Il 1974 sembra un’era geologica fa. In quell’anno nei cinema davano Frankenstein Jr, in Italia esplodeva la bomba in Piazza della Loggia e la Germania vinceva i Mondiali. In Unione Sovietica volava invece per la prima volta il Tu-141, un drone rudimentale che oggi farebbe ridere qualsiasi studente di ingegneria aerospaziale al primo anno. Più che un aereo senza pilota, il Tu-141 è un missile senza carica esplosiva ma carico di radar e sensori, lanciato da una rampa e pensato per percorrere una traiettoria pre-impostata e atterrare rilasciando un grosso paracadute (!). Il Tu-141 sta ai droni moderni come una televisione a tubi catodici sta a Netflix.
Per questo è abbastanza impressionante che in questi giorni alcuni Tu-141 siano riusciti a colpire le basi dei bombardieri strategici russi, un obiettivo di altissimo livello difeso (si pensa) da sistemi antiaerei avanzati e situato a centinaia di chilometri dentro al territorio federale.
Ancora non vi è certezza su cosa sia successo esattamente, anche se un anonimo funzionario ucraino ha raccontato al New York Times che i droni sarebbero stati lanciati dal territorio ucraino e guidati nella parte finale del loro tragitto da membri delle forze speciali in prossimità dell’obiettivo.
Mira alle basi
Questa ipotesi significherebbe che il drone, messo in servizio quasi cinquanta anni fa e in uso fino ai primi anni Novanta, sarebbe stato modificato per ospitare una piccola carica esplosiva e permettere una maggiore manovrabilità, rendendolo così più simile a un missile da crociera o una munizione circuitante a lunghissima portata. Ma al netto di ammodernamenti si tratterebbe comunque di un grandissimo exploit.
Alcune foto emerse nelle ore successive agli attacchi contro le basi Engels-2 e Dyagilevo mostrano i danni inferti ai bombardieri strategici Tu-22M3, alcuni ancora equipaggiati con i missili Kh-22 con i quali la Russia conduce parte della propria campagna aerea contro le infrastrutture critiche ucraine. Per quanto si tratti di un modello ormai superato, il Tu-22M3 è stato adattato come piattaforma di lancio anche per i missili ipersonici Kinzhal (Pugnale), che nei piani di ammodernamento delle forze di deterrenza strategica (i guardiani delle armi nucleari) dovrebbe diventare il cuore pulsante della postura russa.
Non è chiaro se gli attacchi abbiano danneggiato anche aerei più moderni come i Tu-160, ma le difficoltà che stanno riscontrando i russi nell’assemblaggio di nuovi aerei nel settore civile suggerisce che le perdite subite nell’attacco saranno difficilmente sostituibili (il servizio di ricerca del Congresso suggerisce che nel 2020 i russi avessero circa 60-70 bombardieri pesanti in servizio).
L’attacco contro Dyagilevo dovrebbe essere particolarmente preoccupante per Mosca, in quanto proprio qui sono stanziati i pochi Il-78 da rifornimento in volo in dotazione all’aeronautica russa. Questi velivoli sono ciò che permettono ai bombardieri a lungo raggio di rimanere in volo per periodi prolungati, un imperativo per condurre campagne di bombardamento prolungate e mantenere le forze aeree in stand-by in caso di una crisi internazionale.
Attacco controforza
Il contrattacco ucraino è solo l’ultimo di una lunga serie di operazioni speciali e di grande effetto mediatico (e militare) contro obiettivi critici sul territorio russo. Dalle azioni di sabotaggio contro depositi logistici ad attacchi missilistici nella regione di Belgorod, gli ucraini sono riusciti a dimostrare che le retrovie russe sono tutt’altro che al sicuro da azioni militari.
L’attacco alle basi aeree sicuramente va anche letto nell’ottica di provare a limitare la campagna di bombardamenti contro centrali elettriche e obiettivi civili, che impiega sì munizioni circuitanti iraniane e missili da crociera lanciati da terra ma che è anche implementata dall’aeronautica. In tal senso si tratta di un prevedibile attacco “controforza”, cioè studiato per limitare le capacità militari dell’avversario.
La decisione di non rivendicare ufficialmente l’attacco (come già avvenuto per il ponte di Kerch e altre operazioni) indica però che Kyjiv potrebbe essere consapevole del valore più ampio di questi obiettivi in termini di deterrenza nucleare, e che colpire questi obiettivi rappresenta una risposta adeguata alla brutale campagna aerea contro la popolazione civile in Ucraina.
Al di là del danno militare a un assetto militare strategico, infatti, lo smacco di aver colpito obiettivi di questo livello rivela quante difficoltà stia incontrando l’apparato difensivo russo a stare la passo con le mosse ucraine. Sulla carta, il Tu-141 sarebbe in grado di raggiungere l’obiettivo partendo dalle basi ucraine – la portata di 1046 km e la velocità di cinquecento nodi lo rendono un dispositivo se non altro paragonabile a un moderno Tomahawk americano. Ciò, in teoria, li rende il tipo di minaccia contro la quale sono ottimizzate le classiche difese antiaeree di una forza armata moderna. Ma anche se l’attacco fosse stato svolto in maniera meno convenzionale, usando droni civili modificati e lanciati in prossimità delle basi, allora rivelerebbe in ogni caso una clamorosa falla di sicurezza nei sistemi di osservazione e intercetto russi a corto raggio.
Un cielo di pericoli
I cieli europei sono ormai affollati di minacce di diversissima natura che richiedono sistemi d’intercettazione (missili, cannoncini automatici, armi a energia diretta), di identificazione (satelliti, radar di diversa banda) e un’architettura complessiva di comando e controllo altamente flessibile e responsiva.
Dal micro-drone al missile cruise “rudimentale” ricavato da vecchi sistemi sovietici, i modi con cui si può colpire un obiettivo sono talmente tanti che è pressoché impossibile alzare uno scudo antiaereo impenetrabile. In tal senso, è bene ricordare che è meglio guardare la trave nel proprio occhio piuttosto che la pagliuzza in quello altrui. Sono passati solo nove mesi da quando un Tu-141, proprio il drone forse usato dagli ucraini in questo attacco, si è schiantato nel centro di Zagabria dopo essere passato indisturbato sopra territorio Nato, senza essere identificato o intercettato nel suo volo dal territorio ucraino.
Ciò che ovviamente rende grottesca la vulnerabilità russa è che chi lancia una guerra imperiale dovrebbe forse tenere le proprie difese antiaeree all’erta, soprattutto dopo mesi di sabotaggi e débacle di sicurezza. Gli osservatori più attenti dovrebbero ormai aver capito che se la guerra in Ucraina ha dimostrato qualcosa, é che nei conflitti moderni non esistono più santuari sicuri al riparo dalle forze avversarie, qualsiasi sia il loro livello di sofisticazione tecnologica.