Se avete dei dubbi sull’efficacia delle sanzioni contro la Russia o sull’utilità degli aiuti militari all’Ucraina, se a forza di sentirvi ripetere quanto il regime di Vladimir Putin sia solido, il consenso interno inscalfibile e l’economia russa resiliente cominciate a sentirvi disorientati, ho un suggerimento per voi: guardate la Brexit. Ricordate cosa dicevano all’indomani del referendum molti di coloro che oggi ci ripetono quotidianamente che le sanzioni non stanno facendo un baffo all’economia russa? Esatto. Stessi argomenti, stesso lessico, stesso tono di chi la sa lunga e non si beve la propaganda del «mainstream» (perdonate l’espressione).
Come ha ricordato sabato Simon Kuper sul Financial Times, l’economia britannica, per decenni tra le più dinamiche e competitive del mondo, registrerà quest’anno la peggiore performance tra tutti i paesi del G20, eccetto uno (indovinate quale? Risposta esatta: la Russia). L’export è all’ultimo posto tra i paesi del G7. La sanità, che secondo le promesse dei leavers avrebbe dovuto navigare nell’oro, è in una crisi drammatica. Si è riaperta la ferita del confine nordirlandese e l’ultimo tentativo di mantenere le assurde promesse della campagna anti-Ue, in particolare quella secondo cui un’aggressiva politica di tagli alle tasse avrebbe liberato tutto il potenziale della Brexit, è stata testata fino ai limiti dell’autodistruzione da Liz Truss (non per niente il suo è stato uno dei governi più brevi della storia del mondo: quarantacinque giorni appena).
In Italia quasi non se ne parla più, ma non è un caso se oggi in Gran Bretagna una larga maggioranza della popolazione, secondo tutti i sondaggi, considera la scelta di abbandonare l’Unione europea un catastrofico errore. Perché lo è stato. E gli stessi furbacchioni che hanno passato i giorni successivi al referendum rilanciando qualunque minimo incremento del Pil britannico, qualunque aumento dello zero virgola della sua produzione industriale o della quotazione della sterlina, con lo stesso atteggiamento passivo-aggressivo con cui i negazionisti della crisi climatica rilanciano ogni nevicata, oggi hanno semplicemente smesso di parlarne. E ci spiegano come e perché sostenere l’Ucraina e sanzionare la Russia sarebbe un suicidio, rilanciando qualunque minimo rialzo del rublo o avanzata dell’esercito putiniano in Donbas.
Fortunatamente la Costituzione italiana e la giurisprudenza della Consulta non rendono probabile l’ammissione dei referendum promossi dal fronte pseudo-pacifista contro l’invio di armi all’Ucraina, con il Movimento 5 stelle in prima fila (se la Costituzione vieta di sottoporre a referendum abrogativo le leggi di ratifica dei trattati internazionali, non si capisce perché dovrebbe consentire di abrogare le leggi che danno esecuzione agli impegni presi in base a quei trattati, ottenendo l’identico risultato). Ma non c’è dubbio che i referendum, promossi non per niente da quella stessa commissione Dupre che ai tempi della pandemia ha rilanciato tutte le peggiori farneticazioni no vax prodotte dalla disinformazione russa, qualora si svolgessero, rappresenterebbero a tutti gli effetti una vera e propria Italexit.
Chissà se almeno a quel punto i tanti sostenitori della natura squisitamente progressista del Movimento 5 stelle e del suo leader Giuseppe Conte riterrebbero di dire una parolina in proposito, o se preferirebbero passare anche loro ad altro argomento.