Orbán al contrarioAl suo primo Consiglio europeo, Giorgia Meloni dimostra di preferire gli incontri agli scontri

La premier rivendica il suo ruolo «decisivo» negli accordi, ma nelle conclusioni non c’è nemmeno una menzione specifica dei flussi migratori. Decisione sul price cap ancora rimandata, approvati invece il nono pacchetto di sanzioni alla Russia, diciotto miliardi di aiuti finanziari all’Ucraina e una tassa minima per le multinazionali

Giorgia Meloni al Consiglio europeo del 15 dicembre
Foto: Consiglio europeo

«Il Consiglio europeo ha tenuto una discussione strategica sulle relazioni con il vicinato meridionale». Tutto qui: uno dei capitoli di discussione più importanti per l’Italia si risolve con un giro di tavolo che non lascia conseguenze scritte nelle conclusioni dell’ultimo Consiglio europeo del 2022. Eppure al suo arrivo la presidente del Consiglio aveva sottolineato l’importanza della «dimensione mediterranea» anche e soprattutto per la vicenda migratoria, che l’Italia chiede da tempo di affrontare su un piano strutturale.

Tutto rinviato
Meloni, che non ha parlato con i giornalisti al termine del vertice, avrebbe strappato la promessa informale di mettere proprio la migrazione al centro di uno dei prossimi summit, magari quello straordinario annunciato dai vertici comunitari per febbraio. Ma durante la discussione sul «vicinato meridionale», cioè i rapporti con i Paesi non europei del bacino del Mediterraneo (Algeria, Egitto, Giordania, Israele, Libano, Libia, Marocco, Palestina, Siria, Tunisia), la premier ha giocato in difesa.

Secondo fonti comunitarie, i primi ministri di Belgio e Paesi Bassi e il cancelliere dall’Austria avrebbero menzionato la questione dei cosiddetti «flussi secondari»: i movimenti attraverso gli Stati dell’Unione europea di persone migranti, che secondo l’attuale legislazione comunitaria dovrebbero invece rimanere nel Paese di primo ingresso fino a che non viene definito il loro status. Invece capita che spesso queste persone sfuggano alla registrazione nel Paese di primo approdo oppure, dopo aver presentato richiesta di asilo, si muovano attraverso le frontiere anche se non potrebbero farlo fintanto che non ottengono risposta.

Non si tratta di un problema nuovo, ma i governi in questione tengono a ribadirlo in ogni occasione. Quello di Vienna, ad esempio, rimarca come i migranti «non registrati» costituiscano il 75 per cento degli arrivi ai propri confini, mettendo a dura prova il sistema di accoglienza nazionale. Proprio per questo motivo, l’Austria si è opposta di recente all’ingresso di Bulgaria e Romania nell’area Schengen.

Alle critiche di austriaci, olandesi e belgi, definite «singolari» dal ministro per gli Affari Europei Raffaele Fitto, la presidente italiana ha risposto sottolineando che «la migrazione non può continuare a essere gestita in assenza di una soluzione strutturale in Europa» e va evitato un «approccio predatorio» al fenomeno, ribadendo anche come il tema rimanga assolutamente centrale per l’Italia.

Lo schema di dibattito non pare scostarsi dal «muro contro muro» tra i Paesi di piccole dimensioni del centro e del Nord Europa, preoccupati dai movimenti secondari, e quelli dell’area mediterranea, che insistono piuttosto sul tema degli arrivi irregolari via mare. E in questo senso va letto il primo bilaterale ai Consigli europei della presidenza Meloni, con il primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis per discutere «stabilità e opportunità di crescita nel Mediterraneo».

L’altro nodo cruciale per il governo italiano riguardava la questione energetica, anche se in questo caso lo scenario era piuttosto chiaro già prima di cominciare: i ventisette capi di Stato e di governo avrebbero discusso il tema del tetto al prezzo del gas, ma senza scendere in dettagli tecnici. Lasciando cioè il compito di definire in concreto lo strumento al prossimo incontro dei ministri dell’Energia, lunedì 19 dicembre.

Solo allora si capirà se la misura soddisferà o meno le richieste italiane, per cui un price cap dovrebbe essere attivabile già con il prezzo del combustibile inferiore a duecento euro al megawattora.

Chiusura col botto
Tolti questi dossier, il vertice dei capi di Stato e di governo è stato particolarmente prolifico. Sono stati infatti raggiunti accordi sul nono pacchetto di sanzioni alla Russia proposto dalla Commissione, che include i componenti per i droni, su un pacchetto di aiuti finanziari all’Ucraina da diciotto miliardi di euro e su una tassa minima a livello europeo per le multinazionali.

Mentre la discussione sulle sanzioni è stata rallentata dai dubbi di alcuni Paesi sulla necessità di deroghe per i fertilizzanti, gli altri due accordi erano stati tenuti ostaggio per settimane dall’Ungheria, che ha utilizzato il proprio diritto di veto come una leva negoziale. L’obiettivo era quello di ottenere l’approvazione del proprio Piano nazionale di ripresa e resilienza e sbloccare l’esborso dei fondi comunitari che la Commissione propone invece di sospendere.

La resistenza di Budapest era caduta già prima del Consiglio europeo: l’approvazione del Pnrr e una decurtazione dei fondi sospesi tramite il meccanismo di condizionalità (dai 7,5 miliardi proposti dalla Commissione a 6,3) «barattata» con il via libera ad aiuti e tassa minima.

All’inizio del vertice sembrava però che la stessa dinamica potesse ripetersi con la Polonia, alle prese anch’essa con un’erogazione del Pnrr condizionata a una serie di riforme in campo giudiziario. Il temuto blocco non si è poi concretizzato, probabilmente anche per la posizione spiccatamente anti-russa di Varsavia e per la volontà di concedere dei fondi vitali per Kyjiv.

Il risultato, sicuramente significativo, è stato celebrato anche da Giorgia Meloni. Il suo entourage pone l’accento sull’incontro tenutosi prima del vertice fra la premier e i primi ministri di Polonia e Repubblica Ceca, Mateusz Morawiecki e Petr Fiala, che sono anche gli unici capi di governo della famiglia politica di Fratelli d’Italia, i Conservatori e riformisti europei.

Un trilaterale «decisivo che di fatto ha sbloccato la situazione», lo ritiene la presidente. A prescindere dalla veridicità dell’affermazione, un chiaro segnale: Giorgia Meloni in Europa preferisce gli incontri agli scontri.

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