Indietro tuttaLa stretta del governo Meloni sulle famiglie omogenitoriali trascura la loro esistenza

Se uno Paese membro riconosce lo stato di parentela tra un bambino e i suoi genitori, tutti gli altri devono farlo, ha stabilito la Corte di Giustizia dell’Ue. Per il commissario europeo alla Giustizia Didier Reynders, circa due milioni di bambini in Europa potrebbero non vedere tutelati i loro diritti

Manifestazione per i diritti dei figli delle coppie omogenitoriali a Milano in piazza della Scala
LaPresse

Nell’arco di pochi giorni, il governo ha lanciato due segnali importanti alle famiglie omogenitoriali italiane, bloccando le trascrizioni dei certificati di nascita dei bambini concepiti all’estero attraverso la gestazione per altri e rifiutando la proposta della Commissione europea di creare un certificato di filiazione europeo.

Il primo è arrivato lunedì scorso, con una circolare del ministero dell’Interno con la quale il prefetto Renato Saccone ha chiesto ai sindaci di rispettare la sentenza 38162 della Corte di Cassazione che vieta la trascrizione dei certificati di nascita dei bambini concepiti all’estero tramite la gestazione per altri (Gpa). Il comune di Milano, uno dei pochi rimasti a trascrivere questi certificati di nascita, ha annunciato che sarà costretto a smettere di farlo.

Il richiamo del Viminale è l’ultimo tassello di un puzzle giudiziario che va avanti da anni per colmare il vuoto legislativo su cui si basa la vita delle famiglie omogenitoriali in Italia. «La legge italiana non prevede la fecondazione assistita per le coppie dello stesso sesso e vieta completamente il ricorso alla gestazione per altri. Di conseguenza, non esiste una norma specifica che regoli il riconoscimento dei figli nati da coppie omogenitoriali in Italia o la trascrizione degli atti di nascita di quelli che sono nati all’estero», spiega Stefania Santilli, avvocata e membro del gruppo legale di Famiglie Arcobaleno.

Negli ultimi anni, la Corte di Cassazione e la Corte europea dei diritti dell’uomo si sono espresse a più riprese su casi specifici e la Corte Costituzionale ha anche spronato più volte il legislatore (ovvero il governo e le Camere) a intervenire con una legge specifica. Nel frattempo, negli ultimi anni i sindaci e i funzionari di vari comuni hanno effettuato riconoscimenti e trascrizioni a tempi alterni, seguendo modalità diverse.

«In alcuni comuni veniva creato sin dall’inizio un certificato di nascita per le due mamme. In altri, come nel caso del comune di Milano, si registrava prima una mamma e poi l’altra andava in comune e dichiarava di aver fatto ricorso alla fecondazione assistita in maniera consensuale. Sul certificato veniva quindi annotato il rapporto del bambino con il genitore sociale», spiega l’avvocata.

Nel caso delle coppie di uomini (e delle migliaia di coppie eterosessuali con problemi di fertilità), l’unica opzione è quella della trascrizione degli atti di nascita emessi all’estero, dato che la gestazione per altri è diffusa pochi Paesi al mondo (tra cui l’Ucraina). Secondo la sentenza citata nella circolare del ministero dell’Interno, tuttavia, questa pratica «offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane; ciò esclude la automatica trascrivibilità del provvedimento giudiziario straniero».

Per quanto riguarda invece la trascrizione degli atti nei casi di coppie di donne che sono ricorse alla fecondazione assistita e hanno partorito all’estero, non esistono ancora indicazioni precise a livello legislativo (e lo stesso prefetto lo riconosce all’interno della circolare).

In un comunicato, il tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni Marco Cappato e l’avvocata Filomena Gallo hanno sottolineato che la circolare «è un atto giuridicamente non vincolante», chiedendo a tutti i sindaci d’Italia di continuare a trascrivere integralmente i certificati di nascita emessi dalle autorità straniere. «Non farlo significa violare i diritti dei minori e discriminare i genitori in base al loro orientamento sessuale», hanno aggiunto, citando due sentenze emesse da tribunali pugliesi a sostegno della trascrizione dei certificati di nascita per i figli nati con Gpa all’estero da coppie eterosessuali.

«È vero: le circolari non costituiscono fonte di diritto, ma con questo richiamo aumenta il rischio di impugnazione delle trascrizioni da parte della Procura. Era un rischio che esisteva anche prima, ma che ora diventa più forte e che aumenta la pressione su sindaci e funzionari, che devono essere tutti d’accordo nell’affrontare questa possibilità ed eventuali provvedimenti che ne potrebbero conseguire», spiega l’avvocata Santilli.

Sul riconoscimento dell’omogenitorialità martedì è anche arrivato il no della commissione del Senato che si occupa di politiche europee alla proposta di un certificato di filiazione europeo, un documento che permetterebbe a chiunque abbia avuto figli in qualsiasi Stato europeo di essere automaticamente riconosciuti come genitori anche nel proprio Paese.

La proposta era stata approvata dalla Commissione europea lo scorso 7 dicembre in seguito al caso Baby Sara, dal nome della bambina nata da una coppia di donne bulgare che avevano fatto ricorso alla fecondazione assistita in Spagna. Il tribunale bulgaro aveva stabilito che la bambina non aveva diritto a un certificato di nascita bulgaro: la Corte di Giustizia europea ha ribaltato la sentenza, stabilendo che se uno stato membro dell’Unione riconosce lo stato di parentela tra un bambino e i suoi genitori, tutti gli altri Stati devono fare lo stesso.

Secondo il commissario europeo alla giustizia Didier Reynders, circa due milioni di bambini in Europa potrebbero non vedere riconosciuto il loro legame di parentela con i genitori in un altro Stato dell’Unione. All’interno dell’Ue, infatti, solo nove Stati riconoscono automaticamente la genitorialità delle coppie omosessuali. La commissione del Senato che si occupa di Affari europei si è espressa negativamente su questa proposta, sostenendo che non rispetti «i principi di sussidiarietà e di proporzionalità», ovvero che si tratti di un’imposizione delle legge europea su quella italiana, e che agevoli il ricorso alla gestazione per altri.

«La proposta di Regolamento europeo non si occupa di diritto di famiglia interno, che resta di esclusiva competenza dello Stato italiano. Si preoccupa, invece, di chiarire gli aspetti relativi a quali norme applicare per l’accertamento e il riconoscimento della filiazione sul piano transnazionale. E questo, a mio giudizio, lo fa nel pieno rispetto della Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, in particolare del principio che a prevalere debba essere l’interesse del minore», ha dichiarato invece l’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza, Carla Garlatti.

Il rifiuto della commissione è stato un puro segnale politico, in linea con le posizioni che la destra italiana difende da tempo sull’omogenitorialità e specialmente sulla gestazione per altri: la proposta deve ancora essere discussa e successivamente votata dal Consiglio dell’Unione.

Sia la circolare del Ministero dell’Interno che la risoluzione approvata dal Senato sottolineano infine come allo stato attuale l’unico strumento che consenta di dare riconoscimento giuridico ai genitori non biologici sia la stepchild adoption.

«Aspettare che un giudice decida che puoi adottare chi consideri tuo figlio fin dall’inizio è una procedura lunga, complicata, dispendiosa e che ha i suoi limiti. Bisogna coinvolgere servizi sociali e avvocati in una procedura che può durare fino a tre anni, può avere esito negativo o essere revocata. Inoltre, il tempo che passa porta imprevisti, malattie, separazioni, tutto quello che succede in qualsiasi famiglia, con la differenza che in questi casi il bambino non ha le stesse tutele», spiega l’avvocata Santilli. Inoltre, fino all’anno scorso con la stepchild adoption non era garantito nessun rapporto civile tra l’adottato e la famiglia dell’adottante.

«Il riconoscimento invece è rapido, efficace e che garantisce pieni diritti. Con la circolare di martedì, improvvisamente molte famiglie si trovano a non essere più sicure del riconoscimento che hanno ottenuto anni fa e che potrebbe essere impugnato in qualsiasi momento. Non è possibile chiedere a queste persone di aspettare anni o di vivere nella paura: abbiamo bisogno di una legge che sia pensata fin dall’inizio per normare la vita delle famiglie omogenitoriali, perché queste famiglie esistono, che il governo lo voglia o no», conclude l’avvocata.