Compromesso bilanciatoIl Parlamento europeo vuole ricollocamenti obbligatori di migranti (ma solo nei casi di crisi)

Approvata la posizione negoziale dell’Eurocamera sui regolamenti cruciali della nuova politica migratoria dell’Ue. Votano a favore anche Lega e Fratelli d'Italia, in dissenso rispetto ai propri gruppi politici

Lapresse

«Se perdiamo questa chance, non so se ne avremo altre», dice accigliato Juan Fernando López Aguilar, socialista spagnolo a capo della commissione Libertà civili del Parlamento europeo. L’Eurocamera ha adottato la sua posizione negoziale su tre regolamenti fondamentali del Pact on Migration and Asylum, proposto dalla Commissione nel 2020 per modificare radicalmente le «regole preistoriche» della politica migratoria dell’Unione europea, come le ha definite di recente il presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

Dublino «ammorbidito»
Non è destinato a cambiare, comunque, il principio cardine del regolamento di Dublino: la norma che obbliga ogni richiedente asilo in arrivo nell’Unione a presentare la sua domanda solo nel Paese di primo ingresso.

Tuttavia sono previste più deroghe, nella versione approvata dall’emiciclo comunitario del regolamento sulla Gestione dell’asilo e della migrazione: il cuore del pacchetto, affidato al’eurodeputato svedese del Ppe Tomas Tobé. Tutte quelle persone migranti che hanno legami famigliari o esperienze di studio pregresse in un Paese europeo diverso da quello di arrivo potranno più facilmente presentare lì la propria richiesta di asilo.

Si tratta di un testo di compromesso, molto bilanciato per riscuotere l’assenso dei principali partiti dell’assemblea comunitaria che l’hanno sostenuto: popolari, socialisti, verdi e liberali. E se la solidarietà verso gli Stati membri più interessati dal fenomeno migratorio è obbligatoria, i modi in cui può esprimersi sono flessibili, ha spiegato Tobé.

I ricollocamenti di richiedenti asilo fra nell’Unione sono un’ipotesi, alla quale si affianca la cosiddetta capacity building. Gli altri Stati possono cioè finanziare la gestione dei migranti nei Paesi di frontiera: «Pagando le infrastrutture, ma soprattutto inviando personale e mezzi, come camion ed elicotteri».

Al momento non c’è nessuna indicazione concreta sulle possibilità di impiego di questi fondi, ma la tendenza sembra quella di concedere finanziamenti per la sorveglianza delle frontiere più che per l’accoglienza, fatta eccezione per la costruzione di barriere di confine che «non rientra nella proposta», ha detto l’europarlamentare.

I gruppi politici della sinistra europea hanno ottenuto di espungere la pratica della return sponsorship, presente nella proposta originaria della Commissione, per cui uno Stato membro poteva, invece che ospitarli, farsi carico di una quota di richiedenti asilo respinti da uno Stato di frontiera e organizzarne il rimpatrio.

Battaglia sul testo anche di un altro dei regolamenti, quello sullo Screening dei cittadini di Paesi terzi, che regola i controlli a cui sottoporre chi arriva alle frontiere: identificazione, rilevamento delle impronte digitali, e valutazioni su sicurezza, salute e e vulnerabilità.

In questo caso resta la possibilità della «presunzione giuridica di non ingresso» condizione per cui si «finge» che una paersona non si trovi nel territorio dell’Unione durante le procedure di controllo, anche se si svolgono entro i confini europei. In questo modo è più facile e rapido impedirle l’ingresso.

Questa finzione legale, tuttavia, non si può utilizzare nella border procedure, la disamina accelerata delle domande d’asilo, seguita da rimpatri altrettanto veloci in caso di esito negativo, afferma la relatrice del file legislativo, la socialista tedesca Birgit Sippel.

Ricollocamenti in casi eccezionali
Il punto forse più controverso di tutto il pacchetto migratorio riguarda però i ricollocamenti obbligatori dai Paesi di frontiera verso il resto dell’Unione, chiesti a gran voce in questi anni dagli Stati del Sud Europa, con l’Italia in testa.

Nella posizione del Parlamento europeo, la Commissione avrebbe si la possibilità di imporre una ripartizione, ma solo in casi di «afflusso massiccio e improvviso» verso un Paese membro, come spiega a Linkiesta lo stesso Juan Fernando López Aguilar, relatore del regolamento sulle Situazioni di crisi.

«Uno Stato membro puo richiedere l’attivazione della situazione di crisi e la richiesta viene valutata dalla Commissione con l’ausilio degli organi competenti: Frontex, l’Agenzia dell’Unione europea per l’asilo, l’Unhcr».

Se il quadro è effettivamente critico, si innesca un meccanismo per cui i tempi previsti per le procedure di registrazione e rimpatrio vengono allungati di quattro settimane, mentre alle persone in «evidente stato di rischio», come le donne incinte o vittime di maltrattamenti, viene garantita protezione immediata.

Dopo una prima fase di raccolta delle proposte volontarie di ricollocamento da parte degli Stati membri, parte un programma obbligatorio, da attuare secondo criteri ancora da stabilire: per la Commissione dovrebbero essere popolazione, tasso di occupazione e prodotto interno lordo di ogni Paese, ma López Aguilar rivendica la necessità di effettuare la ripartizione in base ai legami che le persone coinvolte potrebbero avere con i Paesi di destinazione.

Gli italiani compatti
Pur con tutte le limitazioni del caso, il regolamento sulle Situazioni di crisi sarebbe comunque il primo a imporre una redistribuzione, concetto cruciale soprattutto per i Paesi di frontiera soggetti agli attraversamenti irregolari, o agli arrivi via mare come nel caso dell’Italia: nel 2023 sono oltre 34mila, il quadruplo rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso.

Forse anche per questo ha ricevuto il voto favorevole di tutti gli eurodeputati italiani, compresi quelli di Lega e Fratelli d’Italia, che hanno votato in dissenso dalle rispettive famiglie politiche. Nel complesso, i tre testi del Pact on Migration sono stati approvati a larga maggioranza: contrari solo i due gruppi politici dell’estrema destra, Identità e Democrazia e Conservatori e riformisti europei, e parte di quello della Sinistra.

«Siamo fiduciosi che l’avvio del negoziato con il Consiglio consentirà al nostro Governo di far valere con maggior forza la posizione italiana», hanno scritto in una nota congiunta per motivare la scelta i capi delegazione dei tre partiti di governo: Carlo Fidanza di Fratelli d’Italia, Marco Campomenosi della Lega e Fulvio Martusciello di Forza Italia.

Anche da fonti diplomatiche filtra soddisfazione, visto che i tre mandati negoziali sono considerati «più in linea con le sensibilità dei Paesi di primo ingresso».

Ma la strada resta lunga, per un progetto di riforma che secondo gli auspici delle istituzioni comunitarie dovrebbe essere completato entro la fine dell’anno, sotto la presidenza di turno della Spagna al Consiglio dell’Ue. Che non renderà facile la trattativa al Parlamento comunitario, su un tema da sempre molto sensibile, e divisivo, per i suoi ventisette membri.

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