Mamma EuropaPer non sprecare l’occasione, l’Italia sviluppi una nuova capacità amministrativa

Con il Pnrr al giro di boa e i programmi per la coesione al punto di partenza, il nostro Paese ha bisogno di nuove dinamiche produttive e modelli di organizzazione del lavoro pubblico

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Sono passati più di due anni da quando il Recovery Fund è entrato in vigore come principale strumento del Piano Next Generation Eu previsto dal nuovo bilancio europeo in risposta alla crisi e alle sfide generate dalla pandemia.

Le risorse sono a gestione diretta della Commissione e vengono rese disponibili agli Stati membri sotto forma di sovvenzioni e prestiti in cambio di riforme e investimenti mirati, secondo una precisa tabella di marcia che dovrebbe chiudersi a dicembre 2026.

Gli investimenti nelle tecnologie, nelle capacità e nei processi verdi e digitali in vari settori chiave dell’economia, contribuiranno a creare posti di lavoro e una crescita sostenibile, consentiranno all’Unione di sfruttare al massimo le opportunità di mercato in una fase di riassetto dell’economia mondiale.

Le direttrici di questo processo si sono andate tuttavia progressivamente “fluidificando” nel tempo, in funzione dei nuovi fattori congiunturali e delle grandi sfide di medio-lungo periodo legate ai mutamenti climatici e demografici, che con sempre maggiore urgenza vanno mutando gli assetti delle relazioni geopolitiche.

In relazione alla complessità e urgenza degli obiettivi sovrastanti, il Recovery Fund è strettamente integrato nel processo di coordinamento delle politiche economiche regolato nel sistema del semestre europeo: è da questa prospettiva che va osservata la reale portata dei vincoli e delle opportunità che ne derivano.

I Piani nazionali di ripresa e resilienza messi a punto dagli Stati membri devono essere coordinati e coerenti con i piani nazionali di riforma annuali, e agire in complementarità con gli altri strumenti di programmazione che contribuiscono agli obiettivi di sviluppo e coesione dell’Unione europea.

Tale considerazione richiama il tema dell’efficacia delle azioni messe in campo, che negli ultimi decenni ha pesantemente condizionato le performance di assorbimento dei fondi europei.

Questa è apparsa da subito come la “dolente nota” nostrana, laddove, a fronte di un ammontare di risorse potenzialmente più che raddoppiato rispetto alle esperienze precedenti, il nutrito pacchetto del Pnrr approvato dalle istituzioni europee a luglio 2021 conteneva “solo” una serie di previsioni generali sulle modalità attuative, incentrate soprattutto sul tema della governance del Piano, riferendosi però solo agli aspetti legati al presidio politico delle risorse e lasciando aperte alcune questioni fondamentali sulla messa a terra degli interventi.

L’ansia di impacchettare in “Missioni” ciclopiche e composite interventi di varia natura e realizzabilità che aprissero le porte del Recovery Fund ha fatto poi dimenticare l’onda d’urto in arrivo dai Fondi coesione per il ciclo 2021-2027 – con il corredo di risorse nazionali e complementari – rendendo il quadro d’azione estremamente sfidante per una Pubblica amministrazione stanca e sfibrata dai tentativi di riforma mancati negli anni.

La mole di risorse che le Amministrazioni italiane si trovano oggi a gestire comprende infatti, oltre ai 191,5 miliardi del Recovery, a cui si sommano 30,6 miliardi del Fondo Nazionale Complementare di Bilancio e i 14,4 miliardi del Pacchetto di Assistenza alla Ripresa per la Coesione e i Territori d’Europa (React-Eu), le risorse finanziarie assegnate alle politiche di coesione per il ciclo 2021-2027 – che con il cofinanziamento nazionale, ammontano complessivamente a 143,4 miliardi di euro per il settennio (aggiornamento al 31 dicembre 2022) di cui 103,1 miliardi di euro al Mezzogiorno e 38,7 miliardi di euro al Centro Nord – oltre a 1,6 miliardi di euro non ripartiti territorialmente. La pressione è ulteriormente intensificata dall’urgenza di gestire la “coda” delle risorse delle politiche di coesione 2014-2020, su cui finora si sono concentrate, gioco forza, le Amministrazioni responsabili a livello nazionale e regionale.

Il nuovo governo insediatosi in autunno ha dovuto da subito fare i conti con il “picco” degli impegni di spesa previsto a partire dal 2023, anno che segna il “giro di boa” nella tabella di marcia del Pnrr e l’avvio del nuovo ciclo di programmazione dei fondi strutturali.

Com’era prevedibile, le debolezze strutturali nella macchina attuativa cominciano a manifestarsi man mano che si entra nel vivo della fase implementativa del Piano – come emerge dalle note della Corte dei conti nella Relazione semestrale sul Pnrr e dalla stessa CE che non ha ancora dato il via libera alla terza tranche di risorse richiesta dall’Italia.

Il quadro delle sfide si fa ancora più evidente osservando gli ultimi dati sulle performance attuative dei fondi per la coesione 2014-2020 condivisi nella Riunione Annuale di riesame del 30 e 31 marzo, che, ormai a ridosso del termine ultimo per la chiusura dei conti del vecchio bilancio pluriennale, mostrano un avanzamento della spesa certificata al 31 dicembre 2022 ferma al quarantadue per cento con riferimento ai Pon, gestiti proprio dalle Amministrazioni Centrali impegnate anche nel presidio del Pnrr.

Le misure si sono concentrate finora sulla revisione degli assetti di governance del Pnrr e dei Fondi della coesione, attraverso il DL 13/2023, e su un primo tentativo di semplificazione procedurale in alcuni ambiti ritenuti strategici.

Un ulteriore passo è in corso di definizione, attraverso un nuovo decreto legge per il rafforzamento della Pubblica amministrazione, da cui passa inevitabilmente la riuscita definitiva di qualsiasi intervento di recupero di milestones e target negoziati illo tempore.

L’esperienza insegna che il nodo fondamentale per veder arrivare i fondi a destinazione risiede nello stabilire “regole del gioco” chiare e obiettivi raggiungibili attraverso strumenti e modalità di relazione e interrelazione efficaci che coinvolgano l’intera filiera degli attori chiave.

Auspicando i migliori risultati rispetto agli sforzi in campo per non perdere e ottimizzare le opportunità derivanti dalla straordinarietà dello scenario, occorre sfruttare una volta per tutte l’occasione di una definitiva e reale innovazione della cultura e della capacità amministrativa.

Il cambiamento dovrà passare dall’immediata introduzione, accanto a nuovo personale qualificato, di nuove dinamiche produttive e modelli di organizzazione del lavoro pubblico secondo logiche flessibili e che integrino da subito competenze e strumenti digitali funzionali all’accelerazione e al presidio di procedure, dati e modelli.

Servono quindi azioni rapide su almeno quattro fronti:

1) La revisione degli obiettivi strategici in funzione del mutato quadro congiunturale e di un modello “scalare” di distribuzione degli obiettivi specifici, che tenga conto delle peculiarità settoriali e territoriali e della reale “capacità di assorbimento” dei diversi attori coinvolti. Quindi ricalibrando e non cancellando le azioni intraprese;

2) La semplificazione, che significa la messa a punto di un sistema di regole straordinario e ad hoc per l’attuazione;

3) La disponibilità di strumenti di supporto ai controlli e alla valutazione del rischio e di monitoraggio strategico, che sfruttando le più moderne tecnologie digitali, consentano di tracciare in modo capillare il processo di attuazione, sino all’ultimo miglio della filiera;

4) L’apertura a nuovi modelli partenariali nella gestione delle risorse, che sfruttino tutte le energie buone della Nazione, coinvolgendo e responsabilizzando il settore privato e le parti sociali in una gestione attiva di obiettivi e risorse, in modo sfruttare economie di scala e competenze altrimenti non intercettabili, a beneficio della capacità istituzionale e amministrativa digitale.

Ma un fattore trasversale condizionante e abilitante per un reale cambio di passo è lo sdoganamento del supporto tecnico. Sebbene sia considerato elemento intrinseco della sana gestione finanziaria, il supporto tecnico a casa nostra ha acquisito nel tempo un carattere di diffidenza, come se la Pubblica amministrazione dovesse trovare in sé stessa la soluzione a tutti i mali.

Questo è stato purtroppo anche l’approccio seguito per il governo del Pnrr, dove si è ritenuto di poter garantire le attività di sostegno e di potenziamento delle capacità necessarie attraverso concorsi fiume che hanno costituito più un aggravio dell’attività amministrativa che non una fonte di rigenerazione.

Da qui occorre ripartire attingendo, da un lato, a tutti gli strumenti già disponibili attraverso i programmi dedicati a livello europeo e nazionale per attivare l’apporto essenziale delle assistenze tecniche – sia sul Pnrr sia sui programmi della coesione –, e dall’altro “progettare” la Struttura di Missione come una vera una task force multilivello articolata in una struttura centrale e in diramazioni territoriali, che si giovi di esperti di alto profilo nei settori d’investimento, nelle attività di gestione e controllo e nell’analisi dei dati, che possano così agire da booster con strumenti e leve di emergenza che consentano la rapida messa a punto di toolkit e modelli operativi abilitanti per tutti gli attori coinvolti nell’attuazione.

Il modello d’intervento e attuazione dovrà poi prevedere l’esplorazione di nuove forme di collaborazione tra la base istituzionale, scientifica e accademica e il mondo imprenditoriale generando innovazione nelle capacità d’investimento e assorbimento efficace delle risorse.

*Barbara Balzano è senior manager e advisor di Pubblica amministrazione e imprese sulla pianificazione strategica e la gestione dei Fondi UE

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