Un giusto processo, forseLa sentenza del Tar sulla Juventus e la necessaria rivoluzione della giustizia sportiva

La decisione del tribunale amministrativo potrebbe ribaltare la penalizzazione inflitta al club bianconero, ma soprattutto sancisce che chi amministra lo sport non può prescindere dai principi costituzionali e non può nemmeno impedire alla difesa di adire le vie ordinarie

Lapresse

È ancora presto per dire se il “papello” indirizzato dalla Procura Federale alla Covisoc agli albori dell’indagine sportiva sui conti della Juventus, e che presto sarà disvelato per ordine del Tar, sia realmente decisivo per ribaltare la pesante penalizzazione inflitta al club bianconero.

Secondo i legali della difesa, il Tar potrebbe dare la prova che l’indagine abbia avuto termini di durata superiori a quelli consentiti dalla legge e dunque vanificherebbe tutte le prove raccolte e lo stesso capo d’incolpazione contestato alla Juventus.

Sarebbe un proscioglimento tecnico e di natura procedurale, una cosa che in questo Paese pullulante di Torquemada frustrati suonerebbe come un “cavillo”, una scappatoia, un tunnel da “fuga da Alcatraz” che non risplenderebbe di adamantina giustizia.

Vedremo, per ora sono illazioni, ma la sentenza emessa dalla terza sezione del Tar intanto dice già moltissimo all’addetto ai lavori, e di assai importante, su temi cruciali di ciò che chiamiamo con una certa fantasia giustizia sportiva e che sta franando sotto i continui colpi della giustizia ordinaria.

Ancora qualche giorno fa, il presidente della Corte di appello della Figc Mario Luigi Torsello in una lectio magistralis spiegava agli adoratori del giustizialismo sportivo che il diritto regolante le competizioni è una sorta di regolamento da bocciofila, un accordo tra privati che come al circolo Aniene decidono le proprie regole di accesso (ad esempio estromettere le donne per un secolo) e i punti da assegnare al Burraco sociale.

In base a ciò, il magistrato ha osservato che in tema di sport «la giustizia sostanziale» prevale su quella ordinaria che si basa sul giusto processo, il complesso di regole e di garanzie che ogni tribunale di uno Stato di diritto applica a tutela dei diritti del cittadino inquisito.

Sono questi dei lussi (dei gargarismi, direbbe Travaglio) che l’ordinamento sportivo non può concedersi, almeno secondo l’autorevole giurista, perché prevalgono esigenze di velocità e di certezza sportiva (intanto, la Juventus da un paio di mesi gioca senza sapere se debba preoccuparsi di salvarsi o di accedere alla Champions League).

Ebbene, qualcuno dovrebbe avere la bontà di spiegare che da un po’ di tempo non è più così e non per un capriccio di moda, ma perché lo hanno scritto le corti supreme regolatrici del diritto, quello ordinario come la Corte Europea di giustizia, la Corte Costituzionale, il Consiglio di Stato ma anche – udite udite – lo stesso giudice supremo sportivo, ovvero il Collegio di garanzia del Coni, come scrive nella sentenza di oggi il Tar.

Il giudice amministrativo era chiamato a decidere se la Covisoc, la commissione che la Federazione calcio ha preposto al controllo dei conti dei club, avesse diritto a rifiutare come aveva fatto nel corso del processo sportivo un documento di direttive a lei impartite dalla procura federale durante le ispezioni sui conti bianconeri.

I legali della Juve invocavano la legge 241/90 che impone alla pubblica amministrazione di fornire l’accesso al cittadino sui documenti da lei formati. Il Tar ha accolto la richiesta con due importanti argomenti dai potenziali effetti dirompenti sul sistema odierno.

Il tribunale amministrativo ha innanzitutto ribadito l’indirizzo sancito negli ultimi anni dalla Corte Europea di Giustizia e dal Consiglio di stato, di cui si era già parlato qui, per cui la Federcalcio come tutte le consorelle e i propri organismi interni, come la Covisoc, «pur essendo “associazioni di diritto privato” sono al contempo inserite nell’ambito dell’ordinamento sportivo ed esercitano sia poteri di autonomia privata sia potestà amministrative rilevanti per l’ordinamento statale, con applicazione di regimi giuridici differenti in ragione della natura dell’atto che di volta in volta viene in rilievo».

Sono dunque enti che perseguono finalità di pubblico interesse e in tal senso «i profili relativi alla regolarità dei campionati, che attengono sia al regolare funzionamento degli stessi sia alla salvaguardia della par condicio tra i partecipanti, sono rilevanti per l’ordinamento statale, che prevede al riguardo una tutela giurisdizionale piena affidata alla giurisdizione amministrativa». Dunque, attenzione, sono aspetti – compresi quelli sulla regolarità delle competizioni – che riguardano anche la giustizia ordinaria con le sue regole, a partire dal giusto processo.

Il secondo profilo non meno decisivo è la fine della «pregiudiziale sportiva», e cioè di quel principio che antepone e tutela la giustizia di settore come un’enclave a parte rispetto a quella ordinaria, costituzionalmente orientata.

Ai sensi dell’articolo 3 della legge 280 del 2003, solo dopo aver «esaurito i gradi della giustizia sportiva» è possibile adire da parte degli associati il giudice amministrativo. Insieme alla clausola compromissoria di cui all’articolo 2, la «pregiudiziale» costituisce l’architrave dell’autonomia dell’ordinamento sportivo.

Ebbene, la sentenza del Tar apre uno squarcio su questa corazza e statuisce, punto fondamentale, che invece ci si possa rivolgere al giudice ordinario anche quando il processo sportivo in cui il soggetto interessato è coinvolto è ancora aperto, e lo può fare al fine di tutelare il suo diritto alla difesa.

Nel caso di specie, Fabio Paratici e Federico Cherubini, manager della Juventus, hanno chiesto alla Covisoc un documento che ritengono indispensabile alla loro difesa.

Gli era stato risposto picche, sostenendo – in base alla pregiudiziale sportiva – che lo avrebbero avuto semmai dopo la fine del processo sportivo. Il giudice amministrativo invece ha stabilito che ne hanno pieno diritto ora, anche se il processo sportivo per le plusvalenze non è ancora terminato.

E qui spuntano, veicolati da una sentenza del Consiglio di Garanzia del Coni che sarà chiamato a decidere, due termini fondamentali: «diritto di difesa» e «articolo 111 della Costituzione». Il diritto alla difesa deve essere «effettivo» e pieno per cui il documento, come mezzo di esercizio reale del diritto a difendersi, deve essere rilasciato ora perché altrimenti ne verrebbe leso il diritto di difesa nelle forme previste dall’articolo 111 Costituzione. Basta così.

Non sappiamo quanto sarà utile il documento, ma poco importa: qui non è più in ballo il singolo problema della Juventus ma l’intero sistema giudiziario dello sport. Se le federazioni sono enti con finalità di pubblico interesse, se la giustizia sportiva “scorre parallela” a quella ordinaria, se il giudice ordinario e il giudice supremo dello sport citano nelle loro sentenze l’articolo 111 della Costituzione, col corollario di giusto processo e diritto di difesa ad armi pari con l’accusa, allora non è possibile salvare indagini e sentenze che violano questi principi.

Per intenderci, come è possibile che resistano sentenze basate su mozziconi di intercettazioni, prove acquisite senza contraddittorio, accuse cambiate in corsa con violazione del principio di legalità.

Sarebbe riduttivo per la stessa Juventus limitarsi a un profilo di pura improcedibilità tecnica quando la posta in gioco è una giustizia sportiva, moderna e garantista. Parafrasando Marshall McLuhan si potrebbe dire che il «giusto processo è il messaggio» e non un mezzo per una giustizia di parte, ma per un diritto reale. Forse il club bianconero non realizzerà la Superlega, ma certo ha l’occasione di una inaspettata quanto meritoria e attesa rivoluzione italiana.

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