Il tempo e la VernacciaTra dimensione storica e affinamento, le diverse dimensioni temporali della Regina Bianca di Toscana

Vip fin dal Medioevo, nel corso dei secoli la Vernaccia è sempre passata sulle tavole dei nobili, restando fortemente legata alla sua San Gimignano. Oggi sul tempo storico fa leva per promuoversi, mentre nel tempo dell’affinamento regala sorsi indimenticabili

Foto da US Consorzio del Vino Vernaccia di San Gimignano

Quaranta minuti. Sono più o meno il tempo che ci vuole a percorrere in auto da Nord a Sud il comune di San Gimignano, all’estremità settentrionale della provincia di Siena. In questo comprensorio, su una manciata di 750 ettari, ci sono gli unici vigneti in cui cresce la vernaccia di San Gimignano, vitigno da cui si produce l’omonimo vino Docg.
A sentir parlare di vino toscano, si pensa subito ai grandi rossi. Brunello di Montalcino, Bolgheri, Chianti – Classico e non – e poi c’è lei, anima bianca e antica della regione, che della propria storia si fa forte, legata in maniera indissolubile allo splendido borgo da cui proviene, tra le colline, cipressi, uliveti e ça va sans dire vigneti.
Ma se a livello temporale la dimensione storica conta, conta anche e molto quella dell’affinamento, che rende questo vino unico, come ben ha messo in evidenza la degustazione verticale condotta dal Master of Wine Gabriele Gorelli in occasione dell’edizione 2023 dell’Anteprima della Vernaccia, organizzata dal Consorzio di tutela.

Gabriele Gorelli

Vip ante litteram
Della Vernaccia si ha notizia fin dal 1200 e fa presto a diventare famosa sulle tavole che contano. Il riferimento più celebre è la Divina Commedia, al Canto XXIV del Purgatorio, citata da Dante in merito alle pene di Papa Martino IV (ne abbiamo parlato qui, qui e qui), ma la si trova anche nel 1276 in alcuni documenti del Comune di San Gimignano e nei secoli resta un vino amato dalla nobiltà, servita in occasione degli eventi mondani del Rinascimento, come il matrimonio di Bernardo Rucellai e Nannina Medici – sorella di Lorenzo il Magnifico – o quello di Isabella, figlia del Re di Napoli. Tanto che il Comune deve nominare due assaggiatori ufficiali per selezionare il vino destinato all’esigente clientela.
Nel 1500 ne scrive Sante Lacerio, bottigliere di Papa Paolo III Farnese e autore di testi che ancora oggi sono un punto di riferimento per la storia di alcuni vitigni, poi ancora Giorgio Vasari, che la dipinge in una formella del Salone dei Cinquecento a Firenze. Ne parla anche Francis Scott, nella sua guida sull’Italia – una sorta di “Lonely Planet” seicentesca. E se ne parla ancora nel Settecento e nell’Ottocento, sempre ancorata alla città turrita Patrimonio Unesco, che ancora oggi seduce milioni di visitatori ogni anno. Nel 1966 la “Regina Bianca” è il primo vino Doc d’Italia e nel 1972 nasce il Consorzio della Vernaccia di San Gimignano (il vino), che appena un anno fa ha festeggiato i 50 anni. In pratica è come se i tralci di vernaccia fossero cresciuti abbarbicati ai secoli.

Macchina del tempo
Oggi a San Gimignano quasi tutti cercano il passato, una dimensione ideale tra il bucolico e il medioevale, tra le torri di pietra e i souvenir, tra gli ulivi e le code per un selfie fugace senza passanti sullo sfondo. Con tutta la storia che ha alle spalle, anche la Vernaccia pesca abbondantemente nel passato. All’inizio di quest’anno il Consorzio ha lanciato un nuovo video promozionale, improntato proprio sull’atmosfera epica e il gergo cavalleresco, dedicato ai “Paladini della Regina Bianca”. E il viaggio nel tempo continua.
Va detto che i turisti a caccia di passato di Vernaccia ne comprano. Secondo le stime del Consorzio, circa un quarto della produzione – 4,6 milioni di bottiglie totali nel 2022 – viene venduta qui, ma c’è chi parla di volumi anche più alti. Un obiettivo che, se per altre denominazioni pare un miraggio – le vendite dirette significano incassi senza intermediari – nel caso della Vernaccia solleva qualche timore di coltivare un vino-souvenir, adagiato sulle presenze e poco motivato a migliorarsi.
Troppa enfasi sul tempo passato, quindi? Giocarsi una carta come quella della storicità serve eccome, non tutti se la possono permettere, ma è un’altra la dimensione temporale su cui probabilmente occorre concentrarsi.

Tempo futuro
La direzione in cui andare è emersa chiaramente dalla degustazione che quest’anno il Consorzio della Vernaccia ha organizzato in occasione dell’Anteprima dell’annata 2022. Dodici vini di altrettante aziende a ritroso dall’annata 2018 alla 1997 hanno mostrato, sotto la guida del master of wine Gabriele Gorelli, come l’affinamento regali alla Vernaccia una complessità unica. Dagli aromi, che si ampliano verso profumi più dolci e complessi, a sorsi che diventano sensuali e ricchi, tra sapidità, morbidezze e tutto un corredo di sensazioni che chiamano miele, cedro candito, frutta secca, spezie e balsamicità. Difficile intuirlo dalla degustazione dei calici di Vernaccia 2022, appena immessi sul mercato nella tipologia “annata” – la più giovane – e difficile intuirlo anche dai “Riserva” appena usciti nell’annata 2021. Qui ciò che emerge è il grande lavoro svolto dai viticoltori, che alle prese con un clima sempre più instabile riescono comunque a portare qualità nel calice. Loro sono sì al passo coi tempi, nonostante comunichino soprattutto il passato.
“Il tempo è un grande autore – diceva Charlie Chaplin – scrive sempre il finale perfetto”. Allora il consiglio è di comprare la Vernaccia e metterla in cantina. Sarà una gioia ricordarsela, dopo un po’ di tempo.

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