Brutte notizie da Bruxelles: il governo italiano deve realizzare il Piano nazionale di ripresa e resilienza entro il 2026. Nessuna proroga. A spegnere le speranze di Giorgia Meloni ci ha pensato Paolo Gentiloni.
Il viaggio-debutto di alcune settimane fa della premier nella capitale belga non è stato cosparso di rose e fiori come era sembrato, anzi era stato nascosto proprio questo punto nevralgico. Aperture, sorrisi, strette di mano, ma nella stanza dell’ambasciata italiana, quando la premier si è seduta davanti al Commissario all’Economia, scortata dal facilitatore Raffaele Fitto, sperava che l’italiano le assicurasse più tempo per dare corpo ai progetti e alle riforme contenute nel Pnrr.
Gentiloni e tutta la Commissione si rendono conto che qualcosa da aggiustare ci sia, che i costi delle opere pubbliche sono schizzati alle stelle per via del caro energia e delle materie prima. «Le aste vanno deserte», gli aveva detto Meloni. Gentiloni però non è potuto venire incontro a Roma sul timing: 2026. E lo ha ripetuto ieri a muso duro durante un forum economico organizzato dal Messaggero.
È questo il vero problema che ha Meloni, il più amaro. Il resto, paradossalmente, è meno drammatico. Consideriamo il quadro macroeconomico. Un manager come Carlo Messina, che di economia reale, di conti e investimenti per centinaia di miliardi ne sa molto, in un’intervista alla Stampa ha detto di prevedere dai sei ai nove mesi di difficoltà per l’Italia e l’Europa. Dopo, nella seconda metà del 2023, per il presidente di Intesa San Paolo torneremo a crescere.
Del resto sono tanti gli indicatori economici, dall’inflazione ai costi energetici all’indice di fiducia di imprese e consumatori, che sfatano catastrofi, una pesante recessione e piazze nervose. Nella speranza che veramente non ci siano cigni neri svolazzanti sopra nostra testa, la piega politica rispetto a questa prospettiva è tutta da capire e vivere, partendo da quello che accade oggi.
Intanto le speranze moscovite di un’Europa e un Occidente in ginocchio verrebbero spezzate e lo sono già alla luce anche dell’eroica resistenza Ucraina. È già questa è un’ottima notizia, nonostante l’incapacità europea di fissare un price cap. Limitandoci poi al nostro cortile di casa, dovremo misurarci sulla capacità del centrodestra di governare questo tornante, tra la curva della manovra economica e quella dell’attuazione del Pnrr.
Giorgia Meloni attraverserà di corsa i prossimi 6-9 mesi con il cuore in gola, e non sarà paradossalmente la Legge di Bilancio il maggiore ostacolo. Non è che sia una a passeggiata di salute approvarla entro il 31 dicembre.
«Lavoreremo giorno e notte in Parlamento, anche a Natale se è necessario», ha detto tanto per far capire il patema d’animo. Ci sono le rogne solite di una maggioranza, chi la vuole cotta, chi cruda, con Silvio Berlusconi che frigna più di tutti sui contributi per i giovani, sull’aumento delle pensioni minime, sul super bonus da allungare per gli amici costruttori. Ma questo tornante verrà superato, in un modo o nell’altro. Per realizzare le promesse elettorali ci sarà tempo.
«Abbiamo un orizzonte di legislatura», insiste la premier. Dovrà però accendere mille ceri in tutte le chiese italiche per sperare che quelle previsioni più rosee si verifichino. Altrimenti anche il prossimo anno Meloni, Salvini e Berlusconi dovranno inventarsi un altro impedimento al miracolo promesso in campagna elettorale. Questo però è il futuro prossimo. C’è poi il presente del Pnrr che ha in pancia importantissimi progetti infrastrutturali e riforme di sistema, la cui realizzazione è la conditio sine qua non per aver i soldi, i tanti soldi da Bruxelles. E qui arrivano le vere rogne per il governo.
Sui Pnrr «tutti Paesi hanno difficoltà», ha detto Gentiloni. Alcuni Paesi, ha aggiunto, hanno chiesto il rinvio della data del 2026, «ma questi rinvii non sono possibili dal punto di vista tecnico, politico e legale». Zac! «Conosco le difficoltà che abbiamo di attuazione. Però guardiamo anche ai nostri vicini: l’unico Paese europeo che ha maggiori difficoltà di assorbimento delle risorse europee dell’Italia è la Spagna. E la Spagna sta a testa bassa cercando di mantenere gli impegni per per il Pnrr».
Per Gentiloni bisogna correggere quello che va corretto ma occorre lavorare per attuare: «Penso che la sfida debba essere mantenuta. Questa è un’occasione e questa occasione non va e non può essere perduta».
Ecco perché la premier non ha tempo da perdere con gli alleati riottosi o impauriti dagli incontri con il Terzo Polo. Incombe una scadenza capestro.
La vera differenza tra il successo e la brutta figura è tutta legata all’attuazione del Pnrr al quale non riusciamo a dare gambe per i maggiori costi ma anche per l’incapacità della macchina pubblica a marciare spedita, delle amministrazioni, regionali e locali soprattutto, a fare progetti e spendere i soldi. Come è avvenuto regolarmente per i tanti fondi nazionali ed europei rimasti a marcire. Compresi quelli che servono e servivano a mettere in sicurezza i territori a rischio idrogeologico. Ischia è l’esempio purtroppo più eclatante, con i suoi morti.
Allora Meloni e il suo governo avranno tanto da lavorare «a testa bassa», come avverte Gentiloni.
I nuovi padroni della politica italiana non sanno neanche se potranno evitare il rischio di recessione. Il perché lo spiega sempre il Commissario europeo: «L’Italia ha un problema in più rispetto agli altri paesi europei, che è, a parte tanti problemi storici strutturali, un problema di pagare l’altro debito. Questa questione ovviamente è un limite alle possibilità di espansione di sostegno economico». Ma ci sta «l’antidoto del Pnrr: quindi in che modo riusciremo a spendere questi quattrini secondo me sarà molto molto importante perché l’Italia non resti il mitico fanalino di coda della crescita europea».
È veramente il caso di dire che le chiacchiere stanno a zero.