L’Istat ha appena pubblicato le stime per il deficit italiano. Secondo l’istituto di statistica, l’indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche (o deficit), ossia la differenza tra le entrate e le uscite dello Stato in un anno, è stato pari all’otto per cento del Pil. Sono state riviste anche le stime per il deficit nel 2020 e nel 2021, che si è ridotto in entrambi i casi. Il motivo di questa revisione riguarda la decisione da parte di Eurostat di considerare i crediti del Superbonus e dei bonus edilizi come «pagabili».
Nelle ultime settimane, si è molto discusso della classificazione di questi crediti perché, a seconda della decisione di Eurostat, Roma rischiava di veder bloccato lo spazio di manovra economica. Esistono infatti due modi per definire i crediti fiscali: pagabili o non pagabili.
Nel caso dei crediti considerati pagabili, esiste una ragionevole certezza che chi possiede il credito sia in grado di incassarlo tutto, perché paga abbastanza imposte da assorbire tutto il beneficio. Per esempio, un dipendente che deve incassare un credito di imposta di centomila euro nel corso di quattro anni ha bisogno di un reddito pari ad almeno sessantanovemila euro, altrimenti perderà parte del beneficio. Questo perché questi crediti di imposta non si trasformano in “imposte negative”, che si hanno quando il credito è superiore al debito fiscale e lo Stato paga la differenza come rimborso.
In parole semplici, se un dipendente deve pagare tasse per cento euro e ha un credito fiscale di centocinquanta, in caso di imposta negativa il fisco “annulla” le tasse da pagare e restituisce cinquanta euro al contribuente. Nel caso del Superbonus, questa operazione non è possibile. Fino allo stop delle cessioni da parte del governo, però, il contribuente poteva decidere di cedere (vendere) il proprio credito a qualcun altro, che lo avrebbe utilizzato per pagare le proprie tasse. A comprare questi crediti di imposta sono state soprattutto le banche, che li utilizzeranno nei prossimi anni per pagare quanto devono al fisco.
Dal momento che la riduzione di gettito fiscale per lo Stato è virtualmente certa, i crediti pagabili vengono contabilizzati nell’indebitamento dell’anno in cui vengono concessi. Questo significa che gli oltre settanta miliardi di crediti d’imposta concessi dallo Stato per il Superbonus tra il 2020 e il 2022 verranno contabilizzati nel deficit degli scorsi anni.
In caso di crediti non pagabili, invece, le minori entrate vengono calcolate nel deficit degli anni in cui il beneficio viene utilizzato. In sostanza, se i crediti del Superbonus fossero considerati non pagabili, peserebbero sul deficit nei prossimi anni, ossia quelli in cui verranno utilizzati. Questa seconda ipotesi avrebbe ristretto di molto la capacità di spesa del governo, che avrebbe dovuto mettere da parte delle risorse per pagare i crediti di imposta nei prossimi anni. Attenzione: questo non significa che non dovremo sborsare molti miliardi in crediti fiscali, ma solo che non dovremo considerarli nel deficit.
Le finanze pubbliche italiane non permettono grande spazio di manovra all’esecutivo, che ogni anno deve fare attenzione a non registrare un deficit superiore a una certa soglia (anche se, per il momento, il Patto di Stabilità e Crescita, che impone formalmente un tetto, è sospeso).
La decisione di considerare i crediti già concessi nel deficit degli anni scorsi consente al governo di “sgarrare” a conti fatti, quando ormai si è già deciso quali saranno le misure economiche per il 2023. Per il 2024 e gli anni successivi, invece, il governo non dovrà preoccuparsi dei crediti ancora da pagare, perché non verranno contabilizzati nel deficit. In sostanza, sarà possibile spendere di più senza sforare la soglia massima di indebitamento.
Resta comunque il tema dei crediti fiscali rilasciati quest’anno e nei prossimi anni: è vero che i miliardi impegnati nel 2022 e incassati quest’anno non rientreranno nel deficit del 2023, ma rimangono sempre i crediti che verranno concessi nel corso di quest’anno. Per questo motivo, il governo ha deciso per una stretta sul Superbonus, che prevede, tra le altre cose, lo stop alla cedibilità dei crediti fiscali. In questo modo, i contribuenti che non pagano abbastanza tasse per beneficiare appieno dei crediti del Superbonus non saranno più in grado di cederli a chi invece potrebbe utilizzarli. È ragionevole pensare, quindi, che i crediti fiscali concessi a partire da quest’anno verranno considerati non pagabili.
In questo modo il governo non dovrà preoccuparsi dell’enorme aumento di risorse mobilitate per il Superbonus fino al 2022, almeno dal punto di vista contabile. In secondo luogo, la non pagabilità dei nuovi crediti dà al governo la possibilità di “diluire” il deficit nel corso del tempo per quanto riguarda i crediti che verranno concessi a partire da quest’anno. Infine, la stretta sul Superbonus ridurrà di molto il suo costo per i progetti presentati a partire da quest’anno, aumentando ulteriormente lo spazio fiscale dell’esecutivo.
La decisione di Eurostat è una boccata d’aria per il Paese, che potrà investire più risorse nei prossimi anni per la crescita. Rischia anche però di provocare un meccanismo perverso: il fatto di non far pesare i crediti fiscali del Superbonus nel deficit dei prossimi anni dà al governo la possibilità di spendere senza preoccuparsi granché del debito pubblico derivante dalla misura, un sentiero che rischia di peggiorare ulteriormente lo stato dei conti pubblici.