A volte anche il più convinto garantista risponde male, e cioè negando, se gli si addebita di essere amico dei delinquenti: insomma di stare dalla parte dei ladri anziché da quella delle guardie. È comprensibile, ma è appunto un errore perché la risposta dovrebbe essere quest’altra: «Sì, certo».
Il garantista sta sempre dalla parte dei corrotti, dei tangentisti, dei disonesti, quando essi sono sottoposti alle cure di giustizia e alla pretesa punitiva del potere pubblico: perché essendovi sottoposti essi sono la parte debole, quella che perciò, e cioè per quello stato di soggezione, tanto più merita l’attenzione garantista.
E l’esigenza è tanto più urgente quando la giustizia e il potere pubblico si giustappongono al poco di buono, al mariuolo, al criminale, con fare non solo inquisitorio, ma moraleggiante, nell’ostentazione dell’onestà giudiziaria e delle mani pulite, intestandosi la difesa delle vittime proprio mentre ne fanno altre, ma con violenza legittimata dal sigillo di Stato.
E siccome l’andazzo è pressoché sempre questo, con quella giustizia e quel potere pubblico posti a usurpare una posizione di supremazia morale che non ha conferito proprio nessuno, e certamente non la legge cui essi in primo luogo dovrebbero essere subordinati, occorre parteggiare per principio in favore della controparte: la persona, l’individuo che diventa il soggetto debole per il sol fatto di essere soggetto alla forza dello Stato.
La presunzione di innocenza, la guarentigia per il fatto che quell’individuo possa in realtà non essere responsabile di ciò che il potere pubblico gli imputa, sono pur importantissimi criteri protettivi ma in realtà semplici corollari di un principio superiore, il quale non ha nulla a che fare con la colpa, con la fondatezza o no dell’accusa e via discorrendo: vale a dire che l’ordinamento democratico e liberale, quello che qui non è vigente, si predispone al proprio contenimento, si auto-limita e dunque protegge, oltre e anzi prima che sé stesso, le vittime della propria forza, garantendo loro diritti non perché non hanno commesso delitti, non perché sono innocenti, ma perché sono assoggettati a quell’imperio.
Il garantista tiene in sospetto il potere pubblico, e quello giudiziario in particolare, non perché esso è esercitato male, ma perché è potere, il quale in sé reca il pericolo di essere esercitato male, tanto più quando si ammanta di bene: e lo tiene in sospetto perché, anche se quello si esercita correttamente, lo fa in ogni caso sui diritti degli individui, per i quali occorre avere simpatia non perché sono buoni ma perché sono individui.
Quindi, sì, c’è caso che il garantista sbagli: sbaglia quando non si pone per principio, sempre e in ogni caso, dalla parte degli imputati e dei condannati, cioè i deboli.