Vittoria col truccoL’elezione farsa che porterà Erdoğan alla riconferma

Il Sultano non ha superato il cinquanta per cento al primo turno, ma al ballottaggio la spunterà inevitabilmente l’apparato elettorale controllato dal regime

AP/Lapresse

Una farsa, il conteggio delle elezioni presidenziali in Turchia è stato una farsa come ha giustamente denunciato il leader dell’opposizione Kemal Kilicdaroğlu. Ciononostante Recep Tayyip Erdoğan ha dovuto incassare il colpo: non ha superato il cinquanta per cento e deve affrontare il ballottaggio. Che vincerà con ogni probabilità per una ragione molto semplice: controlla pienamente il meccanismo elettorale con uomini di fiducia, dalla Commissione elettorale centrale, giù giù sino alle prefetture, ai presidenti di seggio e anche tutti i giudici dei tribunali che devono vidimare i conteggi.

Ciononostante la massa dei voti per l’opposizione è stata tale da impedire la manovra che pure è stata tentata dal regime nelle prime ore: dichiarare, come ha fatto l’agenzia Anadolou, una vittoria secca per Erdoğan al primo turno. Certo, l’opposizione delle sei liste di Kemal Kilicdaroğlu si è dotata di un forte apparato autonomo di controllo dei seggi di più di centomila, forse duecentomila rappresentanti di lista, ma quando la massa dei voti da controllare con quasi il novanta per cento di partecipazione al voto è di cinquantotto milioni di schede c’è poco da fare: vince l’apparato elettorale controllato dal regime.

Detto questo – che è fondamentale e che fa purtroppo presagire una vittoria col trucco di Tayyp Erdoğan al ballottaggio tra due settimane – è indispensabile riflettere su un dato di fatto stranamente poco valutato sui media italiani e internazionali nelle ultime settimane: il largo consenso popolare turco per l’islamismo autoritario di Erdoğan. Consenso evidente nei risultati del voto contemporaneo per le legislative che si chiude con una maggioranza parlamentare netta e larga per il partito di Erdoğan, il Akp, e per il suo alleato di ultra destra Mhp.

Voto che ha visto un’affermazione forte e maggioritaria delle liste dell’opposizione nelle grandi città – Istanbul, Ankara e Smirne e sud est curdo – ma un consenso a valanga per i partiti di regime nell’immensa Anatolia, nel voto dei milioni di turchi emigrati in Europa e nelle immense periferie popolari.

È questo un voto popolare a favore della piattaforma islamo-conservatrice di Erdoğan, che ha molte radici, a partire da un diffuso e capillare clientelismo influenzato dalla sciagurata guerra civile e dall’irresponsabile terrorismo sviluppati dal Pkk curdo – quattromila vittime dal 2015 a oggi, decine di migliaia negli ultimi trenta anni – ma che evidenzia anche una adesione di massa, incompresa in Europa dai media, all’appello identitario islamista e anti occidentale del Akp.

Erdoğan e il suo regime da vent’anni dicono con successo e con maggioritario consenso popolare all’Occidente che in un grande Paese islamico la democrazia deve essere vincolata e compressa dalle rigide leggi della sharia, intrinsecamente autoritarie e illiberali. Rappresentano il fallimento dell’esperimento ormai secolare avviato da Kemal Atatürk di impiantare una visione laica dello Stato in un grande paese islamico.

Risolvono al ribasso e nell’autoritarismo ipernazionalista il dilemma del rapporto tra Islam e democrazia. Emarginano con massiccio consenso popolare le forze laiche e liberali, pur forti nella società turca, riducendole di fatto all’impotenza. Questa è la triste lezione che ci viene dalla Turchia.

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