Ma che cazzo stai facendo?Lo spettacolo di Luca Bizzarri e la frase che ti fa entrare nell’età adulta

In “Non hanno un amico”, il comico gioca in modo divertente e intelligente con la cronaca, ma la Soncini, che gli è amica, gli spiega che la conversazione collettiva di questa settimana è già archeologia il mese prossimo, sostituita da nuovi meme, gif e scemenze assortite

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J.R. Moehringer, il più stimato autore d’autobiografie altrui di questo secolo, ha scritto un lungo articolo per il New Yorker. Dentro c’è un sacco di roba interessante: quella volta che si mise a urlare contro un televisore perché stavano complimentando Agassi per “Open” e quello non faceva il suo nome, quella volta che ha iniziato a leggere falsità sul suo conto perché ormai più che un ghost era una celebrità, quelle volte che gli altri ghost lo chiamano per lamentarsi di quelli di cui stanno scrivendo le autobiografie.

Soprattutto, c’è quella volta che litigò per mesi con Harry su un dettaglio. Quella volta che lo torturarono per prepararlo alla guerra, e uno dei torturatori disse una cattiveria su Diana, e alla fine Harry gli rispose come meritava (possiamo divertirci a immaginare quale fosse la risposta: Moehringer non ce la dice). Harry voleva includere la risposta nel racconto della scena, Moehringer lo trovava narrativamente sbagliato.

Era un equilibrio scivoloso: quello era la celebrità col contratto multimilionario, lui era il ghost di lusso ma pur sempre col contratto a progetto; doveva contraddirlo ma senza innervosirlo. Tuttavia, spiega, contraddirlo era la parte principale del suo compito.

Perché l’arte del memoir, dice, è capire cosa escludere. E perché, aggiunge citando William Blake, l’unica vera forma d’amicizia è l’opposizione. Ma è vero?

Quando Francesco Piccolo dice che negli anni Sessanta «Moravia poteva stroncare un film di Pasolini sull’Espresso scrivendo: come ho detto ieri sera all’autore in trattoria. Un mondo di totale sincerità, anche brutale, che oggi si fa fatica a vedere. […] A quel tempo finiva che non si parlassero per una settimana, ma dopo riprendevano, e intanto avevi capito se un film era più o meno riuscito», sta dicendo a fare la differenza tra allora e oggi non è la qualità delle opere ma quella delle relazioni? O che vuole poter dire che il libro di Famoso Scrittore X non gli è piaciuto restandogli amico?

Quando diciamo che Tizio evidentemente non ha amici, perché sta facendo una cazzata macroscopica, e lo diciamo implicando che a noi gli amici lo farebbero notare, se ci coprissimo di ridicolo, e lo diciamo con convinzione, sebbene nessun nostro amico abbia mai fatto altro che dirci che abbiamo ragione e siamo bellissime e se non abbiamo più successo di Camilleri è perché non c’è meritocrazia e quella tenda da circo che ci siamo messe ci sta benissimo e chi dice di no è invidioso, quando diamo questa definizione astratta e inverosimile dell’amicizia, ci crediamo davvero?

Ci pensavo guardando “Non hanno un amico”, che è la frase che appunto tutti diciamo sempre di Tizio (illudendoci di non essere mai noi, Tizio), ma è anche il titolo del podcast di Luca Bizzarri, e dello spettacolo che sta portando in giro per teatri. Quando fai una cosa furba come prendere una frase che usano tutti e farne il tuo titolo in modo da essere poi sempre citato e pubblicizzato (e in casi di conclamata mitomania poterti anche dire plagiato), nessuno pensa che te l’abbia suggerito un amico: pensiamo che quello sveglio sia tu. Se invece sbagli titolo, scuotiamo la testa: poverino, neanche un amico che gli abbia suggerito di cambiarlo.

La frase che ti fa entrare nell’età adulta, dice Bizzarri, è «ma che cazzo sto facendo?» (io divento adulta ogni volta che apro un social invece di aprire un romanzo, più volte al giorno tutti i giorni). Ma la frase più importante, spiega didascalizzando il tic lessicale di tutti e il titolo suo, è: ma che cazzo stai facendo? Quella che, appunto, dovrebbe dirci l’amico che non c’è (quello, immagino, che se lo svegli di notte esce in pigiama e prende anche le botte, e poi te le ridà).

Non c’è stato un amico che abbia detto «ma che cazzo stai facendo» a quello che ha pensato facciamo una campagna modernizzando la Venere del Botticelli, con lo slogan «open to meraviglia». Non c’è stato un amico che abbia detto «ma che cazzo stai facendo» a quella che ha pensato do un’intervista in cui dico anche che ho una consulente per l’armocromia. Non c’è stato un amico che abbia detto «ma che cazzo stai facendo» a quello che ha pensato di fare un partito con Renzi.

Ogni volta che Bizzarri sul palco faceva uno di questi esempi, mi chiedevo quanto potessero durare, se dopo la prevista fine tra due settimane la tournée si dovesse allungare. Checco Zalone ha smesso abbastanza presto di uscire sul palco con una stola con la scritta, perché il presentismo funziona così: il riferimento che per una settimana è impossibile non capire, perché la conversazione collettiva è concentrata a irridere la stola con la scritta indossata da Chiara Ferragni a Sanremo, il mese dopo diventa archeologia; nel frattempo sono arrivate a contendersi l’economia della nostra attenzione altre mille scemenze, gif, spiritosaggini assortite. In estate ci ricorderemo ancora l’armocromia? In autunno saremo tornati a confondere Botticelli e Pollock?

Qualcuno di questi riferimenti ha la forza di diventare classico?, mi chiedevo, mentre Luca sul palco spiegava la fatica di non dire mai «ai miei tempi», in uno spettacolo in cui «ai miei tempi» è sottotesto costante. Forse no, forse è impossibile produrre classici nel tempo che a un certo punto Bizzarri ha l’intuizione di definire delle «canzoni dritte».

Quello dei rapper (o trapper: io sono dei miei tempi, non sono in grado di capire la differenza) coi tatuaggi in faccia che, là dove Lucio Dalla limava quel verso perfettissimo e feroce e letterario che era «Ti hanno visto bere a una fontana che non ero io», non ritiene necessario l’uso di metafore e altre figure retoriche d’impiccio, e va dritto: «Sayonara, brutta pompinara» (ho cercato su Google: pensavo fosse un verso vero).

Forse Dalla aveva degli amici, gente che gli voleva bene e gli diceva no, dai, Lucio, non farla così facile, lavoraci un altro po’, sono così tuo amico che obietto per mesi finché ti convinco, ma che cazzo fai. O forse, ma è solo un’ipotesi, non c’era bisogno di chiedergli che cazzo stesse facendo; forse gli amici sono una bella cosa, ma a fare la vera differenza è il talento.

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