La notte del primo gennaio l’esercito ucraino ha effettuato un attacco mirato con una batteria di Himars contro un edificio scolastico a Makiivka, nella regione di Donetsk, utilizzato dai russi come caserma. Il bombardamento in sé non è certo una novità, così come l’incapacità russa di intercettare il razzo. Piuttosto, ciò che ha fatto scalpore sono sia l’entità delle perdite subite, sia la modalità con cui gli ucraini hanno individuato l’obiettivo. Mosca ha infatti ammesso che nell’attacco sarebbero rimasti uccisi almeno 63 dei propri soldati, mentre fonti ucraine e blogger di guerra nazionalisti russi (milbloggers) parlano di svariate centinaia di caduti. Che la loro posizione sia stata tradita dall’uso di smartphones da parte di alcune reclute aggiungerebbe una malevola beffa al danno.
Se telefonando
Le forze armate russe rivendicano da decenni la supremazia militare nello spettro elettromagnetico, facendo vanto di sistemi avanzati e personale capaci di leggere, disturbare e sfruttare i segnali emessi dagli eserciti avversari. Durante il periodo di guerra a bassa intensità, fra il 2015 e il 2022, gli occupanti facevano regolarmente uso dello spettro elettromagnetico per intorbidire le acque sulla linea di contatto fra ucraini e separatisti. Ci sono stati casi in cui soldati di Kyjiv ricevevano sms e messaggi WhatsApp provenienti dall’altra parte che intimavano di abbandonare le trincee e di pensare alle proprie famiglie rimaste a casa.
Ma la digitalizzazione non ha aperto soltanto le porte a raffinate operazioni informative.
La progressiva interconnessione dei sistemi d’arma ha permesso di immaginare che una forte componente cyber ed elettromagnetica potesse permettere di disturbare le operazioni nemiche e individuare con più precisione l’avversario, creando un ambiente degradato dentro al quale gli eserciti fanno più fatica a manovrare. Come se non bastasse, l’arrivo di uno smartphone nelle tasche di ogni soldato ha aperto nuove prospettive per l’intelligence (senza parlare degli smartwatches e delle sigarette elettroniche). Qui non bisogna pensare tanto ad azioni di spionaggio di alto profilo, quanto a informazioni tattiche che permettono alle forze sul campo di orientarsi, decidere e agire con più consapevolezza dell’avversario. Ciò è possibile soprattutto quando si fa ricorso a telefoni e radio non criptate o quando i singoli soldati postano immagini e video sui social: i segnali sono spesso riconducibili a posizioni Gps, mentre la geolocalizzazione (che sia digitale o visiva, ad esempio ricostruendo la posizione usando paesaggi e l’altezza del sole sullo sfondo di una foto) offre indizi sul tipo di unità schierata in un settore del fronte.
Falle di sicurezza e aiuto occidentale
Non c’è modo di sapere con certezza se la versione degli eventi fornita dalle autorità separatiste (la sedicente repubblica popolare di Donetsk, Dnr) sia accurata. Tuttavia, non sarebbe la prima volta che i soldati russi svelano la propria posizione a causa di un utilizzo troppo disinvolto dei cellulari. Già in passato, il sito investigativo Bellingcat era riuscito a individuare diverse formazioni russe in Siria e nei territori ucraini occupati, mentre nelle prime fasi di questa guerra i soldati russi, totalmente impreparati e privi di radio con standard di sicurezza militari, si erano esposti alle imboscate ucraine producendo un traffico radio-elettronico equivalente ad accendere un enorme falò nella notte.
Ciò che rende il caso di Makiivka particolare è quanto esso sia sintomatico della scarsa organizzazione russa e dei limiti strutturali di cui soffre la forza di invasione. Le autorità della Dnr sostengono che gli ucraini avrebbero utilizzato il sistema americano Echelon, una rete di portata globale per la detezione e l’elaborazione di Sigint (signal intelligence). È noto che Kyjiv riceva alcuni pacchetti informativi e intercettazioni da Stati Uniti, Regno Unito e forse Germania, utili all’individuazione di obiettivi per l’artiglieria e incursioni coi droni. Da scartare è però l’ipotesi che gli ucraini abbiano diretto accesso a Echelon, e la giustificazione della Dnr rivela il solito linguaggio del Cremlino con il quale i russi e i loro alleati giustificano i propri fallimenti, additandoli a un intervento diretto della Nato.
Soprattutto, il probabile uso di informazioni occidentali non giustifica una mancanza di sicurezza operativa da parte dei russi. Per “sicurezza operativa” si intendono quelle misure con cui un’unità di combattimento cerca di evitare proprio i casi menzionati sopra: la fuga di notizie critiche, l’emissione di segnali elettromagnetici tramite l’utilizzo di cellulari non autorizzati, e in generale, la moltiplicazione di pericoli evitabili per i soldati schierati. Non si tratta di una semplice lista di regole, ma di un processo analitico che tiene conto anche del comportamento nemico, delle sue capacità e del contesto militare.
Scaricabarile sul fronte
Proprio questa flessibilità è qualcosa verso la quale gli ufficiali russi si sono dimostrati poco portati, complice una struttura di comando opaca. L’Institute for the Study of War ipotizza che la sicurezza operativa a Makiivka sia stata affidata ad autorità separatiste proprio per allontanare la colpa di queste catastrofi dal ministero della Difesa russo. Allo stesso tempo, la Dnr è frammentata da diversi conflitti politici intestini che pongono banalità come l’incolumità dei soldati in secondo piano. Allo stesso tempo, è verosimile che le truppe irregolari schierate nella regione – mercenari Wagner, ceceni, miliziani Rosgvardia – abbiano misure di sicurezza operativa eterogenee e incompatibili fra loro, che si tratti per l’appunto dell’utilizzo di telefoni o la distribuzione di munizioni e carburanti pericolosi lontani dalle caserme.
Ancora una volta, le forze armate russe si sono dimostrate impreparate a combattere una guerra moderna. Al di là del colabrodo elettromagnetico con cui sono andati in battaglia, il problema alla base delle operazioni russe rimane un fondamentale disinteresse per l’umanità anche dei propri soldati. È normale che una recluta impaurita, richiamata per una guerra nella quale non crede e mandata senza preparazione al fronte, rischiando di unirsi ai centomila fra morti e feriti degli ultimi dieci mesi, voglia rimanere in contatto con la propria famiglia. Che tutto ciò venga considerato con più attenzione dall’artiglieria ucraina che dai comandanti russi ha qualcosa di tristemente ironico.