L’eredità di DraghiL’Italia è a un passo dall’indipendenza energetica dalla Russia

L’ex ministro per la Transizione Ecologica, Roberto Cingolani, spiega a Linkiesta la strategia che ha permesso il disallineamento dal gas di Mosca. L’obiettivo di zero acquisti entro il 2024 è raggiungibile grazie agli «accordi ombrello»

L'ex ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani con l'allora premier Mario Draghi
Roberto Monaldo/LaPresse

Siamo a un passo dalla fine della dipendenza italiana dal gas russo. Una condizione che è diventata necessaria dopo l’invasione dell’Ucraina e che, in meno di un anno, ha visto prima il governo Draghi e poi quello Meloni impegnati in viaggi all’estero, incontri, accordi, tutti con un unico obiettivo: smettere di importare da Mosca. Quanto misura però, numericamente, questo passo?

Secondo le ultime rilevazioni, quelle di gennaio 2023, solo il 6,9 per cento del gas importato dall’Italia è di provenienza russa. Ma non è il dato più basso tout court. A ottobre 2022 infatti, ne è arrivato solo lo 0,6 per cento. Questi sono segni evidenti del fatto che la premier, e in particolare il ministro Pichetto Fratin, stanno lavorando in piena continuità con il piano ideato da Mario Draghi e dall’allora ministro per la Transizione Ecologica, Roberto Cingolani.

A febbraio 2022 infatti, l’esecutivo dovette correre ai ripari rapidamente, per evitare che, continuando ad acquistare gas russo, l’Italia potesse finanziare l’avversario dell’esercito che stava e sta tuttora supportando, fornendo armi e mezzi militari (ossia quello ucraino). Al momento dello scoppio della crisi, la priorità numero uno è stata quella di trovare altrove i circa ventinove miliardi di metri cubi di gas per sostituire quelli che di solito, mediamente, l’Italia prendeva dalla Russia, provando contemporaneamente a spingere sulle rinnovabili.

Come fare però? Innanzitutto, si è dovuto mettere di nuovo a piena potenza le centrali a carbone preesistenti sul territorio italiano (sono sette: Portovenere, Porto Torres, Civitavecchia, La Spezia, Fusina, Monfalcone e Brindisi), stabilendo però che questo regime non potesse durare per più di 18-24 mesi.

Come secondo atto poi, si è dovuto diversificare. «Abbiamo pensato di andare a parlare con i Paesi produttori in Africa – dice a Linkiesta l’allora ministro Cingolani –, perché, evidentemente, acquistare gas da più nazioni ci permette di essere meno dipendenti dai cambiamenti geopolitici. È davvero impensabile che d’un tratto tutti gli Stati da cui compriamo gas interrompano la partnership».

Per questo, in alcuni casi con la mediazione dell’Eni (come in Algeria, dove l’azienda aveva già un accordo con la locale Sonatrach, o in Libia, dove Giorgia Meloni la settimana scorsa ha chiuso il più grande accordo per fornitura di gas degli ultimi vent’anni), in altri addirittura con l’intervento del Presidente della Repubblica Segio Mattarella (che è andato in visita ufficiale in Mozambico e nella stessa Algeria), l’Italia ha iniziato un percorso di smarcamento da Mosca che sta portando grandi risultati.

A oggi, infatti, l’obiettivo dell’arrivo a zero acquisti dalla Russia entro il 2024 appare raggiungibile, grazie ai cosiddetti «accordi ombrello». Le delegazioni arrivate in Africa hanno sottoposto un accordo specifico: da una parte l’acquisto di gas, dall’altro una collaborazione ufficiale su ricerca, istruzione e sviluppo di tecnologie per le rinnovabili in loco. Questo ha fatto sì che i compromessi fossero molto più solidi.

Non solo: al di là del gas aeriforme, che passa per le condutture che attraversano e connettono l’Italia più degli altri Paesi europei, sono stati formalizzati contratti per la fornitura di Gnl (gas naturale liquefatto).

«Lo abbiamo fatto – prosegue Cingolani – perché le infrastrutture che abbiamo possono trasportare un certo quantitativo di gas. Non è un numero infinito. Il Gnl che arriva da Mozambico, Congo e Angola alimenta i tre rigassificatori che abbiamo e che di solito lavoravano al 65 per cento della capacità, mentre ora vanno al cento per cento. Inoltre, abbiamo fatto in modo di installare altri due rigassificatori galleggianti, che entro due o tre mesi entreranno in funzione. Il loro grande vantaggio è che a fine crisi verranno smontati e rivenduti ai paesi che ne hanno bisogno».

Alla prova dei fatti, l’inverno è passato più o meno indenne, nonostante mancasse gran parte del gas russo. Certo, non ci sono state crisi dovute alle temperature, perché è stato uno degli inverni più caldi di sempre, ma comunque l’Italia non è mai stata in sofferenza.

Un’altra misura necessaria, che ha visto una contrapposizione tra i paesi “frugali” e quelli meridionali dell’Ue, è stata quella sul tetto al prezzo del gas al Ttf, il mercato virtuale per il gas con sede nei Paesi Bassi. Dati alla mano, da quando è stato posto un limite, i consumatori ne hanno giovato.

Arera, l’Autorità di regolazione per energia reti e ambiente ha evidenziato come a gennaio il prezzo delle bollette sia sceso del 34,2 per cento. Se a fine agosto un megawattora di gas costava circa trecento euro, dopo l’introduzione del tetto a fine dicembre ne costa intorno ai sessanta. Un cambio di rotta sostanziale che fa il bene dell’Italia e degli Stati che non avevano il potere economico di altri partner europei.

Dunque, una volta archiviata la dipendenza dalla Russia, ci saranno altre priorità, che riguardano più la distribuzione che l’approvvigionamento. L’Italia dovrà mettere mano ai dossier infrastrutturali, primo su tutti quello riguardo Sulmona. Sì, perché la conduttura che attraversa da Sud a Nord il paese, subisce un restringimento di circa quattrocento chilometri, da Sulmona, in Abruzzo, fino all’Emilia Romagna.

Ovviamente un restringimento causa un minore afflusso di gas e genera problemi a lungo termine. Aggirato questo ostacolo si marcerebbe a pienissimo regime. «Io sono convinto – conclude Cingolani – che i russi siano più incavolati di noi. Non penso che tutti siano contenti di vedere il peggioramento della loro condizione di vita a causa di una guerra che logora anche loro e che gli sta costando tantissimo. Però noi dobbiamo pensare all’Italia. Il gas, l’energia, è poco ideologizzabile, non è che si presta a grandi speculazioni: sono numeri. Tutto sommato è stato fatto un buon lavoro. Stiamo andando avanti, mi sembra molto bene».

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