Strasburgo. Dal 2023, da questa giornata dell’Europa condivisa con Kyjiv, l’Ucraina appartiene all’Unione, che finalmente si è identificata con la sua causa. Il 9 maggio, mentre sulla piazza Rossa di Mosca sfila la parata militare monca di Vladimir Putin, l’Ue celebra la democrazia, ricordando la «dichiarazione Schuman», cioè il discorso del ministro degli Esteri francese, pronunciato nello stesso giorno di settantré anni fa, che ha reso la guerra «non solo impensabile, ma materialmente impossibile» nel nostro continente finché non ce l’ha riportata la Russia. Fuori dai palazzi delle istituzioni, a fianco delle bandiere blu, sventola quella ucraina.
Il dato, politico e simbolico, della giornata è forse questo. Una comunanza di destino, senz’altro nella retorica. Dà un segnale che la presidente della Commissione sia lì, per la quinta volta, sotto il tiro dei droni kamikaze russi, nell’equivalente comunitario di un 4 luglio americano, qual è questo 9 maggio. «Kyjiv come capitale dell’Ucraina è il cuore pulsante dei valori europei», dice Ursula von der Leyen, con a fianco il presidente Volodymyr Zelensky. Stride, forse, la parte sull’ingresso effettivo del Paese nell’Ue. Queste le tempistiche: l’esecutivo darà un parere al Consiglio «prima oralmente, a giugno, ma soprattutto per iscritto a ottobre».
È tutto vero ciò che viene prima: è in Ucraina la linea del fronte della nostra democrazia. «L’Ucraina combatte coraggiosamente per gli ideali d’Europa che celebriamo oggi. In Russia, Putin e il suo regime li hanno cancellati e ora provano a distruggerli qui perché temono il successo e l’esempio che rappresentate, hanno paura del vostro percorso verso l’Unione europea». Di fronte a queste premesse, non dev’essere semplicissimo comprendere, per lo stesso popolo che viene lodato, l’incedere burocratico di Bruxelles. Sta pagando con la vita le aspirazioni: la vera Festa dell’Europa sarà quando Kyjiv vincerà la guerra, se non altro i virgolettati di ieri vanno in questa direzione.
Alla plenaria del Parlamento europeo, l’aula riconosce (con il voto contro dei Cinquestelle) un iter velocizzato per l’approvazione di Asap, il piano europeo per produrre le munizioni di cui Kyjiv ha bisogno. In virtù della procedura d’urgenza, la prossima plenaria, a fine mese, dovrebbe assegnare il mandato negoziale per trattare con il Consiglio, con l’obiettivo di una ratifica a Strasburgo a luglio. La ricorrenza del 9 maggio coincide con la visita del cancelliere tedesco Olaf Scholz. Aprendo il suo intervento, la omaggia: con il carbone e l’acciaio, cui deve il nome la Ceca, erano state fabbricate «le armi con cui i nostri padri si spararono addosso». Ma il loro sogno si è avverato: «la fine della carneficina».
Dove non si è concretizzato, invece, è l’Ucraina vittima della «brutale aggressione russa». Scholz la mette già nella lista in cui dovrebbe stare, quella dei «Paesi dell’Europa», come se volesse chiamarla «Stato membro». Dal podio dice che all’Ue manca una dimensione geopolitica, poi declina la sua visione. Va abbandonata «la prospettiva eurocentrica del passato», dell’alto e del basso, per relazionarsi sulla base della parità alle altre nazioni. «L’ordinamento del ventunesimo secolo potrà essere solo multipolare», perché uno bipolare o tripolare ci penalizzerebbe. Sull’allargamento vanno mantenute, dice il cancelliere, le promesse fatte ai Balcani occidentali.
Sul trittico di candidate – Ucraina, Moldavia e Georgia – «ne va della nostra credibilità, si tratta di garantire la pace». Ma «un’Europa allargata dovrà essere per forza un’Europa riformata», qui ottiene il secondo applauso da un’aula con vistose assenze (il primo sulla necessità di stringere nuovi accordi commerciali, a partire da quello con il Mercosur). In particolare, Scholz difende l’idea, su cui Berlino ha incassato il sostegno dell’Italia e di altre sette Paesi, di adottare la maggioranza qualificata per le decisioni di politica estera e fiscale. «Non è l’unanimità che crea la massima legittimità democratica, tutt’altro».
Conclude rispondendo a distanza a Putin. «Il popolo ucraino paga quotidianamente con la vita dei cittadini la follia dei Putin, che a duemila kilometri da qui schiera carri armati e missili. Non lasciamoci intimidire da queste smanie di potere, restiamo saldi nel nostro sostegno all’Ucraina». Poco prima chiarisce che «un’Ucraina europea e prospera è davvero la cosa migliore che possiamo opporre alle politiche antistoriche, revisioniste e contro il diritto internazionale» del dittatore russo. Kyjiv può contare sull’Europa «finché sarà necessario».
Le repliche risentono di dinamiche politiche nazionali, specialmente tedesche, o in vista delle elezioni europee. Manfred Weber del Ppe tira la solita frecciatina al presidente francese Emmanuel Macron e mette le mani avanti sugli Spitzenkandidaten, Iratxe García Pérez (S&D) gli rinfaccia di stare ormai «dalla parte di Meloni». Stéphane Séjourné (Renew) ricorda che «la gestione delle crisi non è più sufficiente, bisogna evitarle». Uno degli attacchi più duri al cancelliere, infatti viene applaudito dai banchi del centrodestra, è di Terry Reintke. Appartiene ai Verdi, alleati della Spd di Scholz nella «coalizione semaforo» con i liberali della Fdp.
«Lei ha parlato di svolta epocale, ma in molte capitali dell’Ue sembra che ogni provvedimento le debba essere strappato con enorme fatica – dice l’eurodeputata dei Grünen –. Voglio farle un appello: voglio vederla lottare per l’Europa, che impari dagli errori del suo partito nei confronti della Russia e non usi gli stessi toni verso la Cina». Nella fattispecie, Scholz si è detto a favore della linea di von der Leyen: «Non decoupling, ma derisking». Proprio Pechino ha cancellato, senza fornire vere spiegazioni e all’ultimo momento, la visita del ministro tedesco delle Finanze, Christian Lindner, prevista oggi.
Almeno dal punto di vista economico, il «disaccoppiamento» sembra già iniziato. In base ad alcune delle stime più aggiornate, diffuse dal Financial Times, gli investimenti cinesi in Europa si sono contratti del ventidue per cento nel 2022. In totale, poco meno di otto miliardi, il livello più basso dal 2013 e una frazione dei quarantasette registrati nel 2016. Sembra diretto soprattutto all’Asia centrale, invece, l’undicesimo pacchetto di sanzioni, annunciato ieri da von der Leyen. L’obiettivo è stoppare il “riciclaggio” operato da Paesi terzi, per esempio sulla componentistica. Secondo Politico, le misure colpiranno Stati come Uzbekistan e Kazakistan, mentre Cina e Turchia avrebbero ricevuto rassicurazioni diplomatiche.
In caso di sospetti di elusione, l’Unione europea potrà bloccare le esportazioni di prodotti specifici verso nazioni confinanti con la Federazione russa. Da quanto si apprende, però, ogni aggiunta all’elenco delle merci, o dei Paesi, dovrà essere approvata dai Ventisette. Introducendo Scholz, la presidente dell’Europarlamento ha ricordato un passaggio della dichiarazione Schuman, perché «ancora vero». È l’inizio, recita così: «La pace mondiale non potrà essere salvaguardata se non con sforzi creativi, proporzionali ai pericoli che la minacciano». Ecco, forse anche per ristabilirla, la pace mondiale, sarebbe prezioso quello spirito.