Ambiguità verdiLa gentrificazione climatica è il grande rischio dei progetti di riforestazione urbana

La copertura arborea delle città deve essere equa, non solo ampia. Genova, ad esempio, ha quasi il trenta per cento del territorio rivestito da alberi, ma solo grazie ai boschi delle valli del Bisagno e del Polcevera dentro il perimetro comunale. Le medie cittadine che derivano da studi e report sono spesso fuorvianti: bisogna ragionare per quartiere

Lo studio pubblicato su Lancet su quante vite si salverebbero nelle città europee mettendo a dimora più alberi ci ricorda innanzitutto quanto di caldo si possa morire. Letteralmente. Ogni estate. La ricerca è stata fatta sui dati dell’estate 2015, ma sarebbe stato interessante vederne i numeri sull’afa del 2016, l’anno con l’estate più calda mai registrata. In ogni caso, nel 2015 le morti premature evitabili da isole di calore sono state settantacinque a Napoli, sessanta a Milano, quarantadue a Bologna, oltre duecento a Roma. 

Persone che non sono arrivate a vedere l’autunno perché le temperature erano troppo alte, soprattutto a causa del microclima urbano di cemento, asfalto e smog che chiamiamo isola di calore e che rende le aree urbane fino a 4°C più calde delle campagne circostanti. Questi decessi sono stati il 4,3 per cento della mortalità totale durante i mesi estivi e dell’1,8 per cento della mortalità durante tutto l’anno. 

La ricetta dello studio, che è stato condotto dal Barcelona institute for global health, contro le morti da isola di calore è portare la copertura arborea delle città al trenta per cento della superficie urbana, di fatto raddoppiandola (oggi siamo al 14,9 per cento). Se un terzo dei nostri spazi cittadini fosse coperto di vegetazione, dicono i ricercatori, la temperatura media si abbasserebbe di 0.4°C, e questo calo avrebbe un effetto sanitario diretto: meno problemi cardiovascolatori e respiratori, meno infarti, meno collassi, meno vittime. Le morti da calore in città così verdi si ridurrebbero di più di un terzo: -39,5 per cento. In tutta Europa, quell’anno ci sono state 6.700 vittime accertate da alte temperature: 2.644 potevano essere evitate da una distribuzione equa e ampia della vegetazione.

Il punto è che la copertura dovrebbe essere, appunto, equa e non solo ampia. Come spiega Giorgio Vacchiano, docente di pianificazione forestale all’Università di Milano, «il trenta per cento come dato medio su tutta la città può essere fuorviante, bisogna vedere come e dove sono distribuiti gli alberi. Il rinfrescamento è un fenomeno molto locale. La media di rinfrescamento delle città dello studio di Lancet può essere di 0,4°C, ma in prossimità di un’area verde può essere molto più alta e lontano da lì inesistente». 

A un abitante di un quartiere periferico cambia poco che a due chilometri o dieci fermate di metropolitana di distanza i viali siano pieni di alberi e ci siano grandi parchi. La temperatura media delle città è come il pollo di Trilussa: se uno mangia due polli e un altro nessuno, la media fa uno, ma la media non dice molto, perché uno dei due è rimasto a digiuno. «Dobbiamo ragionare su scala più fine, per capire quali sono le zone più vulnerabili», aggiunge Vacchiano, che propone di andare oltre il trenta per cento di media urbana (già obiettivo di diverse città) e di usare la regola del 3-3-300, codificata da Cecil Konijnendijk, docente di Ecologia forestale all’Università di British Columbia. 

È lo standard aureo del verde urbano, e funziona così: da ogni casa devono essere visibili tre alberi (fate l’esperimento ora con la vostra finestra), la copertura del trenta per cento deve essere su base quartiere e non su base città, e ogni abitante deve vivere a non più di trecento metri dal più vicino parco o area verde (altro calcolo che potete fare facilmente ora). «Questa struttura garantisce che ogni persona possa accedere alla propria dose di verde urbano». Il resto è gentrificazione climatica, che è il grande rischio dei progetti di riforestazione urbana, il verde solo a chi se lo può permettere, nei quartieri con più valore immobiliare, la sindrome dei boschi verticali.

Aumentare la quantità di alberi in città, ci ricorda lo studio, è un tema che dovrebbe uscire dalle questioni di arredo urbano e anche di stretta materia ambientale e che dovrebbe essere trattato come quello che è: un’emergenza sanitaria. Roma in una sola estate ha avuto più di duecento vittime per le alte temperature, vuol dire più di due morti di crisi climatica al giorno, tutte vittime politicamente invisibili. E le temperature stanno aumentando, abbiamo già una possibilità su due di sforare nel corso di questo decennio un aumento della temperatura media globale di 1.5°C rispetto a com’era il clima sulla Terra prima della rivoluzione industriale. 

Ricordiamo che queste sono temperature medie: l’Europa si scalda al doppio della media mondiale, le città si scaldano al doppio della media delle campagne. Le isole di calore diventeranno sempre più pericolose. A oggi le città italiane sono messe così: Milano ha una copertura di solo il 6,40 per cento di alberi, che però quasi triplica (sedici per cento) se consideriamo la città metropolitana. Con il piano ForestaMI la città programma di salire al venti cento. 

Napoli ha il 13,05 per cento di superficie arborea, Roma l’8.99 per cento, Genova ne ha quasi il trenta per cento ma solo perché, come fa notare Vacchiano, «ha tutti i boschi delle valli del Bisagno e del Polcevera dentro il perimetro comunale». Insomma, un altro caso in cui la media non può dire tutta la verità. «Diverse città del mondo hanno stabilito un target del trenta per cento, ma sono spesso in Nord Europa o negli Stati Uniti. Conta tantissimo il design urbano: per mettere così tanti alberi la città deve essere stata concepita e progettata insieme agli alberi. Non è però l’unica strategia possibile: Barcellona ha il piano di implementare tetti verdi, più facile visto che lì il sessanta per cento dei tetti sono terrazze». 

Servono idee innovative, e per fortuna ce ne sono diverse già in circolo. Tra le buone pratiche di forestazione urbana citate dal C40, il network globale di città in prima linea contro la crisi climatica, c’è quella di Los Angeles, che ha l’obiettivo di aumentare la copertura del cinquanta per cento nelle aree in maggiore bisogno entro il 2028 (anno olimpico). 

A Barcellona tengono conto anche della biodiversità, per bilanciare il dominio di determinate specie: dal 2060 nessuna potrà rappresentare il quindici per cento del totale, per rendere il verde urbano più resiliente a malattie o shock. Inoltre, il quaranta per cento degli alberi deve essere adattabile alla crisi climatica: d’altra parte non avrebbe senso combattere il caldo piantando alberi che saranno uccisi dal caldo. E non contano solo i grandi alberi, vanno bene anche soluzioni innovative, come alla stazione degli autobus di Heerlen, in Olanda, con la sua copertura naturale fatta di vite.  

Gli alberi devono essere integrati con la mobilità sostenibile o il trasporto pubblico urbano, in questo è un modello quello dei corridoi verdi di Medellin, in Colombia. E possono funzionare anche gli incentivi privati, come quelli di Washington, dove piantare un nuovo albero dà diritto a un contributo di cento dollari. Insomma, non esistono un solo metodo, una sola soluzione, o un numero magico, ma le città del mondo devono diventare più verdi, devono diventarlo in fretta e devono farlo in modo socialmente equo, perché è una questione di vita o di morte.

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