Si è da poco conclusa l’edizione 2022 del Baccanale di Imola, una rassegna dedicata alla cultura del cibo che, da oltre trent’anni, a novembre anima la cittadina dal cuore romagnolo.
Ogni edizione del Baccanale porta un tema che affonda le sue radici nel cibo e dà vita a un percorso trasversale tra cultura ed enogastronomia, promozione e conoscenza delle tradizioni popolari, valorizzazione delle attività produttive e della ricettività del territorio. Un fil rouge che unisce tre settimane ricche di incontri, mostre, spettacoli, degustazioni, mostre mercato e menu a tema.
Il tema di quest’anno, Ripieni – al plurale perché sono moltissime le tracce nella storia della gastronomia della consuetudine di farcire pasta, carne e verdure – da un lato eccede dalla dimensione strettamente gastronomica, invitando a entrare nelle cose per capirle fino in fondo, dall’altro, si pone come la metafora fisica dell’accoglienza. Tra l’Emilia e la Romagna non possiamo esimerci dal pensare alla pasta fresca ripiena: essa è certamente un goloso involucro che ospita un ripieno, è accoglienza per definizione.
Se siamo d’accordo che il cibo è a tutti gli effetti un prodotto culturale, e quindi fortemente identitario, appare subito chiaro come la pasta ripiena sia non solo sinonimo di accoglienza ma una delle espressioni più identitarie della cucina ben oltre i confini nazionali.
La pasta ripiena, infatti, non una è una declinazione identitaria esclusivamente italiana o europea bensì anche orientale e dei paesi himalayani. In occidente si cominciò a parlare di questa prelibatezza gastronomica nel Medioevo e l’Italia – possiamo affermare con certezza – ancora oggi abbonda di paste ripiene che caratterizzano ogni regione e talvolta ogni provincia. Un esempio? I formati che si incontrano percorrendo la via Emilia – la via Aemilia fatta costruire dal console romano Marco Emilio Lepido – che unisce Rimini e Piacenza e il culto tutto emiliano-romagnolo della pasta fresca fatta in casa, rigorosamente a mano, dalle instancabili – e preziosissime – sfogline.
In questo mondo di tradizione e abilità il punto di partenza è la sfoglia, unico comune denominatore delle dodici forme di pasta della via Emilia ripiena. Senza pretesa di raccontare un panorama così vasto in modo del tutto esaustivo, consapevoli che infinite versioni si celano fra le tradizioni di ciascuna famiglia, nella sapienza culinaria di ogni nonna.
Gli Urciòn di Rimini
Partendo dalla riviera romagnola, nella città di Fellini, le “Azdore” – le regine della cucina – sono dedite alla produzione degli orecchioni – “urciòn” in dialetto romagnolo – il primo piatto delle feste. Esistono diverse varianti per il ripieno – ricotta e spinaci o foglie di barbabietola, formaggio morbido e ortiche o stridoli – mentre sul condimento entra più prepotente la tradizione: sugo di carne o “butì e seiva”, burro fuso, salvia e Parmigiano Reggiano grattugiato.
I cappelletti e i ravioli di Romagna
La pasta ripiena più celebre e diffusa della Romagna sono senza dubbio i cappelletti. Guai a confonderli con i tortellini emiliani, i “caplét”, di cui si hanno testimonianze scritte già nel XIII secolo d.C., si caratterizzano dalla forma panciuta che ricorda il galosa, il copricapo tradizionale dei contadini romagnoli fino all’inizio del Novecento. Nel ripieno – o “compenso” – si delineano le sfumature territoriali.
Lo stesso Pellegrino Artusi nel suo “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” ne distingue sette ricette diverse: i suoi cappelletti all’uso di Romagna sono ripieni di «Ricotta, oppure metà ricotta e metà cacio raviggiolo, mezzo petto di cappone cotto nel burro condito con sale e pepe, e odore di noce moscata, poche spezie, scorza di limone a chi piace».
La Romagna ancora oggi si divide tra il ripieno di formaggio o di carne ma è salda sul condimento: preferibilmente in brodo, ma ammette anche il ragù di carne.
Parlando di ripieni risulta curioso come in epoca medievale due termini che oggi usiamo per indicare due tipi differenti di pasta fresca, i tortelli e i ravioli – entrambi rappresentati in questa regione – fossero in realtà due elementi di una stessa creazione: il tortello come contenitore e il raviolo come contenuto, il ripieno del tortello.
I ravioli sono al novantasettesimo posto delle ricette dell’Artusi: un quadrato di sfoglia racchiude un ripieno che oggi definiremmo fieramente vegetariano, con ricotta, Parmigiano Reggiano e bietola.
Piccola deviazione: la spoja lorda di Brisighella
Una piccola deviazione nell’entroterra faentino è d’obbligo per citare un piatto di recupero: la spoja lorda o “mnëstra imbutida”, letteralmente minestra imbottita.
A Brisighella, uno dei borghi più belli d’Italia, le massaie, per utilizzare i resti della sfoglia dei cappelletti, preparano piccoli quadrati di sfoglia, che vengono quasi lasciati uniti tra loro e imbottiti, appunto, con squacquerone, Parmigiano Reggiano e noce moscata, serviti in brodo o con il ragù di carne.
Il re dell’Emilia: il tortellino
Superata Castel San Pietro Terme entriamo ufficialmente in Emilia dove il re delle paste ripiene è lui: il tortellino. Bisogna andare indietro fino al 1501 per trovare la prima ricetta – molto singolare – dei tortelli bolognesi, ripieni di carne di cappone, formaggio, uova, uva passa e spezie, spennellati con latte e zafferano, fritti e spolverati con lo zucchero.
La ricetta, nel corso di circa cinque secoli, ha subito diverse modifiche: con il ripieno di grasso di rognone, mele cotogne sciroppate e spezie, conditi con formaggio grattugiato, zucchero e cannella prima; con quello di carne di pollo, midollo di manzo e Parmigiano poi, nel Seicento, quando si è stabilizzata fino prima edizione dello scritto dell’Artusi nel 1891. Forse chi, nel 2019, ha gridato allo scandalo per il tortellino dell’accoglienza ripieno di pollo, preparato in occasione della festa San Petronio per coloro che non consumano maiale, questo non lo sapeva. La sostituzione del pollo nel ripieno vede, nella ricetta 9 di Pellegrino Artusi il prosciutto, la mortadella, il midollo, il Parmigiano, le uova e la noce moscata.
Dal 1974 abbiamo la ricetta ufficiale dei “turtlén” o “turtlèin” – nella variante dialettale modenese – depositata in Camera di commercio a Bologna: la carne di maiale è la sola utilizzata sostituendo il midollo di bue al lombo di maiale. Con le carni di gallina o di cappone si prepara un ottimo brodo di accompagnamento.
I balanzoni e i tortelloni a Bologna
Il capoluogo conserva almeno altre due ricette di pasta ripiena: i tortelloni, o tortelloni di vigilia, e i balanzoni. I primi appartengono alla categoria delle minestre asciutte e di magro – preparate storicamente nei giorni in cui non si poteva mangiare carne – hanno la forma che ricorda il tortellino, ma molto più grande, e sono ripieni di ricotta e prezzemolo. Vengono conditi con burro e salvia o con burro e oro, cioè pomodoro.
Ispirati alla maschera di carnevale del Dottor Balanzone, i secondi – chiamati anche tortelli matti – hanno la stessa forma dei tortelloni ma sono preparati con una sfoglia verde a base di spinaci e un ripieno di recupero: quello dei tortellini con l’aggiunta di ricotta e spinaci.
Parma e Piacenza, patria degli anolini
Tra il tortellino bolognese e l’anolino parmense si fa largo il cappelletto reggiano ripieno di carne e la tradizione di consumarlo in brodo con mezzo bicchiere di Lambrusco. Trentotto chilometri più in là, la patria di Giuseppe Verdi, ma anche degli anolini e dei tortelli.
Di anolini – in dialetto parmense anolén – ne scrive già il religioso Salimbene de Adam da Parma nel 1284, nel 1500 Bartolomeo Scappi ne fa un cibo per re e papi ma solo grazie a Pellegrino Artusi diventano prerogativa della cucina popolare. La ricetta 54 è proprio quella degli “Anolini alla Parmigiana”: due dischetti di pasta avvolgono un ripieno ghiotto di pangrattato, Parmigiano Reggiano, noce moscata, un uovo e il sugo di carne preparato con magro di manzo, lardone, burro, cipolla e vino rosso. Vengono tuffati nel brodo di terza preparato con tre tipologie di carne diversa, cappone, manzo e maiale.
I tradizionali tortelli di Parma sono invece quelli d’erbetta – ripieni di ricotta e bietole o spinaci – preparati, secondo un’antica tradizione, la notte di San Giovanni, il 23 giungo “longh col so covvi, tgniss sensa vansaj, foghè in t al buter e sughè col formaj”: lunghi con la loro coda, cioè non di forma rettangolare perfetta, compatti, affogati nel burro e asciugati da abbondante formaggio, il Parmigiano Reggiano, ovviamente.
Piacenza, è il punto di arrivo, territorio di confine con ben tre regioni, ma profondamente emiliano in tema di pasta fresca. Gli anolini piacentini – “anvëin” – hanno una forma a mezzaluna festonata e sono più piccoli di quelli parmensi. La vera differenza del ripieno risiede tutta nel territorio e nella sua vocazione produttiva: qui, nel ripieno, al posto del Parmigiano Reggiano si aggiunge Grana Padano che diventa protagonista nella zona della Val D’arda dove si prepara anche una versione di anolini senza carne, con solo formaggio e pane grattugiato.
Concludiamo il viaggio con una pasta fresca legato al mondo della letteratura: i tortelli con la coda – i “turteil cun la cuà” – ripieni di Grana Padano, ricotta, spinaci, uova e noce moscata – che si narra siano stati inventati nel 1351 dalle cuoche del Castello di Vigolzone, quando qui venne ospitato Francesco Petrarca.
I ripieni aggiungono sapore, lo completano, lo arricchiscono, riempiono i vuoti.
La via Emilia è solo una delle tante strade dei ripieni – casa per alcuni, meta turistica per altri – e delle declinazioni territoriali e personali di qualcosa che appartiene a un sistema alimentare e culturale molto più ampio e che ci accomuna tutti: il ripieno è un abbraccio che simbolicamente offriamo a chiunque si sieda insieme a noi intorno al tavolo.