Con l’Irlanda l’Italia ha un’affinità elettiva. A tre giorni da San Patrizio quel legame si sente più forte, è anche turistico. «Circa quattrocentomila italiani vengono ogni anno a visitare l’isola, è importante continuare a costruire questa relazione», spiega il ministro agli Affari europei e della Difesa, Peter Burke, che è appena stato nel nostro Paese. Roma e Dublino collaborano ai tavoli europei e intendono approfondirli, questi buoni rapporti, politici e bilaterali.
Ministro, a Roma ha visto il suo omologo, Raffaele Fitto. Quali sono i principali fronti della cooperazione tra i nostri Paesi?
«È stato un incontro intenso, sulle aree in cui stiamo lavorando con i nostri partner europei. Prima di tutto, la riforma del Pact on Migration and Asylum è molto importante perché la gestione dei flussi migratori è una sfida significativa, dobbiamo lavorare sui percorsi legali di immigrazione, di cui ogni economia ha bisogno, ma anche assicurare che siano le persone più vulnerabili a ricevere asilo. Abbiamo anche parlato di riforme in materia energetica. Ovviamente è un aspetto cruciale per via della crisi ucraina dopo che l’aggressione russa ha prodotto una delle guerre più brutali che non avevamo più visto da molto tempo. Abbiamo discusso di come dovremmo cambiare il mercato dell’energia e collaborare con gli alleati europei, anche per continuare a denunciare l’aggressione russa dell’Ucraina. Siamo stati, insieme all’Italia, tra i più fermi nella condanna della condotta russa e nel tentativo di raggiungere una posizione in cui sia possibile una de-escalation dei combattimenti».
Com’è il rapporto con la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni?
«Molti ministri sono venuti in Italia negli scorsi mesi proprio per approfondire la cooperazione. Naturalmente il nostro Taoiseach (significa «primo ministro» in gaelico, quello attuale è Leo Varadkar, ndr) lavora con la vostra premier per cercare di allargare l’Unione europea, è cruciale accogliere al suo interno più nazioni. Siamo stati uno dei primi Paesi a chiedere che l’Ucraina possa diventare uno Stato membro dell’Ue, siamo stati molto in anticipo su questo. Anche dal punto di vista del commercio, abbiamo una relazione bilaterale significativa con l’Italia e pensiamo ci sia davvero ampio margine per espanderla nei prossimi anni».
In Europa, recentemente è stato finalmente raggiunto un accordo tra l’Ue e Downing Street per provare a superare lo stallo in Irlanda del Nord. Ritiene che possa funzionare?
«Penso di sì. È una soluzione solida perché, in primo luogo, protegge il mercato unico europeo: preservare la sua integrità è fondamentale per i ventisette Stati membri. Inoltre, consente all’Irlanda del Nord di mantenere un accesso senza attriti al mercato interno del Regno Unito. Sostanzialmente le merci dirette all’Irlanda del Nord che saranno consumate lì saranno sottoposte a meno controlli di quelle destinate al mercato unico attraverso la Repubblica d’Irlanda. È un accordo robusto, che riannoda tutti i fili nella politica nordirlandese, con il tentativo di riportare i cinque partiti a costituire il governo decentrato perché è fondamentale che i cittadini dell’Irlanda del Nord possano votare per un esecutivo e che ora questo si possa mettere al lavoro. Siamo fiduciosi che il Windsor Framework spiani la strada per la formazione del governo».
A Stormont, il nome del Parlamento locale, la coabitazione al potere è stata bloccata per il boicottaggio del principale partito unionista, il Dup, dopo le scorse elezioni. Il premier inglese Rishi Sunak ha mostrato una postura diversa rispetto ai predecessori.
«Il primo ministro ha dichiarato che ratificherà presto l’accordo alla Camera dei Comuni. È un passo molto importante e anche l’Europa, in questo momento, è al lavoro per consolidarlo nel giro delle prossime due settimane. Stiamo facendo progressi. Resta delicato, però, perché ci sono partiti in Irlanda del Nord che si sono presi un po’ di tempo per salire a bordo e auspicabilmente lo faranno nelle prossime settimane»
Dopo anni di incomprensioni la Brexit è finalmente entrata in una fase nuova?
«Penso che il nuovo primo ministro abbia aperto un nuovo capitolo delle relazioni tra Dublino e il Regno Unito. È stato decisivo superare numerosi temi che causavano preoccupazione. Uno era il Protocol Bill, che ovviamente andava contro un accordo internazionale qual era il patto di recesso che Londra aveva firmato e ratificato. Ma ora siamo in una fase diversa, grazie ai negoziati del vicepresidente della Commissione europea Maroš Šefčovič per conto dell’Ue con le controparti britanniche e grazie alla presidente Ursula von der Leyen. Sono stati fatti moltissimi progressi e la fiducia è stata ricostruita in questi ultimi mesi. Dalla prospettiva dell’Irlanda, non vediamo l’ora di un nuovo capitolo con il Regno Unito, al tempo stesso siamo consapevoli che il nostro vicino più stretto è importante per la pace e la stabilità della nostra isola. Ovviamente siamo dispiaciuti che abbiano lasciato l’Ue, ma rispettiamo una decisione sovrana presa democraticamente dai loro cittadini».
Mancano poche settimane al venticinquesimo anniversario dell’Accordo del Venerdì Santo, alla base della pacificazione dell’Irlanda del Nord. Un quarto di secolo dopo, quello spirito è ancora vivo?
«Lo credo davvero. Apprezzo fino in fondo come l’Accordo del Venerdì Santo sia un trattato internazionale che ha resistito alla prova del tempo. Raggiunge il cuore delle comunità dell’Irlanda del Nord e chiarisce ogni passaggio della meccanica per far funzionare le sue istituzioni, con un governo decentrato che può pronunciarsi e prendere decisioni per conto proprio. È anche molto importante non dare mai per scontato l’accordo. È un documento vivente, deve essere protetto. Ed è per questo che è stato importante che non sia mai stato compromesso il suo spirito dopo la Brexit e nelle trattative per il patto di recesso. Penso siamo riusciti a raggiungere un equilibrio. Speriamo che il presidente americano Joe Biden possa venire in Irlanda per le celebrazioni, perché gli Stati Uniti sono stati un interlocutore chiave. Nelle relazioni degli ultimi decenni abbiamo avuto bisogno di una figura imparziale per tenere insieme i partiti e aiutarci a mantenere la calma».
Lei è anche ministro della Difesa. L’Ue è stata decisiva per la resistenza dell’Ucraina, la primavera porta con sé timori su nuove offensive russe.
«Siamo molto preoccupati per l’Ucraina. Abbiamo accolto circa ottantamila cittadini ucraini in Irlanda attraverso il meccanismo di protezione umanitaria temporanea. È quasi il due per cento della nostra popolazione. Da Paese neutrale, lavoriamo per fornire aiuti non letali attraverso lo schema European peace facility e questi aiuti si esplicitano in componentistica per la rete elettrica nazionale, perché hanno subito troppi blackout, per le infrastrutture idriche e le banche del sangue, con equipaggiamento medico e tutto il materiale di cui hanno bisogno per aiutare la popolazione, anche per aiutare i soccorritori che accorrono dopo i tragici bombardamenti missilistici.
Quali sono i prossimi passi per l’Europa?
«Siamo stati una delle prime nazioni a invocare l’adesione dell’Ucraina all’Ue, e ne restiamo convinti sostenitori. Quando siamo stati presidenti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite, siamo stati in prima linea nel presentare e co-firmare risoluzioni per denunciare l’aggressione russa. E abbiamo ancora bisogno di fare pressione, perché un anno è un periodo molto lungo per il logorio della guerra. Dobbiamo tenere alta l’attenzione e continuare davvero a sostenere il popolo ucraino e i suoi cittadini che avranno ancora bisogno di noi in futuro».