in cucina. La zuppa di nidi di rondine, infatti, è uno dei piatti più esotici e costosi del mondo (fino a più di 100 euro a ciotola), che in molti reputano un “cibo degli dei” e un vero e proprio elisir d’immortalità.

Un paradosso, considerando il rischio di infezione connesso al consumo di questa materia prima (aviaria docet) e i pericoli legati alla sua raccolta. Uno dei luoghi prediletti dalle rondini per nidificare sono infatti le pareti rocciose, dove devono essere scovati da scalatori che si arrampicano con scale e corde e, per raggiungerli, mettono a rischio la loro vita.

Questo giustificherebbe il prezzo, unito al fatto che i nidi possono essere procacciati solo 3 volte l’anno e in periodi particolari, ovvero quando i pulcini sono già volati via e la rondine non ha avuto il tempo di deporre nuove uova. In più a far lievitare il costo c’è il processo di pulitura: lungo e difficoltoso, eseguito a mano con piccoli strumenti e particolari detergenti e sbiancanti.

Ma in fin dei conti l’ingrediente principale del piatto è la saliva degli uccelli, che rende la zuppa ricca di proteine e altri nutrienti benefici, ma anche gelatinosa e praticamente insapore, con un gusto che qualcuno ha descritto come “banana alla vaniglia con pasta viscosa”. Mai sentito parlare delle zuppe di legumi? Dai 2 ai 5 euro al kg, contro i 2000-6000 euro dei nidi bianchi e neri (10.000 per quelli rossi, più rari). De gustibus.

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