Campo San Beneto è uno di quegli indirizzi segreti di una Venezia un po’ defilata e poco battuta dal popolo delle vacanze. Eppure, è qui che si trova Palazzo Pesaro Orfei, gioiellino del Quattrocento veneziano più famoso, forse, come Palazzo Fortuny. I danni provocati dalla acqua granda di un paio d’anni fa ne avevano consigliato la chiusura e un sostanziale, quanto necessario, restauro.
Dopo due anni di intenso lavoro, Palazzo Fortuny apre nuovamente le sue porte. Col botto, verrebbe da dire: oltre al restauro e al riallestimento del piano terra e del primo piano del palazzo, infatti, la novità consiste nel recupero e nella apertura al pubblico del secondo piano dell’edificio. Restauro, restyling e allestimento, tutto firmato dall’architetto, regista e scenografo Pier Luigi Pizzi.
Grazie ai suoi interventi, il palazzo ha riacquistato tutto il suo appariscente e inappellabile glamour, lo stesso di quando, nelle sue sale gotiche, Mariano Fortuny y Madrazo, pittore, incisore, scenografo e molto, molto altro, abitava, creava, lavorava. Fortuny? Ma chi era costui? Mariano Fortuny nasce (nel 1871) in una famiglia di artisti e intellettuali di Granada, da qui inizia un suo personalissimo e originale Grand Tour che lo porta prima a Parigi e poi diciottenne a Venezia, città che non abbandonerà mai, fino alla sua morte.
Tra i palazzi e i campielli della Serenissima, agli inizi del Novecento, Mariano apre la sua casa alla migliore intellighenzia europea e all’élite intellettuale del tempo: Gabriele d’Annunzio, Marcel Proust e Hugo von Hofmannsthal, solo per fare qualche nome, sono una presenza nel suo salotto. Ha molti interessi, il giovane Fortuny: primo fra tutti quello per la pittura e lo testimoniano i diversi ambienti della sua abitazione affollati di suoi dipinti, spesso copie (da Goya, Tintoretto e Tiepolo), ma anche soggetti originali ispirati ai lavori di Wagner, paesaggi, incisioni, ritratti.
Le sorprese di Casa Fortuny iniziano con l’inaspettato (è al primo piano!) e suggestivo jardin d’hiver riprodotto con un trompe-l’oeil magicamente illusorio, affollato di ninfe seducenti, satiri sfacciati e animali esotici. Da qui si passa al portego aperto sui lati corti con due straordinarie polifore affacciate su campo San Beneto e rio Ca’ Michiel: tutto (o quasi) è rimasto come quando la casa era abitata dai due Fortuny, Mariano e Henriette, moglie, musa ispiratrice e artista.
La documentazione fotografica di questo salone, così come Mariano stesso lo aveva arredato, ha guidato l’allestimento di questo spazio scenografico dove tendaggi, divani, cuscini, stoffe preziose e lampadari in seta fanno da sfondo a mobili d’epoca, collezioni (altra passione dei Fortuny, collezionisti seriali di oggetti raffinati e rari ma anche di trouvaille pescate nei mercatini), sculture, bronzetti, calchi in gesso.
Accanto al portego, la Sala della Moda sbalordisce il visitatore: è una sorta di showroom eccentrico e sgargiante dove sono riuniti manichini che, tra giochi di veli, indossano l’abito Delphos (un peplo in seta plissettata amato da Sarah Bernhard, da Isadora Duncan e dalla Duse) o che si avvolgono, in fantastiche combinazioni cromatiche, nel sontuoso scialle Knossos. Delphos e Knossos usciti, ovviamente, dalla fantasia e dalla geniale creatività di Mariano ed Henriette.
Ma è il secondo piano, fino ad oggi off limits alle visite, che svela e racconta le abilità e le sperimentazioni nei diversi campi delle arti di Fortuny. Qui, infatti, sono stati ricostruiti gli atelier dove faceva le sue prove da incisore, da fotografo, da scenografo e light designer ante litteram e, soprattutto, da stampatore su stoffa. Qui sono nati i primi tessuti che sembravano (sembrano, ancora oggi: la loro produzione non si è interrotta…) damaschi, broccati, lampassi e, invece, sono cotoni o lini stampati con motivi tratti dal mondo dell’antichità classica, dai dipinti di Carpaccio o di Bellini, secondo tecniche ancor oggi segrete.
«Quelle vesti di Fortuny fedelmente antiche ma potentemente originali che facevano comparire come uno scenario, ma con maggior forza rievocativa, perché lo scenario restava da immaginare, la Venezia tutta impregnata d’Oriente in cui esse sarebbero state indossate…». Parola di Marcel Proust.
Se siete alla ricerca di una sistemazione per la notte
Sulla Strada Nova, una delle arterie più cool di Venezia (è quella, per capirci, che dalla Stazione porta a San Marco), tra Palazzo Vendramin Calergi (tutti lo conoscono come sede del Casinò) e la Ca’ d’Oro si trova Ca’ Gottardi. Quasi nascosta in un palazzotto del XV secolo, affacciato sul Rio de Noal, proprio di fronte allo splendore barocco di Ca’ Pesaro, è un gioiellino di discrezione e accoglienza, a due passi da tutto quanto fa Venezia: il Ghetto, il mercato di Rialto, il Canal Grande.
La decorazione degli interni è volutamente arricchita da arredi che sintetizzano al massimo la venezianità: tappezzerie che ricordano i tessuti di Fortuny, colori che spaziano da tenui tonalità pastello a cromatismi più accesi, vetri e lampadari made in Murano, specchiere dorate e oggetti di antiquariato, pavimenti in parquet e seminato veneziano.