«Le concessioni di occupazione delle spiagge italiane non possono essere rinnovate automaticamente ma devono essere oggetto di una procedura di selezione imparziale e trasparente». Più chiaro di così, il titolo del comunicato con il quale la Corte di Giustizia dell’Unione europea ha annunciato la sentenza del 20 aprile, non poteva essere. Per l’ennesima volta i giudici europei hanno ribadito la necessità di riordinare la disciplina delle concessioni italiane delle spiagge seguendo procedure di selezione imparziali e trasparenti.
Dal Lussemburgo non arrivano grosse novità: la nuova disciplina dovrà prevedere le gare. Il governo dovrà fare in fretta visto che, per come stanno le cose in questo momento, tutte le concessioni andranno in scadenza a fine 2023 così come previsto dal Consiglio di Stato. Nessuna sorpresa, quindi, dalla Corte di Giustizia rispetto a quanto già ampiamente enunciato in precedenza.
Dal punto di vista politico, le reazioni dopo la sentenza non sono però state tutte uguali. La Lega, ad esempio, attraverso il leader Matteo Salvini e l’ex ministro Gian Marco Centinaio è apparsa molto soddisfatta: «La sentenza della Corte di Giustizia europea sulle concessioni balneari dà ragione all’approccio della Lega. È un grande successo per l’Italia a tutela di migliaia di famiglie e di imprese balneari. La nuova mappatura delle spiagge sarà fatta dal Mio usando criteri di buonsenso», ha twittato trionfante il ministro delle infrastrutture e dei trasporti poco dopo la pubblicazione del dispositivo.
Una reazione quantomeno curiosa visto che l’oggetto principale della sentenza è un altro. Il leader del carroccio fa riferimento ad un passaggio relativamente breve del dispositivo – che peraltro non coincide esattamente con quanto twittato da Salvini – dove si specifica che «il diritto dell’Unione non osta a che la scarsità delle risorse naturali e delle concessioni disponibili sia valutata combinando un approccio generale e astratto, a livello nazionale, e un approccio caso per caso, basato su un’analisi del territorio costiero del Comune in questione».
Seguendo il ragionamento del leader della Lega questo passaggio darebbe il via libera alla tanto invocata mappatura delle concessioni, con l’obiettivo finale di dimostrare che il bene «spiaggia» non è limitato. La Bolkestein infatti può non essere applicata qualora l’oggetto della concessione non risulti limitato per via della scarsità delle risorse.
Tutto risolto, dunque? Non esattamente. La Corte ha sempre esplicitato che spetterà al giudice nazionale stabilire se la risorsa sia o meno scarsa, ma che in ogni caso l’eventuale scarsità non può rimettere in discussione l’applicazione dei primi due commi dell’articolo 12 della direttiva: selezione tra i candidati e nessun rinnovo automatico. Inoltre i criteri adottati da uno Stato membro per valutare la scarsità devono basarsi su criteri obiettivi, non discriminatori, trasparenti e proporzionati.
La mappatura delle concessioni è sul tavolo da anni e non sembra una strada risolutiva per diversi motivi. In primis un criterio oggettivo: le concessioni più attrattive sono quelle situate nei Comuni a maggior afflusso turistico che ovviamente presentano una più alta densità di concessioni. Sembra difficile pensare di riuscire a dimostrare la «non scarsità» della risorsa spiaggia a Jesolo, in Versilia o in Romagna.
Va inoltre considerato che una mappatura dettagliata richiede tempi relativamente lunghi e l’Europa non sembra intenzionata a fare sconti, dato che la Direttiva è in vigore da diciassette anni. Il tempo è poco: il 31 dicembre 2023 scadranno tutte le concessioni e Bruxelles ha proibito tassativamente ogni tipo di proroga (appena qualche mese fa era stata dichiarata illegittima la proroga delle concessioni fino alla fine del 2024, inserita dal Governo all’interno del «Milleproroghe»).
A dire il vero poi su questo aspetto esiste anche una sentenza del Tar pugliese (n.1329 del 28 luglio 2017) che specifica che «le concessioni demaniali marittime con finalità turistico ricreative hanno come oggetto un bene/servizio “limitato” nel numero e nell’estensione a causa della scarsità delle risorse naturali».
Dalla sentenza emerge quindi ancora una volta in maniera chiara come quella delle gare sia l’unica strada percorribile. In ogni caso è molto difficile continuare a far leva su una mappatura che, anche se dovesse arrivare in tempi strettissimi, difficilmente risolverebbe il problema. Meloni ne è consapevole e probabilmente è per questo motivo che gli esponenti di Governo di Fratelli d’Italia hanno mantenuto un profilo basso.
Secondo quanto riporta Reuters, si è discusso di concessioni demaniali anche durante l’ultimo incontro di un paio di settimane fa tra la Premier italiana e Thierry Breton, il Commissario europeo per il mercato interno. Bruxelles continua a spingere per la liberalizzazione di un mercato del valore stimato di quindici miliardi e che attualmente porta nelle casse dello Stato poco più di 115 milioni di euro.
Dopo essere andato sotto alla Camera sul Def, il governo si troverà a dover risolvere un’altra questione molto complessa e, anche in questo caso, i maggiori problemi potrebbero arrivare dagli alleati: Meloni sembra non voler rompere con l’Europa sulle concessioni demaniali (vista anche la procedura d’infrazione). Allo stesso tempo però Lega e Forza Italia potrebbero alzare la pressione per provare ad intercettare una fetta di elettorato che alle ultime elezioni ha virato verso il partito della premier.
In questo contesto di incertezza e di continui rinvii a farne le spese sono sempre le imprese, per la maggior parte familiari, che a otto mesi dalla scadenza delle concessioni non sanno ancora che futuro le aspetta.