Yoshitoshi KanemakiLe sculture in legno più famose del Giappone tra buddismo, manga e futurismo

L’artista classe 1972 si ispira agli alberi, creature ambivalenti che trasforma in personaggi in movimento. Li maneggia e li tratta secondo un lungo lavoro di cura solitario. Dopo cinquanta mostre, oggi sta lavorando al suo primo catalogo

YUFURE•Caprice 2019, Hinoki on paint

Yoshitoshi Kanemaki è una celebrità in Giappone e in tutta l’Asia. L’artista, nato nella Prefettura di Chiba nel 1972, realizza principalmente sculture in legno coloratissime che rappresentano personaggi in movimento, che richiamano i cartoni animati o i manga. Si tratta di sculture a grandezza naturale perché come dice l’artista «Il mio scopo è mostrare gli esseri umani per quello che sono. Un ritratto a grandezza naturale di una persona è ideale e permette allo spettatore di immedesimarsi più facilmente in esso».

Dal concepimento al completamento dell’opera lavora in modo manuale e solitario. Al massimo, dato il successo degli ultimi anni, si fa aiutare da artigiani nelle prime fasi di “sgrossamento” della materia. Dopo cinquanta mostre, di cui tredici personali, l’artista è ora impegnato nella stesura del suo primo catalogo ragionato. Da sempre appassionato di legno e artisti famosi all’estero ma non in Italia, abbiamo voluto intervistarlo e capire meglio il suo lavoro.

Brief Caprice 2021, Paint on Torreya

Il legno è un materiale spesso snobbato nell’arte contemporanea. Perché ti sei avvicinato al legno?
Ho iniziato a scolpire il legno quando ero studente in una scuola d’arte in Giappone. Da quando sono cresciuto circondato da alberi, il legno è stato un materiale molto familiare per me. Mi affascina il suo riuscire ad essere al contempo robusto e delicato, adattandosi all’ambiente circostante, quasi fosse acqua o un liquido. Credo che tali caratteristiche lo rendano il materiale più compatibile per esprimere gli esseri umani, che non sono né fissi né rigidi, ma mutano sempre e comunque.

Il movimento sembra essere la tua cifra stilistica, eppure i piedi dei tuoi personaggi sono sempre saldi, quasi bloccati nei piedistalli. Ci aiuti ad interpretare e comprendere meglio questa ambivalenza?
In questo movimento bloccato alla base c’è tutto l’essere umano con le sue emozioni contrastanti e la spiritualità a tratti contraddittoria. In fondo, io ricerco con la mia arte di raccontare cosa siano gli esseri umani. Alla base delle mie sculture in legno c’è perciò il concetto di “ambivalenza”, quel particolare sentimento di dubbio ed esitazione costante che ogni persona moderna non può che provare. In questa epoca di diversità, profonde e quasi lancinanti, nessuno riesce ad avere una risposta chiara e univoca. Nessuno sa più cosa sia giusto. Dal momento che ritengo che l’arte debba sempre riuscire a essere l’espressione del proprio tempo, il risultato delle mie opere è l’assenza di un contorno definito, che rispecchia l’animo più vero di un’epoca che oserei definire quasi “perduta”.

REPEAT, Geometry 2020, Ginkgo on paint

Ambivalenza o ambiguità del vivere contemporaneo?
L’ambiguità è sinonimo di confusione, mentre io credo che il nostro tempo sia imperniato sul concetto di ambivalenza: in ogni cosa possono coesistere due elementi opposti, senza per forza negarsi tra di loro. Per questo dico che l’ambivalenza raggiunge la spiritualità: le fluttuazioni, le emozioni contraddittorie sono parte della nostra vita, dal momento che sappiamo che moriremo. Il nostro stesso vivere quotidiano è un imprescindibile e continuo “Memento Mori”.

Il movimento ha una funzione centrale nel tuo lavoro. Perché? Da dove viene questa ispirazione? C’è un punto di contatto con il Futurismo o il Cubismo?
Il mio lavoro si basa sull’antica cultura giapponese dell’intaglio del legno e si ispira alla scultura buddista, e usa l’espressione “molti volti e molte braccia” (una statua con molti volti e braccia) per esplorare la domanda, «Che cosa è un essere umano?». Le sculture “multi-armate” di Ashura del Tempio Kofuku-ji (in Giappone, ndr) sono un perfetto esempio di questo tipo di scultura. Mi riferisco anche alle sculture buddiste come la statua di Ashura al Tempio Kofukuji e la statua di Nyorin Kannon al Tempio Kangshinji. Poi è vero che uso anche esposizioni multiple, sfocatura e distorsione nella fotografia. E in questo approccio contemporaneo hai ragione nell’individuare soprattutto nel “Futurismo” di Umberto Boccioni e Giacomo Balla un punto di riferimento: mi trovo molto vicino alla loro espressione artistica della commistione spazio-temporale. Allo stesso modo forse più circoscriverei il mio interesse al “Cubismo analitico” di Pablo Picasso e Georges Braque. Questi due maestri hanno tentato di decostruire la ripresa della forma nell’arte in un modo unico e geniale.

Spring in the Air Vanitas 2016, Paint on Camphor

Il tuo lavoro sembra però citare anche la cultura nipponica contemporanea dei manga o sbaglio?
Ho familiarità con manga e anime sin da quando ero un bambino. Questa forma di cultura ha notevolmente influenzato il mio stile di scultura, ma anche le tematiche trattate. I manga mi hanno insegnato molte cose, tra cui l’assurdità del mondo e mi hanno offerto punti di vista diversi sulla vita, sulla morte, ma anche sull’amore e sulle relazioni umane. In particolare sono stato particolarmente influenzato da “Firebird” e “Buddha” di Osamu Tezuka, da “Mobile Suit Gundam” di Yoshiyuki Tomino e da altre serie di robot, “Nausicaa of the Valley of the Wind” di Hayao Miyazaki.

Sei famoso per le sculture in legno colorato: qual è il tuo umore per i colori? Legno naturale o legni colorati?
Le sculture di statue buddiste erano originariamente dipinte con colori vivaci, ma nel corso dei secoli sono cambiate in una tonalità più austera. Pertanto, c’è stato un falso senso di valore nel non dover usare colori vivaci nella cultura dell’intaglio del legno giapponese. Ma è un falso storico. Le sculture in legno nel loro stato originale incarnano la bellezza naturale, ma sono anche “colorate” per proteggerli dallo scolorimento e dall’essiccazione del tempo. Credo che i colori proiettino l’emozione nello sfondo storico, di tutta la vastità dell’arte che c’è dietro di noi e a cui mi riferisco con il mio lavoro. Ritengo perciò che l’imponenza culturale di un’opera aumenti drammaticamente con l’aumentare della quantità di informazioni che essa porta con sé e così le mie opere citano e sono sintesi di tutto ciò che è venuto prima.

Wheel of Thoughts Calmato 2016, Paint on Camphor