SinestesieIl comfort acustico migliora il gusto del cibo

Il progetto “Tasting sound” del Politecnico di Milano dimostra che le condizioni sonore possono alterare il rituale della convivialità a tavola, più di quanto immaginiamo

Foto di Kevin Curtis su Unsplash

Il cibo e le bevande che consumiamo sono immersi in un clima multisensoriale, e se molti di noi sono in grado di concentrarsi esclusivamente su ciò che hanno nel piatto, tanti altri vengono inesorabilmente infastiditi da un’illuminazione insufficiente spacciata per romantica o – ancora peggio – dal vociare sguaiato del tavolo accanto, eventualmente accordato con la “melodia” delle stoviglie proveniente dalle cucine.

Non è così sorprendente che le caratteristiche degli spazi adibiti al consumo dei pasti influenzino l’esperienza complessiva, ma probabilmente in pochi sospettano che condizioni acustiche scadenti siano in grado di alterare la percezione del gusto e dell’odore delle pietanze. Esistono ricerche che hanno evidenziato una correlazione positiva tra alti livelli di rumore e la sensazione di dolcezza e di croccantezza in un boccone; anche l’olfatto non è immune all’ascendente esercitato dal suono: una voce narrante e il baccano di una festa sono capaci di falsare la percezione degli odori rispetto a una situazione di silenzio, mentre la musica classica non pare produrre mutamenti.

La tipologia di locale è il primo elemento da prendere in considerazione quando si parla di controllo dell’acustica: anche se il fattore di disturbo è essenzialmente legato al chiacchiericcio diffuso, talvolta esacerbato dall’ “effetto decollo” di alcuni impianti di aerazione, attività come le mense o i self-service sono gravate da ulteriori componenti moleste, come il tintinnio di piatti e posate destinati alla mise en place fai da te.

Variabili come la pressione sonora (quella grandezza misurata in decibel tanto bassa quanto amata negli elettrodomestici silenziosi), vanno considerate in abbinamento con i fattori architettonici, perché la presenza e la composizione di superfici e arredi condizionano la propagazione dei suoni; ultimi ma non ultimi andrebbero esaminati i fattori contingenti, più difficili da prevedere e da governare: il tempo trascorso nell’ambiente e la sua frequenza di utilizzo, lo stato psicologico dell’utente, nonché i suoi tratti socioculturali contribuiscono – insieme ai parametri obiettivi – a delineare quello che è il soundscape, inteso come “paesaggio sonoro” percepito e vissuto dalle persone.

L’impiego di materiali fonoassorbenti rimane il metodo più efficace per la riduzione del rumore di fondo, soprattutto grazie alla capacità di dominare il riverbero dei suoni negli ambienti chiusi, evitando che si traduca in uno spiacevole rimbombo. Le soluzioni più tradizionali sono quelle “passive”, in cui l’assorbimento dei suoni avviene a opera di pannelli e arredi rivestiti da materiali porosi. Le loro prestazioni dipendono in buona parte dal sapiente posizionamento nello spazio: così ci potrebbe capitare di mangiare avvolti da un séparé o di notare – sospese sul soffitto – tavole dalle forme più disparate, la cui funzione decorativa è secondaria alla responsabilità di proteggere le nostre conversazioni più intime da orecchie indiscrete.

Se a questi espedienti ordinari (purtroppo non nei ristoranti) ci siamo abituati, ci sono innovazioni tecnologiche applicate all’architettura che promettono un controllo sonoro “attivo” grazie al monitoraggio real-time delle condizioni microclimatiche degli spazi. Tra i pionieri di queste soluzioni applicate agli ambienti destinati al consumo di cibo e bevande troviamo John Paluska, che ha affidato ai prodotti high-tech l’onere di combattere il rumore nel suo ristorante messicano di Berkeley.

Oltre a usare materiali fonoassorbenti, il locale californiano ha incorporato un meccanismo attivo di smorzamento: ventotto microfoni situati sopra i capi degli ospiti effettuano un campionamento continuo del rumore ambientale, che viene processato e filtrato nelle sue componenti più “fastidiose”; i suoni risultanti vengono quindi combinati con la musica, amplificati e reimmessi nella sala tramite altoparlanti montati sulle pareti. L’ingegno di tale sistema non finisce qui, perché consente di personalizzare il riverbero nelle diverse stanze a seconda del livello di occupazione (e di frastuono), creando atmosfere più eccitanti o rilassanti.

Al di qua dell’oceano, la battaglia contro l’inquinamento acustico della nostra esperienza di degustazione si combatte anche nei luoghi in cui ci si ritrova a mangiare più per necessità che per piacere: le mense universitarie. In particolare, la Mensa Campus Leonardo del Politecnico di Milano è stata protagonista del progetto “Tasting sound” sviluppato in collaborazione con Ecophon Italia-Saint Gobain.

La riqualificazione della mensa è stata concepita usando un approccio olistico, che ha tenuto conto non solo dei parametri oggettivi della percezione del suono ma anche di quelli soggettivi, determinati dalla peculiarità del sistema uditivo proprio di ogni essere umano; questa metodologia ha consentito di realizzare una soluzione personalizzata in base alle esigenze degli utenti, che sono stati coinvolti in prima persona tramite un sondaggio atto a comprendere il livello di soddisfazione generale durante il pasto, dalla qualità del cibo al comfort sonoro.

Le risposte, combinate con i risultati ottenuti dall’analisi dei fenomeni fisici, hanno permesso di identificare le sorgenti di rumore più sgradevoli, contribuendo a individuare la soluzione più adatta in termini di requisiti tecnici, percezione umana e aspetti estetici (oltre che funzionali). La ristrutturazione è dunque consistita nella sostituzione dei pannelli del controsoffitto e nel montaggio di isole – anch’esse fonoassorbenti – collocate in relazione alla distanza dalle fonti di disturbo.

Se prima dell’intervento l’ultima posizione nella classifica di gradimento era occupata dalle condizioni sonore, anticipate dalla qualità del cibo, dopo il restyling architettonico i due parametri hanno scalato la graduatoria, a testimonianza del fatto che un’acustica migliore contribuisce alla percezione positiva dei sapori. Ristoratori, non vale forse la pena investire nel “gusto del suono”?

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