Il tessile è un settore inquinante, vero, non serve ricordare quanto, ma è anche un campo aperto di sperimentazione e, per tutti quei player che si vogliono mettere in gioco per trovare delle alternative migliori dal punto di vista ambientale, le possibilità sono infinite. Si può sempre trovare un materiale meno inquinante, o una soluzione biodegradabile, oppure trovare il modo di tagliare le emissioni dei processi produttivi. In Italia esiste un’azienda che in questo ha delle competenze degne di nota.
Si chiama Candiani Denim, produce denim appunto (il tessuto che serve per fare i jeans) e, per il fatto di avere la sede nel Parco nazionale del Ticino, ha iniziato il proprio percorso di efficientamento dei processi produttivi nel 1974, quando il territorio in cui sorgeva fu dichiarato riserva naturale. Questo ha fatto sì che, in quasi cinquant’anni di attività, l’azienda si sia costantemente migliorata rispetto al cotone selezionato, ai chimici utilizzati, fino alle tecnologie sviluppate per tingere nel modo più ecocompatibile possibile. Grazie a Coreva ad esempio, un elastomero naturale completamente biodegradabile sviluppato in house, può produrre denim stretch in maniera responsabile (il filo elastico normale è infatti la componente più ostica per l’ambiente da dismettere, che può impiegare fino a ducento anni prima di scomparire).
Kitotex è invece un brevetto Candiani del 2016 grazie al quale la fase di bozzima (quella successiva alla tintura con l’indaco che serve a fortificare la fibra e far sì che non si rompa nei passaggi al telaio) è realizzata con un appretto totalmente naturale e biodegradabile. Candiani utilizza infatti il chitosano (un polimero che può essere ricavato da diverse materie prime, come l’esoscheletro dei crostacei o degli insetti) ricavato a partire dai funghi al posto di quello che solitamente si utilizza nell’industria del denim, ovvero il Pva, l’alcol polivinilico.
Questo è infatti un polimero sintetico derivato dal petrolio: potrebbe essere biodegradabile, se i sistemi di depurazione civile e industriale fossero predisposti a farlo, così non è più del settantacinque per cento di Pva permane nell’ambiente dopo i lavaggi. Il chitosano vegetale invece, oltre ad enfatizzare il colore in fase di bozzima, che risulta più brillante, è totalmente biodegradabile e, in più, ha un’azione purificante delle acque reflue, perché coagula intorno a sé gli agenti inquinanti rendendoli poi più facili da estrarre in fase di depurazione.
Se la fase di lavanderia nella fase produttiva del denim è importante, è bene tenere a mente un dato: l’ottanta per cento dell’impatto sull’ambiente di un jeans durante il suo ciclo di vita è dato dai lavaggi domestici. Ridurre il numero dei lavaggi quindi sarebbe buona cosa per l’ambiente, ma non solo: ne giova anche il look stesso del pantalone, che assume sfumature naturali dovute all’usura che impiegano più tempo a formarsi se il capo viene lavato spesso.
Da Candiani trovare il modo di convincere le persone a lavare di meno i propri jeans era una priorità. Per questo hanno dato vita ad una nuova partnership con una delle aziende leader nella produzione di grafene, Directa Plus, e creato un nuovo tessuto: il Graphito.
Il nome, che deriva dalla crasi tra Kitotex e grafene, è esaustivo rispetto a quelle che sono le materie prime principali contenute in questo tessuto: il chitosano e il grafene. Ma a cosa serve mettere il grafene nel denim? In primo luogo ad abbattere drasticamente il numero di volte in cui vanno lavati i jeans e, in secondo, a termoregolare la temperatura corporea in modo che uno stesso pantalone si possa indossare sia d’estate che d’inverno. Il grafene, che viene chiamato il “materiale delle meraviglie”, è infatti puro carbonio: presenta una struttura a nido d’ape che è in grado di portare, al denim a cui viene applicato, proprietà anti microbiche, anti batteriche, anti virali e termiche.
L’effetto che il grafene ha sull’impatto ambientale e climatico di un paio di jeans è tutt’altro che irrilevante: «Su un tessuto normale si possono generare delle muffe, o delle espressioni batteriche, mentre su un tessuto impregnato di grafene no. Questo è molto interessante dal punto di vista dell’impatto domestico della manutenzione di un jeans. Nel ciclo di vita domestico del singolo paio di jeans abbiamo un impatto idrico, energetico e una carbon footprint relativa altissima: in Europa ogni pantalone viene lavato, mediamente, ogni due utilizzi e mezzo. Questo comporta un impatto idrico durante il ciclo di vita del pantalone, di circa ottocento litri d’acqua. L’idea di inserire il grafene nel tessuto ci è venuta proprio ragionando su come potesse essere possibile abbattere questo dato, mettendo allo stesso tempo in sicurezza chi indossa il jeans» spiega Simon Giuliani, marketing manager di Candiani.
«Abbiamo condotto un test di laboratorio in cui per cinque giorni abbiamo esposto a batteri e virus due tessuti, uno impregnato e uno no: il Graphito ha abbattuto i batteri per più della metà. Questo significa che si può indossare per il doppio del tempo prima di lavarlo: ad esempio, se qualcuno sentisse l’esigenza di lavare un jeans indossato tutti i giorni dopo cinque giorni di utilizzo, con Graphito può estendere questo lasso di tempo a dieci. Così facendo si riduce l’impatto idrico, energetico e la carbon footprint del settantacinque per cento: per dare una proporzione, a livello idrico si passa da un consumo di ottocento litri a centocinquanta litri. È chiaro che, se questo venisse applicato in scala a tutti i jeans che vengono prodotti nel mondo ogni anno, farebbe una differenza enorme».
L’altro aspetto tecnologico conferito al jeans dal grafene G+ è la termoregolazione: il grafene, essendo un ottimo conduttore, conduce bene sia l’elettricità che l’energia termica e, come effetto, ha una distribuzione del calore in maniera uniforme sul capo, che si traduce in un comfort termico molto elevato. La discrepanza tra un jeans normale e un jeans realizzato con tessuto Graphito è di un grado, un grado e mezzo, ma il percepito a livello di comfort è molto maggiore. Questo ha un risvolto pratico molto importante in tema di indossabilità del pantalone.
«Il peso dei jeans si misura in once: un tempo il jeans cross seasonal, il classico 501 della Levi’s ad esempio, era di quattordici once. La conseguenza dei cambiamenti in atto a livello climatico è che quattordici once siano troppe oggi per il periodo estivo: il peso di una pantalone per tutte le stagioni è calato a dodici once. Il clima però sta cambiando ancora e i jeans sono sempre più difficili da portare in estate: passare a dieci once, d’altra parte, li renderebbe troppo leggeri in inverno, facendo perdere la funzionalità su quattro stagioni. Grazie al boost del grafene, le dodici once di Graphito vengono termoregolate e mitigate in modo da rendere il pantalone piacevole da indossare anche in estate».
Non per niente il grafene è utilizzato anche per realizzare le divise dei vigili del fuoco proprio perché, oltre alla funzione rompifiamma, il beneficio che dà ai pompieri è che, quando si allontanano dalla fonte di calore, si raffredda abbastanza in fretta.
Ma come fa il grafene ad andare ad accoppiarsi con le fibre di cotone che compongono il denim? «Dal minerale si ricava la grafite frammentata, una polvere formata da miliardi di grani di grafene, poi, con un processo termico di super espansione al plasma, viene aumentato il volume del materiale iniziale di circa 300 volte» spiega Razvan Popescu, Executive Vice President Directa Plus.
«A quel punto risulta sotto forma di vermicelli di grafene che, con un altro processo di separazione, vengono spacchettati per andare a formare la materia grezza che poi può trovare applicazione in tutta una serie di processi e situazioni. Al di là del tessile, ad esempio, con questi vermicelli vengono create delle spugne in grado di assorbire gli oli dispersi in acqua. Per poter accoppiare al denim questo grafene super espanso noi lo trasformiamo in forma liquida utilizzando acqua e nient’altro, nessun tipo di agente chimico. Ecco: una volta che il materiale grezzo ha come veicolo l’acqua lo si può utilizzare nel mondo tessile».
Il grafene, nelle sue diverse forme, ha applicazioni in moltissime industrie, da quella delle batterie all’ingegneria civile: una polvere di ultima generazione prodotta da Directa Plus, ad esempio, viene usata per realizzare il manto autostradale, allungandone la vita di circa sei volte.