Deriva sudamericanaCon Boccia caposquadra, Schlein si è incartata in un pastrocchio populista

La candidata alla segreteria del Pd ha scelto uno che in gara non ha mai vinto, e che se dovesse vincere spalancherebbe le porte all’alleanza strategica con Conte

Pixabay

Ahia, ecco il primo errore di Elly Schlein (detto senza acrimonia, anzi): chiamare come capo della sua squadra Francesco Boccia, uno che in gara non ha mai vinto, battuto una prima volta nel 2005 alle primarie per le regionali in Puglia da Nichi Vendola, lui aveva dietro la D’Alema machine e Nichi solo il bell’eloquio, e poi una seconda volta cinque anni dopo sempre per mano di Vendola che lo distrusse tipo ottanta a venti.

Ma è pur vero che Boccia è uno che è stato sempre a galla, nel Ppi, con Romano Prodi, con Massimo D’Alema, con Pier Luigi Bersani, un pochino con Matteo Renzi, poi con Michele Emiliano contro Renzi (straperdendo a quelle primarie), quindi con Nicola Zingaretti e poi con il compagno di sempre Enrico Letta.

Eh già, chissà se il quasi ex segretario del Partito democratico la pensa come il suo fedelissimo, se anche lui è diventato molto di sinistra, al pari di tanti amici ex democristiani come Rosy Bindi e forse Dario Franceschini, tutti cattolici democratici cresciuti alla scuola di Aldo Moro, Beniamino Andreatta, Vittorio Bachelet e oggi folgorati sulla via del socialismo e di Giuseppe Conte nell’operazione politicamente più incestuosa che si potesse immaginare: la mescolanza della giustizia sociale con il populismo arraffavoti è mistura dei peggiori bar di Caracas.

Come sia finita Schlein in un pastrocchio che puzza di trasformismo dalemiano è un mistero che forse si svelerà e forse no, forse l’inesperienza non le ha dato una mano nel tenersi lontano un miglio dal cattocomunismo di serie C che invece di Franco Rodano vede oggi sull’altare Francesco Boccia. Il quale tuttavia va ringraziato perché nella sua illuminante intervista a Repubblica ci ha spiegato che la linea (di Elly?) è l’intesa strutturale con Giuseppe Conte. Ora molta gente saprà per chi votare.

E poi ci ha detto alcune verità. La prima verità, agghiacciante solo per chi non conosce il retrobottega del Partito democratico, è che un pezzo di questo partito odiava Mario Draghi di un odio “ideologico” non dissimile da quello che negli anni Settanta i gruppettari della sinistra extraparlamentare nutrivano per industriali e appunto banchieri.

Infatti Draghi è «un eccellente banchiere, ma la connessione sentimentale col popolo è un’altra roba». La colpa della sconfitta del 25 settembre insomma è sua, del «banchiere» lontano dal popolo, lui, Boccia, l’aveva pure detto di stare col popolo e non con le élites ma venne «travolto» dalle critiche di renziani palesi e occulti. Che peccato!

E chi se ne frega se Draghi ha risolto il dramma della vaccinazione di massa sul quale l’amico dalemiano Domenico Arcuri pasticciava, se ha riscritto il Programma nazionale di ripresa e resilienza dopo quello di Conte che faceva schifo, se ha fatto ripartire Pil e occupazione (ne beneficia oggi l’ingrata Meloni che non si ricorda mai di citarlo), se ha ridato dignità all’Italia sulla scena mondiale lottando a fianco della resistenza ucraina: non sappiamo se Draghi sia stato lontano dal popolo, certo lo fu da Boccia – ministro nel Conte 2 e non riconfermato dal “premier banchiere”.

Ma la cosa importante non è la biografia di Boccia, quanto il fatto che era parso di capire che il Partito democratico considerasse SuperMario per quel che è stato, uno che più o meno ha salvato l’Italia dal Covid e dal disastro economico: invece oggi si mette in chiaro che il braccio destro di Letta lo giudicava praticamente un affamapopolo.

Lo pensa anche il quasi ex segretario del Partito democratico? Ma ora verrà la riscossa con Elly che nella strategia bocciana dovrebbe essere la testa di ponte verso i lidi populisti dell’avvocato in una riedizione della gioiosa macchina da guerra ma di marca sudamericana con al volante un peronista e tanti campesinos al seguito.

Eccola, la seconda verità di Boccia, finirà come ai Mondiali: altro che deriva francese, deriva argentina piuttosto. E infine, una terza verità, anzi una promessa: «Dopo il Congresso torneremo a essere il primo partito» (spereremmo che intendesse del centrosinistra, ndr), e quindi potrà tornare l’alleanza strategica con “Giuseppi” per battere Giorgia Meloni. La quale, scorsa questa intervista, si sarà detta, con Nanni Moretti: «Con questi dirigenti non vinceranno mai».

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