Questa settimana al quartier generale Nato, a pochi chilometri dall’aeroporto di Bruxelles, è stata issata per la prima volta la bandiera finlandese. Il Paese nordico è diventato ufficialmente il trentunesimo membro dell’Alleanza atlantica. Il culmine di un rapido percorso avviato dal governo di Sanna Marin dopo l’invasione russa in Ucraina e che ha raccolto consensi trasversali sia tra i partiti politici che tra la popolazione.
La Finlandia pone fine a un’epoca di neutralità durata tutta la Guerra fredda. Dopo la caduta del muro di Berlino, nonostante l’ingresso nell’Unione europea, Finlandia e Svezia hanno sempre interpretato il non-allineamento come precondizione per mantenere rapporti normali con Mosca nonostante non vi fosse alcun vincolo nei confronti del Cremlino.
Ma l’aggressività di Putin negli ultimi anni ha portato a intensificare il rapporto di collaborazione con la Nato, oltre a cambiare radicalmente la percezione dell’opinione pubblica nei due Paesi. E la naturale conseguenza di questo scenario è stata l’ingresso di Helsinki nell’Alleanza.
A pochi giorni dalle elezioni che hanno visto prevalere, i conservatori del Partito della Coalizione Nazionale guidato da Petteri Orpo sulla premier uscente Sanna Marin (arrivata terza, si è dimessa dalla guida del Partito socialdemocratico), si concretizza una svolta storica per la repubblica nordica che avrà ripercussioni importanti su tutta l’area.
La Nato avrà ora 1340 chilometri di confine terrestre in più con la Russia, avvicinandosi in maniera sensibile alle basi militari del Cremlino. Ora si attende l’ingresso della Svezia a cui mancano però ancora le ratifiche del Parlamento ungherese e di quello turco.
Antonio Calcara, ricercatore all’università di Anversa che da anni si occupa di politiche di difesa e sicurezza internazionale, ritiene che questa svolta cambierà gli scenari non solo per la Finlandia ma anche per Mosca, che si troverà la Nato nel cortile di casa. «È una decisione storica che pone fine ad un’epoca di neutralità. La Finlandia aveva già un rapporto privilegiato con la l’Alleanza atlantica e venivano svolte operazioni ed esercitazioni congiunte. Ora il Paese nordico dovrà contribuire alla deterrenza nucleare e far parte del comando integrato civile e militare».
«Helsinki – uno dei pochi Stati in Europa dove esiste ancora la coscrizione obbligatoria – porta alla Nato un esercito e delle forze armate molto efficienti con equipaggiamenti altamente sofisticati, sia terrestri che aerei. L’Alleanza si avvicinerà molto di più al confine russo e questo potrebbe provocare dei vantaggi strategici nel Mar Artico. La penisola di Kola, dove ci sono importanti basi militari e dove ha sede il principale reparto navale della Marina russa (dotato del maggior numero di sottomarini, in buona parte armati di testate nucleari), disterà ora pochi chilometri da un Paese Nato».
Per l’Alleanza e per il Paese nordico sembra quindi una soluzione win-win. Mosca sicuramente non ha apprezzato, ma è difficile al momento prevedere come potrebbe reagire Putin. Dal ministero degli Esteri russo fanno sapere che verrà rafforzato il potenziale verso Ovest e Nord-ovest e che si prenderanno ulteriori misure se forze e mezzi di altri membri della Nato verranno dispiegati sul territorio finlandese.
«Le dichiarazioni del viceministro russo su un possibile rafforzamento militare del confine con la Finlandia sono un passaggio obbligato per lanciare un messaggio esterno verso la Nato e in generale verso gli altri Paesi dello spazio post-sovietico che potrebbero essere tentati di richiedere di adesione all’Alleanza – continua Calcara –. Ma è anche un messaggio interno per rassicurare opinione pubblica e alleati. Ci sarà un maggiore dispiegamento militare russo al confine con la Finlandia ma non credo che questo si tradurrà in un conflitto militare».
Continua il ricercatore: «Le priorità russe in questo momento sono diverse, visto come sta andando la guerra di attrito molto dispendiosa con l’Ucraina e visto che, nel calcolo russo, con Kyjiv sarà un conflitto a lungo termine. Potrebbe esserci una maggiore pressione sul fianco finlandese con qualche schermaglia dovuta alla chiusura dei canali di comunicazione, ma nulla di così eclatante da allertare l’articolo cinque».
Ora all’appello manca la Svezia che dovrà prima superare le resistenze di Ungheria e Turchia. È evidente che Recep TayyipErdogan e Viktor Orbán stiano giocando una partita più ampia con l’obiettivo di portare a casa condizioni favorevoli in cambio del via libera alla Svezia. Ankara chiede a Stoccolma una legislazione antiterrorismo più rigida contro i gruppi curdi presenti nel Paese nordico, ritenuti dal governo turco una minaccia alla sicurezza.
Una situazione che fa comodo politicamente al Presidente turco in vista delle elezioni di maggio (prima del voto difficilmente ci sarà il via libera dalla Turchia). I veti di Budapest, invece, non fanno più notizia: Orbán li utilizza spesso per spuntare condizioni più favorevoli con Bruxelles dopo il blocco dei fondi comunitari all’Ungheria. Inoltre con l’amico Putin i rapporti rimangono buoni.
In questo momento, quindi, la Svezia si trova in una zona grigia molto delicata che è destinata a rimanere tale almeno per uno o due mesi. In attesa che si completi il processo di adesione, però, Stoccolma non è rimasta a guardare: nelle scorse settimane, con la conferenza tenutasi nella base militare tedesca di Ramstein, Danimarca, Finlandia, Norvegia e Svezia hanno avviato la costituzione di una flotta aerea unificata per aumentare le proprie capacità di difesa rispetto alle minacce esterne.
Lo spiega Antonio Calcara: «Quando uno Stato fa domanda di adesione alla Nato, il periodo che intercorre tra la lettera e l’effettivo ingresso è il periodo più difficile. L’Ungheria prende tempo per non scoprirsi troppo viste relazioni con Russia e Cina e gioca una partita su più tavoli con gli altri Paesi europei. La Turchia, oltre al noto tema dei curdi, vuole andare a ridefinire le gerarchie di potere all’interno della Nato alzando la pressione per mandare un messaggio agli Stati Uniti».
«L’annuncio dell’accordo di Ramstein è molto importante. I quattro Paesi del Nord messi a sistema hanno una potenza aerea di livello, pari a quelle di Francia o Gran Bretagna. È una risposta forte per dissuadere un possibile intervento russo di rappresaglia. Se Stoccolma dovesse entrare nella Nato porterebbe una delle migliori flotte navali in circolazione, oltre ad un sistema aereo molto avanzato. La Svezia è inoltre uno dei pochi Paesi europei in grado di produrre autonomamente un caccia di quarta generazione, il Gripen. L’apporto sarebbe significativo».
Dopo le elezioni in Turchia di maggio, quindi, la Svezia potrebbe essere il trentaduesimo Paese ad aderire all’Alleanza atlantica andandone ad aumentare un potenziale già rafforzato dall’esercito di Helsinki. La Russia ha ridato un senso a un’organizzazione che sembrava dormiente o «brain dead», per dirla con le parole di Emmanuel Macron nel 2019 (che all’epoca furono accolte con favore dal Cremlino).
Qualche mese fa l’ex premier finlandese Alexander Stubb scrisse sul Financial Times che «il nono allargamento della Nato dalla sua nascita nel 1949, sarà ricordato come l’allargamento di Vladimir Putin». Non sembra un’esagerazione per quello che potrebbe essere, a tutti gli effetti, il capolavoro geopolitico dello “zar”, che è riuscito a riportare l’Alleanza atlantica al centro della scena internazionale.