In costante ascesa, un’ascesa che nemmeno la pandemia ha fermato e ha, anzi, rilanciato, l’idrogeno rappresenta la nuova frontiera della sfida climatica perché può immagazzinare e fornire grandi quantità di energia per unità di massa, senza generare emissioni di CO2 durante la combustione. Inoltre, è tra gli elementi più semplici e abbondanti in natura.
Promuoverne l’uso in una serie di settori, come sostituto o in aggiunta al metano, ma anche come propellente per le auto e soprattutto per i trasporti pesanti, darebbe un contributo fondamentale alla riduzione delle emissioni e al percorso verso la neutralità carbonica, il traguardo fissato dall’Unione europea al 2050, e rappresenterebbe un tassello importante per la creazione di comunità energetiche rinnovabili ed integrate all’interno delle nascenti Hydrogen Valley.
Le controindicazioni riguardano il fatto che è raramente disponibile allo stato libero e molecolare, poiché si trova in combinazione con altri elementi chimici. In più, ci sono diverse difficoltà in termini di realizzazione della filiera dell’idrogeno nella sua interezza: dalla creazione della capacità di produzione di energia da fonti rinnovabili dedicate, e da elettrolizzatori e impianti di steam reforming del metano e di CCS, a gasdotti per l’idrogeno e celle a combustibile, camion, treni e altri dispositivi per l’idrogeno nei settori di uso finale.
La creazione di infrastrutture per il trasporto specifico di idrogeno gassoso richiede tempi e costi rilevanti. La possibilità di utilizzare gasdotti esistenti per un parziale trasporto dell’idrogeno, almeno in miscele gassose con il metano, dovrà superare test di sicurezza connessi con l’elevata capacità di fuga dell’idrogeno, molecola gassosa molto piccola e leggera. Pertanto, grande attenzione viene oggi dedicata ai cosiddetti “vettori organici liquidi di idrogeno”.
Si tratta di molecole organiche liquide, facilmente trasportabili con le attuali infrastrutture e che possono rilasciare in maniera semplice idrogeno al bisogno sotto azione di uno stimolo termico o luminoso, in presenza di un opportuno catalizzatore. La sfida, quindi, è aperta. E in molti ci si stanno cimentando, in Europa, e in Italia, dove l’Eni sta investendo molte risorse nello sviluppo del settore.
In questo senso, sono particolarmente interessanti gli studi di un team internazionale – a cui hanno partecipato anche dei ricercatori dell’Università di Trieste – per un processo innovativo di trasformazione di biomasse in vettori organici liquidi di idrogeno. L’identificazione di nuovi materiali per la distribuzione di idrogeno, infatti, è strategica per lo sviluppo di una metodologia di trasporto non solo più economica, ma anche più sostenibile e sicura.
I risultati, pubblicati sulla rivista scientifica Joule – Cell Press, hanno dimostrato come si possano produrre materiali fotocatalitici in grado di utilizzare efficacemente la luce solare per trasformare biomasse, nel quadro di un processo complesso, in vettori organici liquidi di idrogeno quali l’acido formico e l’aldeide formica, ossia delle molecole che possono essere poi facilmente trasformate in idrogeno.
La ricerca, sostenuta da finanziamenti pubblici italiani e cinesi con il supporto del sincrotrone francese Soleil, è frutto di una collaborazione internazionale tra i gruppi di ricerca di Feng Wang (Dalian institute of chemical physics, Chinese academy of sciences), di Paolo Fornasiero e Tiziano Montini (Università di Trieste, Consorzio interuniversitario nazionale per la scienza e la tecnologia dei materiali INSTM, e Istituto Iccom-Cnr), Emiliano Fonda (Synchrotron Soleil).
«Le biomasse, circa centoventi miliardi di tonnellate di materia secca per anno, inclusi i residui agricoli e gli scarti forestali – spiega Feng Wang – rappresentano una grande opportunità per la transizione energetica, in quanto possono essere trasformate anche in idrogeno, a patto di possedere tecnologie di trasformazione sufficientemente efficaci. Mentre i processi termici sono rapidi ma energivori, quelli biotecnologici possono essere lenti e occupare volumi importanti. I processi fotocatalitici che sfruttano la luce fino a oggi si sono dimostrati ancora poco efficienti e non risultano sempre sostenibili».
«È essenziale identificare nuovi materiali fotocatalitici – dichiara Paolo Fornasiero, professore ordinario di chimica generale e inorganica presso l’Università di Trieste – per un processo complesso in grado di usare la luce del sole per trasformare dei derivati della biomassa, come zuccheri, glicerolo o polioli, in vettori liquidi di idrogeno. In questa maniera si potranno ridurre gli iniziali costi e le relative problematiche nella distribuzione dell’idrogeno allo stato gassoso».
«Lo stadio fondamentale del processo messo a punto nel nostro studio – spiega Tiziano Montini, professore associato di chimica generale e inorganica presso l’Università di Trieste – è stata la comprensione della struttura dei materiali fotocatalitici impiegati, e l’ottimizzazione delle loro prestazioni fotocatalitiche ottimizzando temperatura e atmosfera di reazione. Per far ciò è stato anche necessario l’utilizzo di sofisticate tecniche di caratterizzazione spettroscopiche che hanno coinvolto il Dr. Emiliano Fonda, responsabile della linea Samba del sincrotrone Soleil e già laureato all’Università di Trieste».