L’Europa è un po’ come la Rai: quando cerca di comunicare con i «giovani» scade nel giovanilismo o, più spesso, nel cringe. Se i social media non sono più visti come un’occupazione da «trovati un lavoro vero» e, soprattutto, se anche l’ironia ha cittadinanza negli austeri uffici stampa delle istituzioni comunitarie, parte del merito è anche di DG Meme. Un ufficioso dipartimento vignette (la sigla sta proprio per «direzione generale», la stessa dei ministeri della Commissione) da ottantamila follower su Twitter, con propaggini su Facebook e Instagram. È la cosa più vicina all’egemonia culturale che possiate trovare nella «bolla di Bruxelles».
L’ha fondata un italiano. Fabio Mauri, milanese classe 1986, ingegnere informatico, autore di fiction. Era già innamorato dell’Europa, come la generazione che ha fatto l’Erasmus (lui in Austria, prolungato). Che fosse ricambiato l’ha capito durante la pandemia, quando stava pensando di fermarsi, perché ormai aveva raggiunto l’obiettivo di sdoganare i meme nei corridoi del potere, ma poi ha scoperto quanto era diventato importante il suo lavoro per una community affezionata, non più di soli addetti ai lavori. Nata davanti a una birra nel 2018, DG Meme era diventata a suo modo un’istituzione.
Ha umanizzato l’Unione europea, l’ha avvicinata ai cittadini più di decenni di fondi spesi per la stessa ragione. «C’era ancora Jean-Claude Juncker», racconta Mauri a Linkiesta. L’idea gli è venuta durante una riunione. Quattrocento, cinquecento funzionari che discutono le strategie comunicative dell’Ue per gli anni a venire, nello specifico per motivare la gente ad andare a votare alle elezioni del 2019.
«Ho sofferto dall’inizio alla fine, perché le idee che sentivi erano di una tristezza inaudita. Ero veramente depresso». Durante il meeting, a cui è presente come consulente informatico della Commissione, Mauri interviene con una battuta. Prende in giro una delle proposte, tutti ridono. «Lì mi sono arrabbiato ancora di più. Allora lo sapete, perché non cercate di migliorare?». La sera, al pub, parla di DG Meme a una sua amica, Silvia. Secondo lei, il nome non è un granché. «Invece io ho sentito qualcosa, mi sono detto “in effetti suona proprio bene”».
Oggi anche le istituzioni europee fanno meme. Cioè, li fanno apposta. «Uno dei miei obiettivi era proprio mostragli che sbagliavano». Missione compiuta, si direbbe, con zero budget. Nei palazzi di Bruxelles e Strasburgo, le intuizioni c’erano, ma venivano annacquate salendo di grado nelle gerarchie. Se avete mai fatto uno stage, conoscete la sensazione. «Sono contento che ci abbiano copiato, poi ovviamente i loro meme hanno sempre tipo dieci parole in più di quelle che sarebbero necessarie». Comunque, un inizio.
Il successo significa anche non dover più vivere sotto copertura. «Ho smesso di avere paura, perché per due anni ero sono rimasto assolutamente nascosto. Partecipavo a riunioni dove il direttore cercava di capire: “Questo DG Meme chissà chi è, bisogna farlo chiudere, è un pericolo”. Io assolutamente impassibile. Nessuno sospettava di me perché ero un tecnico e in genere i tecnici alla Commissione non sanno neanche che cos’è la Commissione».
Poi arriva un’intervista, pagina tre di Politico, un «giornale che nessuno conosce in Italia, ma tutti leggono a Bruxelles». Un sospiro di sollievo. Ambasciatori, capi unità, dirigenti e funzionari di vario grado possono continuare a seguire la pagina, e condividerne i contenuti, senza rischiare la carriera. La Commissione lo invita addirittura a EuroPCom, la Cernobbio della comunicazione pubblica europea. La festa dell’agnizione è allo Iosono, uno wine bar vicino a Place de Londres.
Ridere, ma anche riflettere. Fuor di Lundini, la satira è una forma espressiva che (ri)comincia quando hai finito di ridere. «L’idea di lungo periodo sarebbe quello anche di creare una specie di humour europeo – spiega Mauri –, perché alla fine piace a tutti ridere di politica, non la politica. La gente non vuole che i politici risolvano i problemi, voglio solo che facciano entertainment». Ma senza sfoggiare sermoni alla miscere meme dulci, quelle vignette – alla fine – informano, con una trasversalità inarrivabile per i media tradizionali.
È una reazione a catena. «Non puoi pretendere che uno slovacco sappia che cosa succede in Lituania, però se gli fai vedere le cose divertenti, magari almeno inizia ad associare il fatto che siamo tutti insieme e le decisioni stupide che un Paese fa poi hanno effetti devastanti sugli altri». Nei commenti, la community si spiega a vicenda i casi di cronaca, meglio del giornalismo partecipativo. È inevitabile che per alcune vignette serva qualche elemento di contesto, ma le migliori arrivano comunque.
L’inglese aiuta. «Indubbiamente, quello linguistico è un problema serio. È chiaro che hai tantissimi vantaggi. Il primo è che ti segue solo l’élite, l’elettore medio sovranista non riesce neanche a leggere quello che scrivi, così la percentuale di commenti idioti è minore». Le poche lamentele, di chi auspica il francese, sono interessate. È un dibattito annoso. Per Umberto Eco, la lingua dell’Ue era la traduzione. Nonostante, o grazie alla Brexit, quella di Shakespeare funziona. «Alla fine dovremmo accettare una lingua comune che, grazie a Dio, non è neanche più di uno Stato membro, quindi è neutrale».
«C’è ancora uno zoccolo duro di Commissione che non capisce il valore della satira – conclude il fondatore –. C’è gente che si riempie la bocca tutti i giorni di libertà di pensiero, libertà di espressione e non si rende conto di una cosa fondamentale della comunicazione politica, che Berlusconi sa benissimo. Non importa se la gente parla bene o male di me, l’importante è che ne parli, perché così esisti. Della Commissione se ne parla solo male, o con le fake news. Sono veramente fiero di aver aiutato a recepire questo concetto: non c’è bisogno di essere seri per avere un impatto positivo, soprattutto se vuoi raggiungere le persone».
L’Italia è il Paese che memo. La nostra politica è fonte inesauribile e imbattuta di ispirazione. Per dire, difficile immaginare una pagina Crazy Ass Moments in German Politics (quella italiana è sensazionale). Draghi, in questo, ha segnato un interregno. «Mi manca poter fare meme in cui il primo ministro italiano fa la parte del leone e gli altri devono star zitti». Al primo Consiglio europeo di Super Mario era andata così. A Mauri lo racconta un suo amico che ci lavora: «È la prima volta che sento un premier italiano parlare e gli altri ascoltare in silenzio. E questa è la serietà che abbiamo avuto la possibilità di avere e adesso non avremo più».
Chissà quante basi per meme fornirà Giorgia Meloni. «Penso che l’Italia sia sostanzialmente un Paese fascista. La mentalità dell’uomo forte che grida non è una cosa nuova, si trova in tante organizzazioni primitive», è amaro Mauri. Nessuno è perfetto, nemmeno l’Europa. «Abbiamo un accordo commerciale con il Canada che è stato negoziato su un orizzonte, credo, di quindici anni. Era stato messo in forse perché la Regione Vallonia – quindi neanche il Belgio come tale, ma uno dei suoi Parlamenti – aveva messo il veto. Era una politica ultra-locale che si riverbera su un accordo tra l’Ue intera e il Canada. Questo dà l’idea di quanto sia complesso». Ma se lo sappiamo, spesso, a volte è (anche) merito di una vignetta, a cui riesce una magia: sintetizzarlo nei pixel di una foto 1:1.
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