L’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom) potrebbe stabilire un sostanzioso aumento dei prezzi dei servizi all’ingrosso su rame per il biennio 2022-2023 – intorno al nove per cento per il rame e fino al ventitré per cento per le reti in rame misto fibra. La decisione è attesa nel prossimo consiglio in programma giovedì 16 marzo e non sarà una data come un’altra: si gioca, infatti, un ruolo cruciale nella partita per la definizione della rete nazionale.
L’aumento del prezzo, secondo Agcom, sarebbe un incentivo alla migrazione alla fibra: dovrebbe convincere gli operatori a migrare i propri clienti che sono ancora su vecchie tecnologie verso i servizi più innovativi, stimolando così lo sviluppo della fibra.
Ma la motivazione può reggere solo a livello teorico, nella pratica potrebbe produrre l’effetto opposto. I servizi della rete in rame collegano ancora circa il sessanta per cento del territorio nazionale, e solo attraverso la rete Tim. La misura può sortire quindi l’effetto desiderato solo nelle porzioni di territorio in cui la rete in rame è affiancata da quella in fibra: in quel caso la migrazione verso la fibra da parte dei competitor di Tim sarebbe immediata, e la rete Tim accelererebbe lo switch off della rete in rame (di cui si parla da tempo).
Solo che in molte parti del Paese è presente solo la rete in rame, dunque l’aumento dei prezzi non può che tradursi in benefici diretti unicamente per Tim, mentre ai competitor resterebbe come alternativa unica quella di pagare – di più – per continuare a fornire i servizi ai loro clienti.
Certo, ancora a livello teorico, altri player sul mercato potrebbero realizzare infrastrutture proprie, ma si parla di investimenti enormi, lunghissimi, e che porterebbero a riversare sul consumatore finale parte di questi costi con l’aumento delle tariffe. Mentre la rete in rame di Tim è già lì, realizzata e ammortizzata negli anni dall’ex monopolista: gli aumenti dei prezzi porterebbero insomma un ricavo aggiuntivo che si stima attorno ai novanta milioni all’anno per Tim, valorizzando non poco l’asset di rete Tim.
La valorizzazione del rame potrebbe essere anche causa di un rallentamento degli investimenti sulle reti in fibra ottica – questo teoricamente l’obiettivo di sviluppo principale in termini di qualità della rete.
E gli effetti si farebbero sentire anche per i consumatori. A fronte dei margini degli operatori sempre più sotto pressione, un aumento sul prezzo dei servizi di accesso finirà per non essere assorbito dagli operatori stessi e sarà ribaltato sulle famiglie in bolletta: se CDP dovesse incorporare la maggiore redditività della rete in rame, ancora una volta tutto ciò si tradurrà in un maggior costo per lo Stato e dunque per i contribuenti.
L’effetto dei rialzi dei prezzi, come scrive Mila Fiordalisi sul Corriere Counicazioni, rischia di avere un impatto significativo anche nella partita della rete nazionale, con grande beneficio di Vivendi: «[La società francese] a questo punto potrebbe rincarare la dose delle proprie richieste per la cessione dell’asset: se i prezzi del rame aumentano vuol dire che la rete ha un elevato valore – questo potrebbe essere il ragionamento dei francesi per alzare la posta – dunque va adeguatamente monetizzata da parte degli offerenti, nel caso specifico Kkr da una parte e Cdp- Macquarie dall’altra. L’offerta di Kkr vale circa 20 miliardi, quella appena presentata da Cdp Macquarie circa 18 miliardi ma si consideri che Vivendi aveva a suo tempo indicato in 30 miliardi il valore dell’operazione».