Suona la sveglia e Rascia è pronta a una nuova giornata di lavoro. Si sciacqua la faccia con acqua fredda, mangia un boccone, si mette la giacca ed esce di casa. Fuori è buio: sono le dieci di sera. Ha un’ora per arrivare al McDonald’s di Assago per fare il turno che molti suoi colleghi non vorrebbero mai fare.
Di notte il rumore del traffico si fa più sopportabile, le distanze si accorciano, le ore sembrano scorrere più lente e i locali diventano rifugi notturni per chi vuole alleggerirsi con qualche drink. Un tempo rilassato, fatto di divertimento e disinibizione, lo spazio in cui tutto è concesso e «che fa sembrare tutto un po’ più bello», come cantava Jovanotti in “Gente della notte” all’inizio degli anni Novanta. Il fascino della notte ammalia da sempre artisti, scrittori e poeti e tutti coloro che abbracciano uno stile di vita mondano.
C’è però anche un’altra parte della storia che non viene raccontata quasi mai. Una realtà molto meno fancy, meno edulcorata e più difficile da romanticizzare: quella del lavoro notturno. Di questa industria, che silenziosamente permette alle città di funzionare h24, sette-su-sette, abbiamo a disposizione dei dati così incompleti da costringerci a parlare di “lavori invisibili”. Invisibili perché non rientrano in nessuna statistica e in nessun sondaggio e anche per questo è complicato raccontarli. Lontani dalle luci al neon dei locali più in della città, lavoratrici e lavoratori rimangono nell’ombra, sgobbando nelle retrovie della movida milanese.
Un lavoro si definisce notturno quando delle sette ore lavorative, una parte di queste copre l’intervallo di tempo compreso tra la mezzanotte e le cinque del mattino, in via non eccezionale, per almeno ottanta giorni l’anno. Nel 2019 un report della Camera di Commercio ha registrato un aumento nel numero di addetti operanti nella night-life meneghina: dal 2014 la cifra sale da ventitremila a ventiseimila. Trecentotrentuno mila lavoratori e lavoratrici per un totale di sedici miliardi di fatturato.
In questi numeri, però, non rientrano quelli dei lavoratori invisibili, persone che svolgono mansioni sconosciute, spesso precarie e quasi mai tutelate. Un report di Inail riguardante gli infortuni legati al lavoro mostra che il numero reale del personale notturno è sicuramente superiore a quello stimato, ma difficile da quantificare perché «spesso è sommerso, poco controllabile e quindi di difficile valutazione».
«C’è un nesso, una sorta di collegamento tra il lavorare di notte e il peggioramento delle condizioni lavorative – racconta a Linkiesta Alessio Kolioulis, docente di sviluppo dell’economia urbana presso la University College London -. Molte di queste mansioni sono considerate occupazioni invisibili perché i turni iniziano quando non c’è più luce. Nessuno li vede e forse anche per questo è più difficile garantire delle tutele». Lavorare di notte, quindi, comporta generalmente un deterioramento delle condizioni di lavoro, sia contrattuali sia fisiche.
Negli anni si è provato a regolamentare il lavoro notturno. Il primo tentativo risale al 1902, quando il Partito Socialista Italiano ottenne dal governo regio italiano la legge 242 (conosciuta anche come legge Carcano), che vietava alle donne i lavori sotterranei, fissava a dodici anni l’età minima per iniziare a lavorare e regolamentava il lavoro femminile nelle fabbriche. Oltre a prevedere un massimo di dodici ore lavorative per le donne e a vietare alle minorenni il lavoro notturno e quello poco salubre, introdusse anche i primi congedi.
Più recentemente, con l’attuazione della Direttiva Ue 93/104, il decreto legislativo 66/2003 inserisce il lavoro dipendente notturno nella categoria dei lavori usuranti. La direttiva impone dei controlli periodici principalmente legati ai potenziali rischi, volti anche ad accertare l’idoneità alla prestazione di lavoro notturno tramite l’accertamento da parte di un medico competente. La notte è una storia di tanti, ma goderne è un privilegio di pochi.
Sicurezza sul lavoro
Ogni anno si registrano circa ventimila denunce per infortuni per la categoria di lavoratori assicurati all’Inail, operativi tra la mezzanotte e le cinque di mattina. Di questi, circa cinquanta sono mortali. Nel 2010 gli infortuni in itinere, ossia quelli che avvengono nel percorso casa – lavoro, sono stati 2559, il tredici per cento del totale. Di questi, quindici sono stati mortali e rappresentano annualmente il trenta per cento del totale dei decessi notturni.
«Smontando da un turno di notte c’è sempre il rischio di addormentarsi nel tragitto per tornare a casa – racconta Emanuela Larghi, che fa l’infermiera -. Quando ti accorgi che ti stai per addormentare ti fermi o se sei quasi arrivata a casa abbassi il finestrino e fai entrare un po’ d’aria fredda, soprattutto se è inverno, oppure metti la musica a palla, fumi una sigaretta. Insomma, le provi tutte per stare sveglia».
Dormire male o poco aumenta il rischio di infortuni, non solo a causa della sonnolenza, ma anche per una vera e propria riduzione delle capacità cognitive nel gestire ogni situazione, che può essere fatale soprattutto se si svolgono lavori per cui si è responsabili anche di altre persone.
Le professioni che registrano il maggior numero di infortuni durante le ore notturne riguardano autisti, infermieri, personale ospedaliero, guardie giurate e operatori ecologici. Per i lavoratori immigrati, invece, le categorie più a rischio sono quelle dei facchini, seguiti da magazzinieri, addetti alle attività di pulizia e personale sanitario.
«Il lavoro notturno espone le persone a rischi aggiuntivi, soprattutto per chi lavora da solo. In caso di pericolo si è meno tutelati e si deve affrontare la situazione senza poter contare sull’aiuto di colleghi o colleghe», racconta a Linkiesta Sebastiano Calleri, responsabile salute e sicurezza della Cgil.
Siamo in Viale Zara, sono le 22.30 e piove. In giro non c’è quasi nessuno. Entriamo nella farmacia Dr. Masi, aperta h24, e troviamo Giuseppina, conosciuta da tutti come Chicca. Lavora lì dal 2016 e da venticinque anni fa i turni di notte. «Non brillo per pazienza e lavorare di notte mi risparmia un bel po’ di seccature, i clienti di giorno non li reggo», racconta. Lavorare di giorno, però non è lo stesso che lavorare di notte «è una vita completamente diversa, come se fosse un altro posto», aggiunge.
Le abbiamo chiesto quali fossero le situazioni più strane o pericolose a cui le è capitato di assistere. «In questi anni ne ho viste di tutti i colori, ma sono sempre riuscita a far fronte alle situazioni. Un ragazzo tossicodipendente una volta ha provato a picchiarmi, mi hanno puntato una pistola finta alla testa, qualche settimana fa un uomo mi ha minacciata con un coltello da cucina. Insomma, queste cosette qua. Pensandoci adesso, effettivamente non è l’ideale come lavoro, soprattutto per una donna».
Chicca finisce di lavorare alle 8.30 di mattina, va a casa, dorme qualche ora e poi è pronta per iniziare la giornata. «Di solito dormo tre, quattro ore anche quando non devo lavorare, quindi sono fortunata perché poi ho comunque la giornata libera. Mi sento una privilegiata, in un certo senso».
Questa chiacchierata abbastanza surreale si conclude con Chicca che ci racconta del suo passato come responsabile delle assunzioni del servizio notturno all’Ospedale Fatebenefratelli «Non ho mai assunto donne per fare i turni di notte, mi veniva male al solo pensiero».
Salute
Negli ultimi anni la società delle ventiquattro ore è diventata sempre più tecnologizzata e informatizzata, accelerando il ritmo di vita e aumentando l’organizzazione del lavoro turnistico per reggere la competizione e per aumentare la produttività. Il sonno rappresenta mediamente un terzo della nostra vita e privarsene ha un impatto considerevole in termini di salute. Contrariamente a quanto sostenevano i grandi manager yuppisti degli anni Ottanta, che rinunciavano a ore di sonno rincorrendo una presunta produttività, dormire non solo è necessario, ma è fondamentale.
«Nell’organismo umano le funzioni vitali vengono regolate da un orologio biologico, il “Master clock”, che si trova nel nucleo soprachiasmatico del cervello e che insieme ai “Clock genes” regola il funzionamento cardiaco, respiratorio, gastroenterico, ormonale e metabolico – ci racconta Sergio Garbarino, neurologo, medico del lavoro e docente presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma -. Lavorare di notte indebolisce il sistema immunitario ed espone il soggetto a un rischio maggiore di contrarre malattie».
Per esempio, alcuni studi scientifici hanno dimostrato che le infermiere che coprono i turni notturni hanno più probabilità di sviluppare un cancro al seno.
Anche avere i ritmi di vita alterati ha un forte impatto sulla salute del singolo, soprattutto se i turni non sono orientati verso l’orologio biologico «A volte torno a casa alle 9 e prima di andare a dormire faccio colazione. Quando mi sveglio sono le 16, quindi salto il pranzo e mangio verso le 18. Poi verso mezzanotte mi sveglio per la fame», continua Emanuela.
La sindrome del turnista colpisce circa il 26,5 per cento dei lavoratori e delle lavoratrici e comporta una serie di disturbi, sia fisici, sia neuropsicologici, dovuti al disallineamento del ciclo sonno – veglia. I problemi che ne conseguono sono stanchezza, insonnia, scarso rendimento lavorativo, ma anche difficoltà psichiche, forte ansia, attacchi di panico, depressione, ipertensione arteriosa, ischemie, rischio infarto, aumento del colesterolo e rischio diabete.
Trasporti
Una ricerca pubblicata dalla Firenze University Press parla di lavoro notturno in termini di «rischi di segregazione temporale», analizzando come le disuguaglianze derivanti dalle differenze di classe, reddito, genere e formazione si definiscano anche in relazione alla fruizione del tempo e dello spazio.
Alessio Kolioulis introduce il concetto di «diritto alla città» nel report “Working Nights: municipal strategies for nocturnal workers”, dove propone delle infrastrutture pensate per i lavoratori notturni. Vivere di notte è più complicato anche perché ci sono meno servizi rispetto al giorno, basti pensare ai trasporti notturni.
«Qualche anno fa l’Università dove lavoro ha fatto uno studio sulle addette alle pulizie, che a Londra sono principalmente donne latino-americane o del West Africa e che vivono nelle periferie della città. Per tornare a casa devono prendere bus notturni, che sono ovviamente meno frequenti rispetto a quelli diurni», racconta l’urbanista.
Lavorare facendo il pendolare, oltre a essere più faticoso in termini di energie, sia fisiche, sia mentali, è anche economicamente più costoso, perché «in una società in cui il tempo è denaro, quello utilizzato per spostarsi è a tutti gli effetti lavoro non retribuito», conclude Kolioulis.
Un aspetto da tenere in considerazione è anche quello relativo alla sicurezza negli spostamenti. La stessa ricerca della Firenze University Press dimostra che la percezione della sicurezza incide fortemente sulle scelte di mobilità serale e notturna. A Milano, su centotredici intervistate, la metà ha rinunciato almeno una volta a uscire di sera o di notte perché non accompagnata, il cinquantatré per cento ha dichiarato di aver avuto la sensazione di essere seguita durante uno spostamento, mentre il quarantotto per cento ha affermato di aver evitato i mezzi o modalità di spostamenti ritenuti pericolosi.
È per questo motivo che Irene Cattarin, che lavora come cassiera al Carrefour h24 in zona Diocleziano, cerca di non prendere i mezzi quando fa il turno serale. «A piedi ci metterei due minuti, ma preferisco prendere la bicicletta anche per evitare qualsiasi tipo di incontro. Non è il massimo, ma sempre meglio dei mezzi».
Contratti
Nel 2022, il 10,5 per cento dei dipendenti era sottopagato, afferma un report della Greater London Authority . La percentuale aumenta fino al 15,1 per i dipendenti delle night-time industries e raggiunge il 38,5 per cento per le persone che lavorano in attività notturne culturali e ricreative.
«Manca ancora una formazione in merito: i lavoratori e le lavoratrici che si candidano non vengono né formati, né informati rispetto ai rischi a cui vanno incontro – racconta Calleri -. I turni più disagiati vengono sempre assegnati alle fasce più deboli del mercato del lavoro. Si parla di contratti brevi e discontinui per lavori spesso molto pesanti, solitamente mansioni ricoperte da persone migranti e giovani».
Il trend è confermato anche dal report Inail, che sulla base di alcuni dati del 2007 mostra come all’aumentare dell’età diminuisca il numero dei lavoratori «a dimostrazione che col passare degli anni si diventa più selettivi nella ricerca di un’occupazione».
Nel report della Greater London Authority si stima che in Inghilterra, nelle attività culturali e ricreative l’età media dei lavoratori non superi i ventiquattro anni. Cifra che si alza nel settore medico, anche per via dei lunghi periodi di formazione richiesti.
Vita sociale
Gestire la vita privata e il lavoro, soprattutto se notturno, è la sfida più grande. Ce lo racconta Marco, che lavora al Panificio Rizzi Nello, in zona Istria. Quando gli chiediamo come gestisce la sua vita sociale risponde «semplice, non la gestisco, perché non ce l’ho».
«Quello che mi pesa di più è quando torni a casa verso le 7 di mattina e poi non dormi. Ci metti tanto a riprenderti, anche se fai solo una notte – ci racconta invece Rascia, che lavora al McDonald di Assago -. E comunque poi non è che ti riposi veramente. Ci provi, almeno finché i bambini non si svegliano».
Anche Tufayel descrive una condizione simile. Ha ventidue anni e da quando ne ha sedici lavora al Chiosco Maradona, in zona Bocconi. Durante il weekend il posto chiude più tardi e quando arriva a casa sono le otto di mattina. «Mi piace il mio lavoro, ma ultimamente mi sento un po’ solo: tutti i miei amici lavorano di giorno e io sono l’unico a farlo di notte. Ogni tanto la mattina passano da qua dopo la discoteca e penso “cazzo loro si stanno divertendo e io sono qua a lavorare”».
Nonostante abiti ancora con i suoi genitori, non riesce a vederli quasi mai, soprattutto d’estate, proprio per via del lavoro. «Anche se abitiamo nella stessa casa riusciamo a vederci solo una o due volte alla settimana».
Il lavoratore o la lavoratrice turnista diventa un equilibrista nel tentativo di conciliare lavoro e vita privata: lavorare di notte rende complicato anche gestire le relazioni e la vita sociale. «Ultimamente sta iniziando a darmi fastidio, mentre all’inizio non mi pesava. Forse perché ero ancora giovane», conclude Tufayel.