Tutto il voto è PaeseLe amministrative e le regionali in Spagna sono la prova generale delle elezioni in autunno

Domenica vanno alle urne dodici comunità autonome (su diciassette) e più di ottomila comuni, tra cui Madrid e Siviglia. Strappare Barcellona agli indipendentisti sarebbe un successo per il premier Sánchez. Il Psoe gioca in difesa, il Pp in attacco e nella capitale spera di governare senza l’ultradestra di Vox

Il primo ministro spagnolo Pedro Sanchez dopo un comizio
Twitter/Psoe

In Spagna, domenica si vota in dodici regioni e in più di ottomila comuni. L’esito di queste elezioni comunali e regionali influenzerà fortemente quello delle prossime elezioni politiche, previste tra l’autunno e l’inverno. Il Partito socialista (Psoe) del premier Pedro Sánchez gioca in difesa, tentando di conservare le nove regioni e i numerosi comuni governati dai suoi esponenti e di sopravvivere agli attacchi del suo principale avversario politico, il Partido Popular (Pp, di centrodestra).

Lo scontro è tra Psoe e Pp
Di fronte al valzer di riforme sociali proposte dal governo in vista delle elezioni – tra cui un piano per affrontare la siccità da circa due milioni di euro –, nelle scorse settimane il Partido Popular e il partito di estrema destra Vox hanno deciso di farsi spazio nel dibattito pre-elettorale risollevando una vecchia questione: la legittimità dei candidati di Bildu, una coalizione della sinistra basca che ha spesso appoggiato il Psoe.

Quarantaquattro di questi sono infatti ex membri dell’Eta, l’organizzazione terroristica basca che tra gli anni Sessanta e il 2011 ha ucciso più di seicento persone. Dopo giorni di intenso scontro tra il premier Sánchez e il leader del Pp Alberto Núñez Feijóo, i sette candidati di Bildu condannati per omicidi o ferimenti si sono ritirati dalle liste.

Al di là delle polemiche pre-elettorali, alle urne la vera sfida rimane quella tra il Psoe e il Pp. Podemos (estrema sinistra) ha perso forza dopo la complicata approvazione della Legge per la Garanzia Integrale della Libertà Sessuale e la discesa in campo della ministra del Lavoro Yolanda Díaz e del suo nuovo progetto Sumar.

Dopo aver perso numerosi seggi in Catalogna e Castiglia e León ed essere sparito dalle amministrazioni della regione di Madrid e in Andalusia, Ciudadanos (centrodestra) è in un profondo momento di crisi dal quale neanche il processo di rifondazione annunciato a inizio anno sembra poter mettere fine. Anche Vox sta ancora cercando di riprendersi dalla fallimentare mozione di censura al governo dello scorso marzo.

Il presidente del Pp alla chiusura della campagna elettorale
Il presidente del Pp alla chiusura della campagna elettorale (foto Twitter/@NunezFeijoo)

La mappa del voto
Le regioni più contese sono quella di Valencia, dove si vota sia a livello regionale che comunale, le isole Baleari e Aragona. Sia il socialista Ximo Puig che il sindaco Joan Ribó della lista Compromís (sostenuta dal Partito socialista) sono alla ricerca di un terzo mandato al governo della quarta regione più popolosa del Paese. Anche nelle Baleari si profila uno scenario simile, con la sinistra che tenta la terza rielezione alle regionali, mentre in Aragona, soprannominata dal 1977 l’Ohio della Spagna, il candidato socialista Javier Lambán corre per un secondo mandato.

Nella regione di Madrid, invece, per il Partido Popular la questione non è se vincere o no, ma di quanto. Dopo aver conquistato più seggi di tutta la sinistra messa insieme nel 2019, alle elezioni di maggio la candidata Isabel Díaz Ayuso vuole raggiungere la maggioranza assoluta in modo da poter governare senza il sostegno del partito di estrema destra Vox. Per farlo, Ayuso sta provando a utilizzare la stessa strategia che l’aveva portata alla vittoria nel 2021, ovvero il confronto diretto con Pedro Sánchez e il Partito socialista. Questa volta, però, anche altre undici regioni vanno a elezioni e l’attenzione di Sánchez è decisamente altrove.

Domenica si vota infatti anche in quattro grandi città spagnole: Madrid, Barcellona, Siviglia e la già citata Valencia. A Madrid, il sindaco di centrodestra José Luis Martínez-Almeida potrebbe vedere sfumare la speranza di un secondo mandato a causa della coalizione tra Podemos, Izquierda Unida e Alianza Verde. La situazione è molto meno incerta per l’attuale sindaco di Siviglia Antonio Muñoz, che potrebbe addirittura far sfiorare al Psoe la maggioranza assoluta in Consiglio.

Anche Ada Colau è alla ricerca del terzo mandato come sindaca di Barcellona, ma l’esito in questo caso non è così scontato. In carica dal 2015, Colau ha sempre fatto parte di Barcelona en Comú, una lista civica di sinistra non indipendentista. Nelle ultime settimane, sia Ernest Maragall di Erc (sinistra indipendentista) che Xavier Trias di Junts per Catalunya (centrodestra indipendentista) hanno affermato che in nessun caso andranno al governo con lei: l’unica strada aperta rimarrebbe quindi un’eventuale coalizione con Jaume Collboni, il candidato del Partito socialista.

Per Sánchez, eleggere un sindaco socialista e strappare Barcellona agli indipendentisti (e a Colau) sarebbe il finale perfetto per il percorso di riavvicinamento tra la Catalogna e il governo centrale iniziato nel 2019, ma niente è ancora deciso in quella che El País ha già battezzato come «la campagna elettorale dell’incertezza».

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