Si dice showGiletti, Wojtyla, Emanuela Orlandi e gli pseudo scoop del circo mediatico

Scandali, o presunti tali, e casi di cronaca che si intrecciano a cominciare dalla vicenda del cardinale Becciu. La ricostruzione di uno dei legali del processo

(La Presse)

Forse non è un caso che nella stessa settimana, e ad opera di due trasmissioni sulla stessa emittente, siano esplosi due pseudo-scoop che coinvolgono due personaggi, tra loro molto diversi, ma simbolici e popolari, come Giovanni Paolo II, l’ultimo Papa santo, e Silvio Berlusconi, il fondatore della destra italiana moderna.

Nessuno dei due è in grado di smentire la violenta campagna diffamatoria di cui è vittima, le accuse non hanno riscontro alcuno, i personaggi che le muovono si affidano ai «si dice» e a confidenze non verificabili, sono rilanciate da una televisione in crisi di ascolti e che dà voce a conduttori spregiudicati e populisti, capaci di mischiare fantasia e realtà con sapienza, senza distinguere la qualità degli interlocutori .

Sulla vicenda Giletti-Baiardo-Berlusconi, da cui emana un forte olezzo di bufala stagionata, vedremo, ma intanto sulla diffamatoria campagna contro il “Papa Santo” qualcosa va detta alla luce della ampia intervista a tutta pagina rilasciata al Corriere della Sera dal Promotore di Giustizia Vaticano Alessandro Diddi.

Il capo della procura della Santa Sede, direttamente nominato dal Pontefice, ha parlato subito dopo il violento attacco portato da Pietro Orlandi, alla presenza del suo legale, nel corso della trasmissione condotta da Giovanni Floris che si è pure complimentato con l’ospite (inutile girarci intorno: le bufale da social resterebbero tali se non ci fossero giornalisti alla affannosa caccia di share, disposti a rilanciarle).

Orlandi con accenti anche volgari («certo Wojtyla non usciva la sera a benedire case») ha riferito dicerie e chiacchiere diffamatorie anche di pregiudicati, il cui ruolo nella vicenda è stato prudentemente sminuito dallo stesso promotore.

Questi è invece rimasto assolutamente silente sulle gravi e infamanti accuse mosse a uno dei giganti, non solo religiosi, del Novecento: ha anzi ribadito di voler andare sino in fondo, con il pieno appoggio del Papa e del suo Segretario di stato.

Solo dopo altri due giorni, è intervenuta una voce ufficiale a protestare e respingere le accuse, quella del direttore editoriale del Dicastero per la comunicazione della Santa Sede, il giornalista Andrea Tornielli.

Ha invocato nella sua intervista il magistrato la parresia, termine biblico che racchiude il senso del «dire il vero» e dunque la necessità di perseguire la chiarezza e la ricerca della verità. Un intento condivisibile che purtroppo il professor Diddi ha trascurato in un’altra clamorosa vicenda (che tocca il caso Orlandi, come vedremo) che egli stesso ha avuto cura di evocare, di cui chi scrive ha una certa conoscenza e su cui tocca fare una riflessione vista l’autorevole citazione del promotore: il processo al cardinale Giovanni Angelo Becciu e altri imputati, di cui si è compiaciuto di sottolineare essere il primo giudizio contro un principe della Chiesa.

Tuttavia questo processo, incentrato sulla compravendita di un palazzo di lusso a Londra, secondo l’accusa oggetto di una manovra prima fraudolenta e poi estortiva per costringere il Vaticano a pagare un’ingente somma al fine di acquisirne la piena legittima proprietà, ha sollevato molti dubbi e rivelato aspetti sconcertanti verso cui non sempre l’inquirente ha mostrato chiarezza e linearità.

È emersa dalle udienze una realtà di duri contrasti interni al Vaticano tra istituzioni, come lo Ior, la banca vaticana e la Segreteria di Stato, i cui ambienti sono stati addirittura oggetto di intercettazioni ambientali disposte dell’autorità giudiziaria.

Ebbene, la parresia è stata dimenticata dal promotore allorché uno dei testi principali dell’accusa, monsignor Perlasca, già responsabile dell’ufficio amministrativo della Segreteria e autore di dure accuse contro Becciu e altri imputati, ha ammesso, incalzato dai difensori, di essere stato imbeccato da due donne, una sua amica, Genoveffa Ciferri, e un ben noto personaggio delle cronache giudiziarie vaticane, Immacolata Chaouqui, sedicente confidente del Papa e da questi nominata in una commissione, Cosea (Pontificia commissione referente di studio e di indirizzo sull’organizzazione della struttura economico-amministrativa), da cui furono sottratti e indirizzati alla stampa documenti riservati.

Per questi, fatti la donna è stata condannata nel noto processo “Vatileaks”, verdetto per cui il Papa si è sempre rifiutato di concedere il perdono.

Il promotore ha depositato una decina di messaggi a lui indirizzati dalla Ciferri, ma ha celato alle difese, disponendone la secretazione peer motivi di riservatezza, altre 166 chat da cui sarebbe possibile ricostruire gli eventuali contatti tra gli uffici inquirenti e le due donne durante le indagini, al fine di verificare se vi fu un tentativo di depistaggio.

Nonostante i reiterati appelli delle difese, Diddi si è rifiutato fino a oggi di depositare i messaggi. Sicché ancora si brancola nel buio.

Come accennato, il processo Becciu «incrocia» la vicenda di Manuela Orlandi, sempre a dire del fratello Pietro e del suo avvocato, che hanno «collegato», ancora una volta rigorosamente senza prove, la nomina dell’attuale presidente del Tribunale Vaticano, Giuseppe Pignatone, alla sua decisione ai tempi in cui guidava la Procura di Roma di archiviare l’indagine sulla scomparsa di Emanuela. Ciò lo renderebbe, secondo loro, «incompatibile». Il dottor Pignatone, va da sé, è l’attuale presidente del collegio chiamato a decidere sul caso Becciu cui fa riferimento nella sua ampia intervista il Promotore.

A suo tempo Linkiesta ha raccontato la vicenda, di fronte a cui è facile avvertire un forte senso di vertigine e confusione oltre che di comprensibile preoccupazione per la sorte di cittadini italiani in una tale particolare temperie processuale.

Un ultimo aspetto: mentre infuriava la polemica, il Papa ha promulgato un ennesimo Motu Proprio con cui a distanza di poco tempo ha modificato l’ordinamento giudiziario dello Stato.

La nuova normativa non solo aumenta i poteri del Promotore, già ampiamente accresciuti da appositi rescritti del Papa, emessi ad hoc per il processo in questione, ma affida la giustizia vaticana nel suo complesso al controllo di soggetti direttamente reclutati nella società civile tra esperti di diritto.

Caso unico negli ordinamenti giudiziari internazionali, la magistratura vaticana da oggi può essere formata esclusivamente da avvocati e professori a tempo definito, liberi di fare la spola tra i loro studi di consulenti privati e le istituzioni vaticane.

Col rischio di un pericoloso cortocircuito tra interessi privati e pubblici doveri che non dovrebbe sfuggire a nessuno, per la regolarità stessa dell’amministrazione giudiziaria di uno Stato ancora così centrale per la storia e gli equilibri del mondo.

*L’autore fa parte del collegio difensivo nel processo contro il Cardinale Becciu e altri otto imputati in corso presso il Tribunale penale vaticano: l’articolo riflette solo le sue personali opinioni

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