Nel difficile rapporto tra la Serbia e l’Unione europea si finisce sempre per citare la Russia. Spesso però si danno per scontate le ragioni del legame così stretto tra Belgrado e Mosca, tema oggetto del recente report “Why still Pro-Russia?” della Henry Jackson Society. Al centro, un sondaggio condotto sui cittadini di due Paesi per certi versi simili in questa prospettiva, Serbia (sulla quale ci concentreremo) e Ungheria.
Il rapporto recente tra Serbia e Russia si è rafforzato per l’eredità degli anni Novanta (che videro il bombardamento Nato su Belgrado del 1999, cui si oppose la Russia) e per la posizione comune per il Kosovo, riconosciuto da molti governi europei ma non da Mosca. Questi temi «aiutano a perpetrare la narrazione secondo cui i russi sono sempre al fianco dei serbi, al contrario dei Paesi occidentali», afferma Helena Ivanov, ricercatrice associata alla Henry Jackson Society e autrice del report con la professoressa Marlene Laruelle.
In questo scenario, non giova l’accidentato percorso di adesione di Belgrado all’Unione europea. «Molti serbi non credono che entreranno presto e, in questo senso, non aiutano dichiarazioni come quella di Emmanuel Macron (freddo in passato sull’allargamento nei Balcani, ndr), che scontentano anche i serbi europeisti, accrescendo il sentimento pro Russia».
Su queste basi, la propaganda ha ovviamente buon gioco. Sputnik non ha mai chiuso il suo ufficio a Belgrado, operando anche dopo la scoppio della guerra in Ucraina e nella capitale serba è arrivata anche Russia Today, preceduta da una campagna pubblicitaria imponente («finalmente siamo arrivati», recitano i cartelloni pubblicitari a Belgrado) e trasmissioni in cui si dichiara senza ambiguità che «il Kosovo è Serbia».
Queste testate, afferma Ivanov, «continuano ovviamente a dire che la Russia è un partner affidabile per la Serbia e che l’Occidente è il nemico. Sputnik per esempio ha scritto due articoli molto critici sul mio report, distorcendo le mie parole e le conclusioni».
Ma la propaganda russa passa anche per canali meno tradizionali. «Ci sono canali Telegram e piattaforme social costantemente usate da troll russi per promuovere fake news, narrative distorte e propaganda russa. Alcune delle cose che circolano hanno un impatto diretto su ciò che la gente pensa della Russia, dell’Occidente e dell’invasione dell’Ucraina».
Non stupisce quindi se, per il sondaggio della Henry Jackson Society, il politico straniero più apprezzato in Serbia è Vladimir Putin (al sessanta per cento di gradimento), seguito dal presidente cinese Xi Jinping (quarantaquattro per cento), mentre il leader ucraino Volodymyr Zelensky ottiene un misero 3,5 per cento, peggio anche di Joe Biden (fermo al 6,4 per cento).
Per Ivanov, la guerra in Ucraina ha poi influito anche sulle elezioni presidenziali dell’aprile 2022: il 58 per cento dei votanti ha riconfermato Aleksandar Vučić, lasciando il secondo candidato, Zdravko Ponoš, al diciotto per cento. «Con la guerra Vučić ha potuto presentarsi come il garante della pace e della stabilità» (il suo slogan era proprio “Pace. Stabilità. Vučić”, ndr), giocando il ruolo dell’equilibrista: «Ha adottato tutte le risoluzioni chieste dell’Occidente verso la Russia ma, allo stesso tempo, la Serbia non ha aderito alle sanzioni».
Il Partito Progressista Serbo del presidente non è però l’unico ad aver tratto consenso elettorale dal conflitto. «Per alcuni elettori la Serbia dovrebbe essere più apertamente filorussa e alle elezioni ne hanno beneficiato alcuni partiti di destra filo-putiniana. Questo spiega perché essi siano così presenti nel parlamento serbo». Ad esempio, la coalizione Nada, o partiti come Dveri-Poks e i «Giuratori» insieme contano trentacinque deputati su duecentocinquanta parlamentari.
Secondo il report, la scelta di non imporre sanzioni alla Russia è largamente condivisa dai serbi (settantotto per cento). Di questi, oltre metà cambierebbe idea se Mosca smettesse di esportare gas e petrolio in Serbia (trenta per cento) o aumentasse considerevolmente i prezzi (ventitré per cento). Un’amicizia di convenienza, quindi? Per Ivanov è un po’ più complesso. «Misure di questo tipo sarebbero viste da un serbo medio come un tradimento personale delle relazioni tra i due Paesi e non solo come un problema economico».
Ed è anche questo che giustifica gli equilibrismi politici della Serbia attuale: «Il governo serbo, in questo momento, riceve fondi dall’Unione europea come Stato candidato e al contempo ha gas a basso costo dalla Russia». Ad esempio, a gennaio Vučić è riuscito a dire nel giro di poche ore a Bloomberg che «l’Europa è il percorso dei serbi, non ce n’è un altro», mentre a un incontro organizzato da Politico a Davos ha affermato che i serbi non sono «più entusiasti come una volta (della prospettiva europea, ndr), e neanche l’Unione europea è entusiasta di noi come credevamo che fosse».
Un’ambiguità che non stupisce Ivanov. «Lo fa da parecchi anni, anche se nessuno ci ha mai prestato troppa attenzione, almeno fino all’invasione russa dell’Ucraina. Può capitare che Vučić dica un giorno una cosa europeista e due giorni dopo si esprima a favore della Russia, fa parte di una strategia: se vuoi piacere a tutti, è normale che le tue dichiarazioni siano talvolta contraddittorie, a seconda del pubblico di riferimento».
Ciononostante, l’impressione è che una strategia di fondo vi sia: «Non conosco Vučić di persona, non ho nessun accesso ai suoi pensieri, ma penso che sappia che l’unica via percorribile per la Serbia è quella che porta all’Unione europea. Anche se a volte occhieggia a Mosca, penso che – se messo alle strette – sceglierebbe Bruxelles».
Alla luce di tutto questo, cosa fare quindi per favorire l’avvicinamento della Serbia all’Europa? Nel report si propongono due strumenti: il primo è un aiuto finanziario diretto da Bruxelles a quelle persone che non sono in grado di pagare le bollette energetiche. «Non dovrebbe passare dal governo per evitare fenomeni corruttivi e perché deve essere chiara la fonte, aiutando così a costruire una relazione diretta con l’Europa ed eliminando il tema su cui la Russia batte maggiormente».
Il secondo strumento è invece più politico e il report cita quanto accaduto in Italia alla vigilia delle scorse elezioni politiche. «Se le cose dovessero andare per il verso sbagliato, abbiamo gli strumenti», dichiarò Ursula von der Layen in riferimento al possibile esito elettorale. «Bruxelles deve cambiare il suo modo di parlare ai serbi, eliminando ricatti e “paternalismi”. I serbi infatti pensano di non essere trattati equamente e con rispetto. L’Unione europea dovrebbe imparare a distinguere tra il governo e i cittadini serbi, evitando di criticare questi ultimi. Questo è un fattore cruciale», conclude Ivanov.