Biografia geopoliticaCome i cosacchi sono diventati il simbolo dell’identità ucraina

Come spiega Yaroslav Hrytsak nel suo saggio “Storia dell’Ucraina” (Il Mulino), senza il cosaccato non è possibile scrivere la storia ucraina

LaPresse

Il cosaccato ucraino è il simbolo centrale dell’identità ucraina. Come i polacchi si ritengono gli eredi della szlachta, così molti ucraini ritengono di essere gli eredi dei cosacchi. In particolare, l’inno nazionale ucraino definisce gli ucraini appartenenti alla «progenie cosacca». Il pubblicista russo-ucraino contemporaneo Anatolij Stryljanyj ha descritto il ruolo del cosaccato come nucleo dell’identità ucraina in un altro modo. Il cosaccato come fenomeno, ha sottolineato, esisteva sia nella storia russa che in quella ucraina. Ma la storia della Russia può essere scritta anche senza i cosacchi; invece, senza il cosaccato non è possibile scrivere la storia ucraina.

Inizialmente nel cosaccato l’elemento nazionale era quasi assente. Rappresentava piuttosto un tipico fenomeno di confine: organizzazioni brigantesche che sorgevano ai confini degli ultimi insediamenti tra le terre coltivate e la steppa euroasiatica – sugli Urali, lungo il Don e il Kuban e sul basso corso del Niprò. Il cosaccato era una particolare organizzazione sociale.

Metaforicamente i cosacchi possono essere definiti «pirati della steppa» e, con riferimento alle loro continue incursioni sulle coste turche, persino pirati del Mar Nero. Gli storici opterebbero per un termine più preciso e universale: «banditi sociali». In questo termine non c’è nulla di offensivo. «Banditi sociali» furono Robin Hood, lo slovacco e polacco Janosyk, l’americano Billy the Kid e l’ucraino Oleksa Dovbuš. Loro, così come i cosacchi della Sič, li conosciamo per i soprannomi (appellativi). Dal momento che rapinavano prevalentemente gli aristocratici, che nella società contadina spesso erano anche «stranieri» (Robin Hood era anglosassone, l’aristocrazia normanna), nell’immaginazione della gente semplice erano assurti al ruolo di eroi della lotta contro l’oppressione sociale e nazionale. Le storie sui «banditi sociali» venivano celebrate nei canti popolari e diventavano il soggetto dei romanzi d’avventura.

(…)

I cosacchi vissero una vita libera ma piena di pericoli. Il pericolo era il prezzo da pagare per la libertà. Il loro principale insediamento era la Zaporiz’ka Sič, un accampamento-fortezza di legno nascosto in luoghi che già conosciamo dai manoscritti bizantini: oltre le rapide del Niprò, lungo quello che una volta era il cammino «dai variaghi ai greci». Si ritiene che la prima Sič fosse stata costruita intorno al 1550. Da allora e fino al 1775, quando la distrussero gli eserciti russi, il luogo in cui si trovava la Sič cambiò almeno otto volte. Ma ogni volta veniva ricostruita secondo uno schema che veniva replicato in luoghi dotati di difese naturali – nelle isole dei fiumi, nascoste tra le sponde paludose. Lì vivevano i cosacchi.

La maggioranza dei cosacchi non viveva nella Sič, ma nelle terre circostanti. Essi si riunivano nella Sič durante le azioni militari. Gli stessi cosacchi non trascorrevano tutto il tempo impegnati esclusivamente nelle campagne militari. Essi si occupavano, così come il resto della popolazione non cosacca, dei lavori della terra, dell’artigianato, della pesca e del commercio. Tuttavia, la vita in una condizione di costante pericolo dettava le sue regole. Alle donne era severamente vietato l’ingresso nella Sič.

I cosacchi erano noti per la severa disciplina durante le operazioni militari. Durante le spedizioni per mare l’acquavite era severamente proibita, i trasgressori erano puniti con la morte. I cosacchi erano noti anche per il forte senso di solidarietà (fratellanza) e l’ethos egualitario: quando nella Sič eleggevano il košovyj (leader militare), lo ricoprivano di spazzatura affinché non si insuperbisse.

Un altro requisito per la sopravvivenza era l’apprendimento dell’arte della guerra, e la tecnica degli uomini della steppa rimase la migliore fino alla fine del XVI secolo. Di conseguenza l’arma dei cosacchi (la sciabola curva), l’abbigliamento (i larghi pantaloni rimboccati negli stivali) e la pettinatura (il ciuffo sulla testa rasata) seguivano i modelli delle popolazioni nomadi. E lo stesso nome kozak, «uomo libero», era di origine turca. Gli ambasciatori occidentali che giunsero alla Zaporiz’ka Sič, quando videro le armi e l’abbigliamento dei cosacchi, non riuscirono subito a capire quale fosse la loro religione, se musulmana o cristiana.

L’arte militare dei cosacchi venne affinata nel corso delle spedizioni contro il khan di Crimea, la Moldavia e l’impero ottomano. Il re polacco Stefan Batory (1576-86) decise di farne un esercito mercenario permanente, il cosiddetto rejestrowane kozactwo. L’ironia consisteva nel fatto che i «cosacchi regolari» non dovevano solo difendere i confini della Rzeczpospolita, ma anche trattenere i cosacchi zaporoghi dall’assalire gli ottomani e i tatari di Crimea. Perché le spedizioni dei cosacchi zaporoghi provocavano conflitti con l’impero ottomano e provocavano continui fastidi a Varsavia. Di conseguenza tra i regolari e i cosacchi zaporoghi c’era una frizione.

(…)

Il cosaccato ucraino esistette per trecento anni, e solo negli ultimi cento fece parte dello stato cosacco. La storia dei cosac- chi, sebbene non del tutto scontata, era legata alle prime fasi della globalizzazione I cosacchi cavalcarono la prima ondata, ma scomparvero quando non furono in grado di affrontare le sfide di quella successiva. Ciò che è rimasto di loro è l’idea dell’Ucraina come una terra riottosa, libera e ricca.

storia dell’Ucraina

Da “Storia dell’Ucraina”, di Yaroslav Hrytsak, Il Mulino, p.424, 30.00 euro

Le newsletter de Linkiesta

X

Un altro formidabile modo di approfondire l’attualità politica, economica, culturale italiana e internazionale.

Iscriviti alle newsletter