Quando arrivi a Prato, non devi fare neanche nulla per cercare il Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci: è lì, alla prima rotatoria sulla strada che, uscendo a Prato Est, s’incontra andando in direzione di Pistoia. Una strada che pur non essendo una tangenziale sembra, quanto a traffico, farne le veci. Se neanche sai ci sia o non hai voglia di visitarlo, è il Pecci a richiamare l’attenzione e a farti cambiare idea, con la sua forma di navicella spaziale dorata sormontata da un’antenna metallica a simboleggiare la capacità di captare nuovi movimenti culturali e tendenze.
Non ci potrebbe essere, a Prato, luogo meno convenzionale di quello dov’è il Pecci, per occuparsi di arte contemporanea: all’inizio di un viale che non è né in centro, né in una delle zone industriali o post-industriali che hanno fatto e continuano a fare, anche sotto l’aspetto sociale, la storia di Prato. E non ci potrebbe essere aggettivo migliore di “eccentrica” per introdurre il nuovo percorso espositivo del Centro: si chiama appunto Eccentrica. Le collezioni del Centro Pecci, s’inaugura il 6 Maggio e scrive, trentacinque anni dopo la sua inaugurazione avvenuta nel 1988, una nuova pagina della sua storia.
L’anticonformismo e l’eccentricità, il Centro Pecci li ha nel dna e nel nuovo allestimento, plasmato da cinquantacinque opere tra le milleduecento appartenenti alla collezione permanente e ospitato nell’Ala grande Nio (dal nome dell’architetto Maurice Nio che l’ha realizzata nel 2016). Questi due concetti sono declinati in vari modi. Dando spazio a nuove generazioni di artisti e scegliendo percorsi artistici originali, che hanno visto anche la Toscana quale protagonista. Basti pensare all’Architettura radicale, fenomeno fiorentino, cui è dedicata l’ultima sezione del percorso. Ma eccentrico è anche il modo di procedere: diverso dal solito ordine cronologico delle opere, e piuttosto attraverso rapporti anche tematici tra opere e artisti.
E sicuramente eccentrico è anche il titolo dato alla prima sezione, Il Centro in una stanza, che richiamando la famosa canzone di Gino Paoli raccoglie opere arrivate al Pecci in momenti diversi e fa da introduzione al resto del percorso espositivo. Tra le opere presenti, anche Here and there di Anish Kapoor, che ha esposto al Pecci nel 1988, per poi venire selezionato a rappresentare il Regno Unito alla Biennale di Venezia e vincere il Turner Prize. La sua presenza indica anche la capacità del Centro di intercettare giovani artisti, in seguito affermatisi.
Nel progetto espositivo a cura dello studio Formafantasma, portato avanti secondo canoni di sostenibilità e accessibilità, il tessuto riveste grande importanza. E questo, in una città tra i distretti tessili più grandi d’Europa, se non il più grande, è tuttora origine e motore di molte cose. Iniziative che ridanno vita a luoghi altrimenti morti e rileggono il territorio, sono portate avanti con visioni moderne, approccio interdisciplinare e attenzione alla sostenibilità. Concetti in piena armonia con quella città dinamica e multietnica, verde e carbon neutral, che vuole essere Prato.
Ne è prova Lottozero, un’idea nata dalle sorelle Tessa e Arianna Moroder, che trasformando un vecchio magazzino di famiglia abbandonato in un hub creativo, hanno contribuito alla riqualifica di quella zona nota della città come Macrolotto Zero. Il progetto ha apportato, e porta tuttora, idee fresche di giovani creativi da tutta Europa, che interagiscono con il patrimonio manifatturiero e culturale di Prato.
Il tessuto e il design tessile sono il fulcro attorno a cui gira l’attività di Lottozero, che diventa anche arte. Infatti uno degli spazi di Lottozero è la Kunsthalle: dove vengono esposti i risultati delle ricerche e delle sperimentazioni sviluppate dagli artisti e designer che lavorano a Lottozero, anche con possibilità di residenza, che si trovano immersi in un ambiente stimolante e pregno di cultura tessile. Cui dà il suo contributo anche una biblioteca interna specializzata in tessile e moda, che tra poco sarà anche inserita nel sistema bibliotecario pratese. Completa Lottozero una zona creativa nel vero senso della parola: un laboratorio tessile dotato di macchine da cucire, telai, strumenti per la tintura e la serigrafia, per sperimentare, realizzare prototipi e opere in serie limitate.
Si respira arte, tanta, anche sotto i quattrocento metri quadrati di Lanarchico: melting pot di persone, idee e colori, fotografie rivisitate in chiave ironica e libertà artistica, nato dall’idea di Marco Biscardi, che – in collaborazione con la famiglia di imprenditori tessili Marsili – ha ridato vita a un capannone della ex Società Anonima Lanificio Calamai, progettato a suo tempo da Pierluigi Nervi.
Lanarchico nasce come atelier d’artista dello stesso Biscardi ma diventa, di recente, sede dell’omonima associazione culturale che si pone, nella zona Macrolotto Zero, come luogo di sperimentazione di diversi linguaggi espressivi, in cui si fanno mostre, formazione e innovazione. Un luogo in cui l’arte e la cultura diventano, insomma, veicoli sociali.
Partire da un vecchio lanificio degli anni Cinquanta, il cui nome era Affortunati, arrivare ad una fabbrica hi tech e ritagliarsi un proprio spazio sul mercato attraverso capi di alta qualità, è invece in poche parole la storia dell’azienda pratese Beste e del suo brand Monobi. Caratterizzato, quest’ultimo, da design contemporaneo e ottenuto avvalendosi di tecniche di produzione avanzate e macchinari innovativi, oltre che di un indispensabile fattore umano.
Monobi è un brand di abbigliamento con proprietà tecniche normalmente riservate a capi pensati per lo sport e il tempo libero, quali resistenza al vento e all’acqua, ma pensato invece per essere indossato in città. Il valore aggiunto dell’azienda è poi quello di riuscire, non capita molto spesso, a gestire in proprio, coniugando stile e sostenibilità, tutta la filiera, producendo i tessuti ma anche il capo, portandolo al consumatore finale.
Contaminazioni, avanguardia, un certo look industriale ma che vira verso l’elegante: sono i tratti distintivi di un altro progetto, stavolta gastronomico: MAG56, ristorante e cocktail bar che, non a caso, ha nel nome anche Unconventional Food & Drinks e che si è ritagliato, a Prato, uno spazio tutto suo. In un ex magazzino rinato da un progetto architettonico contemporaneo, la proposta gastronomica insegue, nella scelta dei piatti e negli abbinamenti, il tema del viaggio.
Dall’aperitivo al dopo cena, senza tralasciare la cena, i generi si fondono: alcuni cocktail nascono al bar ma passano per la cucina prima di essere serviti, così come alcuni piatti ricevono l’ultimo tocco al bar. Una fusion che non solo richiama l’aggettivo “unconventional” del nome del locale, ma che è la cifra sociale e culturale della stessa Prato.