La storia recente dell’abuso d’ufficio ci parla di un “reato in cerca d’autore”: un’ipotesi – soprattutto ultimamente – più studiata dalla dottrina di quanto non sia stata applicata dai giudici. I numeri – abbastanza impietosi – sono stati riportati da più parti nelle ultime settimane. Nel 2021 su oltre cinquemilaquattrocento procedimenti ne sono stati archiviati oltre quattromilaseicento e che, all’esito del dibattimento, su cinquecentotredici procedimenti definiti le condanne sono state diciotto.
Nel momento in cui “si danno i numeri”, occorre però chiarire se il problema – dal punto di vista di chi ne sollecita l’abrogazione – siano i cinquemilaquattrocento procedimenti, le quattromilaseicento archiviazioni oppure le pochissime condanne.
Per quanto riguarda il numero di procedimenti aperti, bisogna considerare che nella maggior parte dei casi le denunce di abuso d’ufficio provengono da privati. Pur quindi in assenza di uno specifico reato, i privati continuerebbero a denunciare gli stessi fatti, magari invocando altri illeciti, la sussistenza dei quali dovrebbe comunque essere valutata da un Pubblico ministero. In ogni caso, un tasso così elevato di archiviazioni certifica che viene già fatta una grandissima scrematura. Il problema quindi non è tanto la quantità di procedimenti penali che, magari anche per poco tempo, rimangono pendenti.
Sul fatto che invece l’archiviazione avvenga dopo mesi, o magari anni, dall’apertura del caso, questo è conseguenza – più che dell’esistenza di un illecito o meno – dall’organizzazione delle Procure e dello smaltimento del carico di lavoro. In ogni caso, si tratta di un problema comune a praticamente tutti i reati e non riservato certamente all’abuso d’ufficio.
Il numero esiguo di condanne pronunciate all’esito del dibattimento è invece conseguenza di due fattori. È determinato infatti sia dalla scarsità di procedimenti che arriva a quella fase del processo penale – confermando che il nostro sistema di giustizia non è certamente ingolfato a causa dell’abuso d’ufficio in sé – sia dal fatto che per provare la responsabilità penale dell’imputato sono richiesti requisiti difficili da dimostrare. E inoltre se per abrogare un’infrazione si prendesse come metro di misura il numero di condanne ottenute, dovrebbero scomparire dall’ordinamento moltissime ipotesi di reato.
In ogni caso, al di là del dato numerico, c’è però da chiedersi se la recente modifica all’abuso d’ufficio non avesse già contribuito a ridimensionare significativamente l’area del penalmente rilevante, così riducendo la portata della “paura della firma”.
La risposta non può che essere affermativa. In tal senso, depone anzitutto il dato del calo delle iscrizioni di procedimenti per abuso d’ufficio negli ultimi anni. Calo che, tra l’altro, potrebbe aumentare – o sarebbe potuto aumentare – alla luce delle recenti modifiche apportate dalla riforma Cartabia all’iscrizione delle notizie di reato, secondo cui ora i Pubblici ministeri devono iscrivere le notizie (ossia, le denunce) che contengano la rappresentazione di un fatto, determinato e non inverosimile, che sia riconducibile in ipotesi ad una determinata fattispecie di reato. Insomma, anche tale novità – unitamente a quella apportata al reato nel 2020 – avrebbe senz’altro comportato un ulteriore diminuzione dei procedimenti.
La conseguenza pratica della abrogazione sarà, da un lato, la probabile contestazione di reati diversi (probabilmente anche più gravi) in grado di prendere lo spazio che prima era occupato dall’abuso d’ufficio e, dall’altro, la revoca delle condanne definitive. Se a ciò si aggiunge che raramente tale reato viene contestato da solo, sarebbe stato forse più opportuno, in luogo di una sua abolizione “secca”, propendere per una sua modifica (se proprio si voleva ulteriormente restringere il perimetro della fattispecie). O, quantomeno, attendere gli esiti delle riforme già intervenute per verificare se il tema fosse davvero ancora attuale.
In un periodo storico in cui si assiste ad un proliferare di nuovi reati – sull’erroneo convincimento che il penale sia lo strumento per porre rimedio ad ogni ingiustizia o tragedia (si pensi al recente caso degli “youtuber”) – ridurre l’area del penalmente rilevante è senz’altro un qualcosa di positivo, ma non è facendo venir meno tout court l’abuso d’ufficio che si persegue tale obiettivo.