Criminale globaleRiusciranno i nostri eroi ad arrestare Putin misteriosamente in visita in Sudafrica?

Il 22 agosto l’autocrate russo dovrebbe andare al vertice Brics a Johannesburg, in un paese dove è riconosciuta la legittimità della Corte Penale Internazionale (e delle sue decisioni). Come già accaduto al presidente del Sudan Omar al-Bashir nello stesso Paese, il leader del Cremlino potrebbe appellarsi all’immunità da capo di Stato

AP/Lapresse

Dal potere russo arriva il messaggio che dell’ordine di arresto di Vladimir Putin da parte della Corte Penale Internazionale sarebbe poco meno di una buffonata. «Carta igienica», secondo un tweet di Dmitrij Medvedev. La stessa portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, secondo cui «le decisioni della Corte penale internazionale non hanno alcun significato per il nostro Paese, nemmeno dal punto di vista legale» ha però poi aggiunto alle condizioni di pace non solo «la cancellazione delle sanzioni», ma anche «di tutte le cause legali contro la Russia nelle Corti internazionali». Ieri, inoltre, la Russia ha annunciato l’apertura di un’indagine penale contro il procuratore della Cpi Karin Khan, per avere «iniziato un procedimento penale contro una persona notoriamente innocente. Combinato con l’accusa illegale di avere commesso un delitto grave». Insomma, non è che la cosa proprio non importi.

La visita di Putin ai territori occupati e annessi di Crimea e Mariupol, e la successiva visita di Xi Jinping a Mosca, evidenziano comunque il problema che ora emerge: il presidente russo può recarsi in zone che la Russia controlla, può ricevere visite, ma se si reca in uno dei 123 Paesi che avendo sottoscritto lo Statuto di Roma riconoscono la Corte Penale Internazionale e le sue decisioni potrebbe correre il rischio di essere arrestato.

Tra questi, un po’ paradossalmente, non ci sono gli Stati Uniti, che hanno sempre avuto paura di possibili problemi per i propri militari impegnati in missioni all’estero. Non solo su questo punto si sono avute tensioni tra Stati Uniti e Unione Europea, ma Trump arrivò addirittura a imporre un divieto di viaggio al procuratore della Cpi Fatou Bensouda e ai membri del suo staff. Non si può dunque dire che la Cpi «sia un burattino nelle mani di Washington», e nel territorio degli Stati Uniti Putin potrebbe entrare. Si conferma piuttosto che tra Trump e Putin sembrano esservi alcune affinità elettive.

Tra i 123, però, ci sarebbe l’Italia, è c’è anche il Sudafrica. E in Sudafrica tra il 22 e il 24 agosto è in agenda a Johannesburg il vertice dei Brics, cui Putin sarebbe ovviamente invitato. Per essere subito sbattuto dentro? Già nel 2016 l’allora presidente sudafricano Jacob Zuma si rifiutò di rispettare gli impegni, quando il presidente del Sudan Omar al-Bashir andò in visita nel suo Paese, riconoscendogli l’immunità da Capo di Stato. La stessa a cui potrebbe appellarsi Putin.

Sul punto però l’esecutivo di Cyril Ramaphosa, rimane ancora cauto, probabilmente colto di sorpresa da quanto successo. «Come governo», ha detto il portavoce Vincent Magwenya, «siamo consapevoli del nostro obbligo legale. Tuttavia, da qui al vertice rimarremo impegnati con varie parti interessate».

Il governo di Ramaphosa non solo non ha condannato l’invasione russa dell’Ucraina, ma ha appena ospitato manovre navali congiunte tra Russia, Cina e Sudafrica. Va detto però che è anche erede di un movimento anti-apartheid che invocò il Diritto Internazionale a tutto spiano al tempo del «governo bianco», e anche se i suoi successori si sono dimostrati molto al di sotto rispetto a Nelson Mandela non se la sente di chiamarsene fuori. «Prendiamo atto del rapporto sul mandato di arresto emesso dalla Cpi», ha pure detto Magwenya. «Rimane l’impegno e il forte desiderio del Sudafrica che il conflitto in Ucraina venga risolto pacificamente attraverso i negoziati».

La Corte penale internazionale, va ricordato, è un tribunale per crimini internazionali che ha sede all’Aia, e che non si occupa di tutto, ma solo dei crimini più seri che riguardano la comunità internazionale nel suo insieme, cioè il genocidio, i crimini contro l’umanità e i crimini di guerra (cosiddetti crimina iuris gentium), e di recente anche il crimine di aggressione (art. 5, par. 1, Statuto di Roma). Ha una competenza complementare a quella dei singoli Stati, dunque può intervenire se e solo se gli Stati non possono (o non vogliono) agire per punire crimini internazionali. Non è un organo dell’Onu e non va confusa con la Corte internazionale di giustizia delle Nazioni Unite, anch’essa con sede all’Aia. Però ha alcuni legami con le Nazioni Unite. Ad esempio, il Consiglio di sicurezza ha il potere di deferire alla Corte situazioni che altrimenti non sarebbero sotto la sua giurisdizione.

Il fatto che non sia riconosciuta da Stati Uniti e Russia è un po’ un paradosso, visto che la sua origine è nei tribunali militari internazionali costituiti dopo la Seconda Guerra Mondiale, appunto su iniziativa di Stati Uniti e Unione Sovietica. Il primo fu chiamato a giudicare i capi nazisti nel Processo di Norimberga, mentre il secondo era quello del Processo di Tokyo.

Come tribunali militari, la loro competenza giurisdizionale si limitava ai crimini di guerra. Il tribunale di Norimberga, durante gli anni, ha pronunciato diverse sentenze, ampliando l’ambito di giurisdizione inserendovi, oltre ai crimini di guerra, anche i crimini contro l’umanità e contro la pace.

Sulla base dei principi di Norimberga nel 1966 fu istituto il Tribunale Russell, che però è una istituzione privata che dà sanzioni solo morali e che peraltro se la è presa quasi solo con l’Occidente, dal Vietnam in poi.

Dopo Ruanda e Bosnia la campagna per l’istituzione della Corte penale internazionale fu poi ripresa e rilanciata negli anni novanta da una coalizione di trecento organizzazioni non governative, tra le quali l’organizzazione Non c’è pace senza giustizia, appartenente alla galassia radicale italiana. Contemporaneamente l’Assemblea generale dell’Onu varò il progetto di formulare un codice sui crimini e uno statuto per la Corte penale internazionale.

Il 9 dicembre 1994, l’Assemblea generale creava un apposito comitato preparatorio che riprese il progetto elaborato precedentemente dalla Commissione di diritto internazionale, approfondendone gli aspetti più controversi e sviluppandone i profili più complessi anche alla luce della codificazione dei crimini internazionali avvenuta negli statuti e successive modifiche dei primi tribunali ad hoc.

Le pressioni da parte dell’Onu di terminare il progetto di realizzazione, infatti, si fecero più pesanti durante il 1993-1994, dopo che erano stati istituiti dei tribunali ad hoc per la questione di ex-Jugoslavia e Ruanda. Nel 1996, conclusi i lavori della commissione, l’Assemblea delle nazioni unite convocò a Roma una conferenza diplomatica dei plenipotenziari degli Stati per l’istituzione di una corte penale internazionale. In esecuzione della risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite 51/207 del 17 dicembre 1996, il progetto finale (la cui redazione si protrasse sino al 3 aprile 1998) fu rimesso a una conferenza diplomatica di plenipotenziari, convocati a Roma – nella sede della Fao all’Aventino – dal 15 giugno al 17 luglio 1998.

Dopo intense discussioni – cui contribuirono anche molteplici organizzazioni non governative che avevano sostenuto la campagna d’opinione pubblica per la giurisdizione universale sui crimini internazionali – la Conferenza si concluse con l’approvazione dello Statuto: centoventi voti favorevoli, sette contrari, ventuno astenuti. Le progressive ratifiche dello statuto hanno consentito di raggiungere il quorum fissato dall’art. 126 (sessanta ratifiche) quattro anni dopo la conferenza di Roma: in virtù di questa norma il testo è quindi entrato in vigore il 1º luglio del 2002.

La Corte ha comunque iniziato le proprie attività nel 2002, il 13 settembre 2004 le è stato riconosciuto lo status di osservatore dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, e il primo imputato è stato il congolese Thomas Lubanga, il cui processo è iniziato il 26 gennaio del 2009.

Prima di Putin, i processi in corso hanno riguardato i presunti responsabili di presunti crimini commessi nella Repubblica Democratica del Congo, nella Repubblica Centrafricana, in Uganda, nel Darfur (Sudan) e più di recente in Kenya, in Libia, in Costa d’Avorio, in Mali, in Georgia ed infine in Burundi. Alcuni Stati africani hanno protestato, in merito ad un presunto accanimento della Corte contro il continente e le sue prassi di gestione politica.

Anche alla luce di ciò, nel 2016 il Burundi il Gambia e lo stesso il Sudafrica avevano hanno annunciato la volontà di recedere dallo Statuto di Roma per negare giurisdizione alla Corte sul loro territorio. Solo il Burundi, nell’ottobre 2017, ha però confermato la decisione di lasciare la Corte. Il Sudafrica, dunque resta.

Diverso ma parallelo a quello di Putin è il caso del presidente venezuelano Nicolás Maduro. Anche lui in realtà è sotto indagine della Cpi, e infatti un commento degli oppositori venezuelani alla notizia su Putin è stata «Maduro è il prossimo». In attesa che decida la Cpi, però, pende su Maduro un ordine di cattura degli Stati per associazione con il narcotraffico, accompagnata da una taglia di un milione e mezzo di dollari a chi fornisce informazioni su di lui. Quando il governo argentino lo ha dunque invitato a Buenos Aires per il settimo vertice della Comunità degli Stati Latinoamericani e Caraibici (Celac) l’opposizione argentina ha chiesto di arrestarlo, per bocca dello stesso ex-ministro alla Sicurezza, Patricia Bullrich.

Nel contempo, anche l’avvocato Tomás Farini Duggan, in rappresentanza di due vittime venezuelane di crimini contro l’umanità, ha chiesto alla magistratura argentino di convocare Maduro per essere interrogato per violazione dei diritti umani. Anche il sindaco di Buenos Aires Horácio Rodríguez Larreta ha dato il suo appoggio a queste richieste.

I media della regione hanno aperto un dibattito, se davvero l’ordine di cattura della Dea potesse prevalere su quella Convenzione di Vienna che garantisce l’immunità dei capi di Stato. E la valutazione prevalente era che un arresto di Maduro dovesse essere praticamente escluso, contrariamente al richiamo di Patricia Bullrich all’arresto dell’ex dittatore Augusto Pinochet: avvenuto a Londra ventiquattro anni fa, ma quando non era più al potere.

Però, una sorprendente interpretazione autentica al dilemma l’ha data lo stesso Maduro, decidendo all’ultimo momento di non andare e di mandare al suo posto il ministro degli Esteri Yván Gil. «Nelle ultime ore siamo stati informati, inconfutabilmente, di un piano elaborato all’interno della destra neofascista, il cui obiettivo è quello di compiere una serie di attentati contro la nostra delegazione», ha spiegato in conferenza stampa.

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