Il mangiatore è una specie in evoluzione. Secondo lo scrittore americano Michael Pollan il nostro rapporto con il cibo è molto cambiato dall’inizio del XX secolo, ma è solo negli ultimi cinquant’anni che si è trasformato radicalmente. Il food design ha fatto il suo ingresso in tavola – vi ricordate le tecno-tapas Spamt di Martí Guixé o La cerise sur le gâteau di Pierre Hermé e Yan Pennor’s? – e oggi, complici l’arte contemporanea, la progettazione industriale, ma anche la globalizzazione e l’ecologia, l’atto del mangiare non è più soltanto una funzione vitale, ma rispecchia precisi stili di vita e prese di posizione anche molto radicali, sconfinando talvolta nella performance (come mostrava in modo brillantemente ironico il film The Menu).
Diversi artisti hanno utilizzato il cibo come oggetto delle proprie creazioni. Nel 1971, nel quartiere di Soho, a New York, Gordon Matta-Clark, Caroline Goodden e Tina Girouard aprirono Food, un incrocio tra un ristorante e un palcoscenico per esibizioni ed eventi che, oltre a far da mangiare per la comunità di artisti squattrinati della zona, trasformava il cibo nella materia prima dell’atto creativo. In tempi più recenti un esperimento simile è quello del ristorante Brutalisten di Carsten Höller a Stoccolma dove, oltre a consumare un solo ingrediente alla volta, ciò che davvero conta è l’esperienza che si fa.
Dall’altra parte del tavolo, il ristorante tristellato Da Vittorio a Brusaporto, in provincia di Bergamo, eleva la preparazione del cibo a gesto artistico irripetibile, risultato di tecnica, estro e passione per le materie prime di qualità. Al suo interno il tavolo-bancone “Pass” ha molte funzioni: oltre a essere l’ultima tappa del percorso di realizzazione dei piatti, è anche il luogo in cui avvengono i briefing della brigata; è lo spazio dove i Cerea si confrontano per dar vita a nuove ricette e quello dove gli ospiti possono condividere con loro una foto a conclusione del pasto.
Disegnato da Alessandro La Spada, il “Pass” si ispira ai batticarne di una volta ma, anziché essere di legno, è fatto con la pietra Patagonia Original “Extra” di Antolini, retroilluminata e arricchita di fasce in metallo galvanizzato oro. Il vero colpo di scena è però l’accetta dorata inaspettatamente inserita sul top del tavolo: è lei a fare da collegamento tra cucina e design, rimarcando il valore della gestualità che da sempre si accompagna alla preparazione del cibo e alludendo anche a certi coltelli presenti nelle nature morte o a quelli che l’inventore della Eat Art Daniel Spoerri incolla ai quadri insieme ad altri utensili da cucina.
«Ora che l’attenzione della cultura si sta spostando dagli oggetti alle esperienze, il cibo è sotto i riflettori. L’arte commestibile è decisamente in ascesa», dice il curatore Nicholas Baume (che si dichiara anche un suo grande collezionista). A esemplificare questa tendenza sarà dal 17 al 23 aprile, nei giorni della Design Week milanese, la mostra dal titolo biblico Prendete e Mangiate, orchestrata da Sara Bologna negli spazi della Siam di via Santa Marta 18 (nel quartiere Cinque Vie). Esposte ci saranno le creazioni di artisti, artigiani e designer internazionali che, ciascuno dalla propria prospettiva culturale, proporranno riflessioni sul tema della tavola come luogo di condivisione non solo di cibo.
Ancora durante il Fuorisalone, il marchio americano fferrone aprirà le porte della quattrocentesca Villa Mirabello (tra la Maggiolina e il Villaggio dei Giornalisti) per ospitare Still Now. The dinner, un’autentica festa per gli occhi in cui le collezioni di bicchieri disegnate da Felicia Ferrone saranno immerse in un blu astratto, kleiniano (nel senso di Yves Klein), evocando anche la tradizione delle nature morte dal Seicento a oggi. In collaborazione con il fotografo Jonathan Allen è nata infatti la serie di still life Ultramarinus: Memories of the future, che attraverso alcuni oggetti recuperati nei mercatini dell’usato esplorerà lo stretto legame tra l’arte e la tavola.