Tutt’altra pastaI formati più strani, dalla Trinacria in su

Simbolo di italianità, è l’alimento di cui sentiamo più nostalgia quando siamo all’estero. Ma non di soli spaghetti vive il Belpaese

Foto Sarah Boyle - Unsplash

Il nostro viaggio tra i formati di pasta meno conosciuti o consumati lungo la penisola parte da Sud, dove risulta più evidente che questa Babele difficile da dipanare sia il frutto del genio nato dalla fame. Trattandosi di un piatto storicamente povero, il suo consumo “purtroppo” frequente ha invocato la fantasia delle massaie per porre rimedio alla noia incombente: ed ecco fioccare varianti di ogni forma e dimensione, adatte per essere abbinate con il pomodoro, il pesce o i legumi.

La pasta al forno dei palermitani
Protagonista indiscussa delle feste e dei pranzi domenicali in famiglia, più passa il tempo e più diventa buona. La porzione condominiale è d’obbligo, se non altro per non dover pensare alla schiscia per il mare (dieci minuti sotto il sole di Mondello e torna come appena sfornata).
Se in altre province troviamo penne, rigatoni e addirittura lasagne, Palermo è la capitale degli anelletti: l’idea di una pasta forata nasce nel Medioevo e, secondo le leggende, questa forma richiama i monili indossati dalle donne arabe in terra sicula. Furono proprio i saraceni a importare la tecnica del timballo di pasta, affiancata dalla bollitura solo nel tardo Medioevo.
Se qualche anno fa solo i fortunati destinatari del “pacco da giù” potevano sperare di reperire questo grazioso formato, oggi è disponibile nei principali supermercati: non avete scuse per non cimentarvi in questo goloso capolavoro della cucina casalinga palermitana.

Pasta con la ’nduja alla vibonese
Il sugo di pomodoro – si sa – sta bene con tutto, ma il godimento che dà un buon maccherone fresco è insuperabile, e paese che vai… maccherone che trovi: i fileja calabresi sono lunghi una decina di centimetri e si presentano come una fettuccina attorcigliata su se stessa; si ottengono avvolgendo la pasta filata (a base di semola di grano duro e acqua) attorno a una bacchetta ottenuta dal fusto di una pianta selvatica chiamata “disa” (“gutamara” per il locals). Se passate dalle zone di Vibo Valentia tra luglio e agosto non perdetevi una delle numerose sagre celebrative di questo formato di pasta, capace di trattenere i sughi succulenti tradizionali a base di carne di capra e maiale o di ’nduja di Spilinga.

La “pastina” lucana
A Trivigno, piccolo comune che sorge su un colle confinante con le Dolomiti lucane, vengono gelosamente custodite antiche tradizioni gastronomiche. Una tra tutte quella dei bilbant, tanto oscuri nell’etimologia quanto gustosi nelle minestre. L’origine del nome, probabilmente di derivazione arbëreshe (minoranza etno-linguistica albanese storicamente stanziata in Italia meridionale), lascia intendere che queste piccole scaglie di pasta grattugiata siano state inventate per sfamare i piccoli di un tempo: realizzati con pasta all’uovo erano molto nutrienti, gustosi grazie al pecorino nell’impasto, facili da deglutire nella fase dello svezzamento e soprattutto rapidi da preparare poiché andavano solo grattugiati. Oggi sono molto amati anche dagli adulti, soprattutto nelle fredde serate invernali, tuffati in un buon brodo o in una zuppa di verdure.

La Domenica delle Palme a Teggiano
Lasciamo la Basilicata per dirigerci verso il piccolo borgo medievale che domina il patrimonio Unesco del Vallo di Diano: Teggiano. Se dopo aver girato tra chiese e musei avvertite un piacevole languore, non esitate a trattenervi per il pranzo: iniziate con un antipasto a base di “caciocavallo dell’emigrante”, un formaggio a pasta filata che nasconde una soppressata al suo interno, nato per eludere la legge americana che proibiva l’introduzione di carne di maiale nel Nuovo Mondo; proseguite dunque con un buon piatto di parmatieddi, tradizionalmente preparati per il pranzo della Domenica delle Palme: la forma piatta di questa pasta fresca dai bordi rialzati e dalle nervature pronunciate vuole imitare l’aspetto di una foglia, per richiamare le fronde delle palme con cui Gesù venne salutato al suo ingresso a Gerusalemme. La solennità della festa è garantita dallo sposalizio con ragù e pecorino, degno condimento di questo formato speciale.

Gli spaghetti della Capitanata
Contrariamente al credo popolare, quando si parla di pasta fresca in Puglia le orecchiette non sono l’unica opzione in gara, e anche se i formati corti sono particolarmente apprezzati (cavatelli, cecatelli, strascinati, …) quelli lunghi non vengono disdegnati, soprattutto nel foggiano, dove compaiono sulle tavole domenicali sottoforma di “troccoli”: preparati con farina di grano duro e acqua, sono simili agli spaghetti alla chitarra diffusi nel Centro Italia, che hanno una sezione quadrata dovuta al telaio con cui vengono realizzati. I troccoli, al contrario, già citati da Bartolomeo Scappi nel Cinquecento, sono figli del “troccolaturo”, una sorta di mattarello metallico dalle lame circolari (gradualmente sostituito con l’equivalente ligneo) in grado di creare tagliolini piuttosto spessi e rustici. Quanto al condimento, se nell’entroterra il ragù va per la maggiore, sul Gargano vengono preferiti con i frutti di mare: che si tratti di carne o di pesce meritano un assaggio, anche solo per un detox da orecchiette durante le vostre vacanze pugliesi.

Il raviolone carnevalesco nella regione che (non) esiste
Terminato il tour de force natalizio, siamo tutti già proiettati verso la prossima tappa festiva, con le sue golosissime tradizioni gastronomiche: il Carnevale non viene celebrato solo da chiacchiere e frittelle ma anche da pietanze salate non poco complesse, come il raviolo di Scapoli, a cui il piccolo comune in provincia di Isernia ha dedicato una sagra che si svolge l’ultima domenica di Carnevale. Figlio della cucina del riciclo tipica della cultura contadina, può essere considerato un piatto unico a tutti gli effetti: si tratta di un raviolo rettangolare di pasta all’uovo, grande quanto il palmo di una mano, farcito con patate schiacciate, bieta, macinato di maiale e di vitello, pancetta, prosciutto crudo, salsiccia secca con il cumino (“petratta” in dialetto), scamorza, parmigiano reggiano e uova; il condimento è un sugo di pomodoro semplice, talvolta insaporito con la carne di capra. Essendo alquanto brigoso prepararlo a casa, vi consigliamo di pianificare una gitarella in Molise in occasione della “raviolata” del 26 febbraio.

La collana di pasta abruzzese
Se come noi amate le sagre, questa volta estive, non potete perdere quella in onore di questo formato di pasta tipico del borgo medievale di Elice, in provincia di Pescara. Non solo acqua e farina ma anche tanto olio di gomito: sono questi gli ingredienti dei lunghissimi maccheroni le cui tracce risalgono alla tavola di Roberto d’Angiò, sovrano del Regno di Napoli nella prima metà del Trecento. Sulla sponda pescarese del fiume Fino prendono il nome di “pasta alla molinara”, nelle campagne teramane si parla di “pasta alla mugnaia”: in entrambi i casi la ricetta consiste nel lavorare l’impasto partendo da una ciambella e rendendola sempre più fine, al punto da ottenere lo spessore di circa un centimetro. Una sorta di collana da cuocere per 20-30 minuti in acqua bollente (considerato lo spessore) e da gustare con la classica salsa di pomodoro o con un sugo di castrato, cosparsi da un’abbondante pioggia di pecorino.

Le newsletter de Linkiesta

X

Un altro formidabile modo di approfondire l’attualità politica, economica, culturale italiana e internazionale.

Iscriviti alle newsletter