Nell’ultima occasione utile del 2022 e dopo quasi un anno di discussioni in merito, i ministri dell’Energia dell’Unione europea si sono faticosamente messi d’accordo: dal prossimo febbraio verrà applicato un tetto al prezzo del gas importato in Europa.
Come funzionerà il tetto
Il ministro ceco Jozef Síkela, che ha presieduto la riunione, ha definito «un compromesso bilanciato tra due fronti» quello trovato tra i suoi omologhi. Da un lato, ha spiegato in conferenza stampa, si concorda un «meccanismo efficace» per proteggere cittadini e imprese dagli aumenti eccessivi dei prezzi, dall’altro ci si assicura che il mercato europeo resti attrattivo per i fornitori di gas.
In concreto, il meccanismo di correzione del mercato si puo applicare dal 15 febbraio 2023 e prevede che entri in vigore un tetto massimo solo quando i prezzi del gas superano la soglia di 180 euro/megawattora per tre giorni consecutivi di contrattazione.
Non solo: negli stessi tre giorni, il prezzo del gas naturale liquefatto a livello globale deve essere inferiore per più di trentacinque euro a quello registrato nel mese precedente al Ttf di Amsterdam, il mercato principale di riferimento per la compravendita di gas in Europa.
Soddisfatte queste condizioni, si applica una soglia di costo massima, non fissa ma «dinamica»: il prezzo di riferimento del gas naturale liquefatto a livello mondiale, maggiorato di trentacinque euro/megawattora. Se quest’ultimo scende sotto i 143 euro/megawattora, il price cap si forma comunque aggiungendo trentacinque euro a 143.
Questa soglia si applica a tutti i contratti stipulati per forniture di gas da corrispondere a un mese, a tre mesi o a un anno di distanza dalla stipula. Ne restano esclusi soltanto quelli concordati tra privati senza intermediazione del mercato e quelli per consegne giornaliere o nel giorno successivo.
Una volta attivato, il tetto rimane in vigore per venti giorni di contrattazione, salvo una serie di condizioni che ne rendono «automatica» la disattivazione. Può accadere se per tre giorni consecutivi il prezzo scende di nuovo sotto i 180 euro/megawattora o se la Commissione europea dichiara un’emergenza di approvvigionamento, anche a livello regionale.
Esiste anche un «meccanismo di sospensione» dello strumento nel suo complesso, che entrerebbe in gioco in caso di rischi per l’approvvigionamento energetico dell’Unione. Il monitoraggio della situazione è affidato all’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (Esma) e all’Agenzia per la cooperazione fra i regolatori nazionali dell’energia (Acer).
Se dovesse farsi allarmante, la Commissione adotterà per sospendere lo strumento una implementing decision, cioè una procedura che non ha bisogno dell’approvazione del Consiglio. Nello specifico, le condizioni necessarie per la sospensione sarebbero un aumento dei consumi di gas pari al quindici per cento in un mese o al dieci per cento in due mesi, oppure un calo significativo nelle importazioni di gas naturale liquefatto o nei volumi scambiati al Ttf rispetto all’anno precedente.
Una strada accidentata
Sono probabilmente queste le «maggiori garanzie» di cui ha parlato la commissaria europea all’Energia Kadri Simson durante la conferenza stampa di spiegazione dell’accordo.
E rappresentano anche la moneta di scambio ottenuta dalla Germania in questa complicata trattativa, che nella sua parte finale ha visto i tedeschi spalle al muro: era chiaro che la maggioranza qualificata per approvare la misura (il cinquantacinque per cento degli Stati membri con almeno il sessantacinque per cento della popolazione totale dell’Unione) sarebbe stata raggiunta anche senza di loro.
Tanto che alla fine il governo di Berlino ha sostenuto il compromesso finale, come emerge da fonti comunitarie (il Consiglio non pubblica ufficialmente i risultati dei voti interni). Il ministro Robert Habeck ha ribadito il suo scetticismo, ma accettato il compromesso proprio grazie alle «salvaguardie» e ai meccanismi di monitoraggio, che a suo giudizio scongiurano il rischio di carenze nelle forniture.
Il fronte dei contrari al price cap si è quindi sgretolato: Austria e Paesi Bassi si sono astenute, mentre l’Ungheria è stata l’unica a uscire allo scoperto votando contro.
La posizione del governo di Viktor Orbán non era una novità, ma è stata rimarcata dal ministro degli Esteri e del commercio ungherese Péter Szijjártó: «È una misura dannosa, pericolosa e completamente non necessaria. Lo prova il fatto che il continente abbia resistito senza, da agosto a oggi».
Di parere opposto il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica italiano Gilberto Pichetto Fratin, secondo cui questa mossa è «il primo passo per calmierare il prezzo delle bollette». Il governo italiano, del resto, è stato uno dei più ferventi sostenitori del price cap, già durante il mandato di Mario Draghi da presidente del Consiglio.
Alla fine i Paesi favorevoli l’hanno spuntata, ma ci sono volute pressioni straordinarie, compresa una lettera piuttosto esplicita alla Commissione, che nella sua proposta prevedeva invece un price cap molto più blando, attivabile solo sopra i 275 euro/megawattora. I ministri l’hanno modificato dopo varie riunioni: «Convocheremo tutti i Consigli che saranno necessari» era scritto sulla felpa con cui si è presentato in conferenza stampa Jozef Síkela, che sicuramente può rivendicare il complesso lavoro di mediazione.
Durante tutto il prossimo anno verranno effettuate valutazioni dalle agenzie competenti e a novembre 2023 la Commissione tirerà le somme, magari proponendone l’estensione.
Intanto il prezzo al mercato di Amsterdam sembra già risentire dell’accordo: nel giorno dell’intesa il future sul metano con consegna a gennaio registra un calo finale del sei per cento a centootto euro/megawattora. Alle quotazioni attuali il price cap non servirebbe, ma in futuro potrebbe rivelarsi utile.