Ma vi ricordate di quando uno dei format più tenaci dei social era lo stupefatto stupore perché il Papa è cattolico? Succedeva (succederà) ogni volta che il capo della chiesa cattolica diceva cose da cattolico, tipo: padre madre e bambini è meglio di coppia di busoni con cane.
Ogni volta l’internet faceva (fa, farà) come lo stato di Don Raffae’: si costerna, s’indigna, s’impegna, poi getta la spugna con gran dignità. Ove «gettare la spugna» sta per: appiattire la curva d’apprendimento.
Non: apprendere un concetto nuovo, e la prossima volta presentarsi equipaggiati al dibattito. No: come in quella sopravvalutatissima commedia in cui Bill Murray viveva sempre la stessa giornata, sorprendersi ogni volta di ciò che dovrebbe già aver appreso dalla stuporosa esperienza della volta precedente, se non addirittura conoscere per cultura generale (un concetto rispetto al quale la società di questo secolo ha evidentemente fallito: non esistono nozioni condivise, nulla si può dare per scontato, se dici «selva oscura» devi aggiungere «cit.»).
La scorsa settimana il Papa ha ricevuto scrittori e artisti, distraendoci quindi dal suo essere cattolico (e lasciando che ci concentrassimo sul suo essere ceto medio riflessivo), e gli stuporoni stuporosi si sono diretti altrove.
Una nazione di consumatori di cronaca nera ha scoperto che la cronaca nera è bella anche se fa male. Una nazione che il mercoledì guai se le levi Chi l’ha visto, che giura di aspettare fremente la nuova puntata di Nazzi (Stefano Nazzi fa un podcast su un caso di cronaca nera una volta al mese sul Post: credo di essere, tra le persone che frequento, l’unica che non l’ha mai ascoltato), e che venera Franca Leosini, una nazione così non ha evidentemente mai seguìto le gesta d’un assassino.
Altrimenti non si sarebbe potuta scandalizzare perché i disgraziati che avevano un canale YouTube e, perseguendone il successo, avevano accidentalmente ammazzato un bambino, dopo avevano più follower di prima. «Capisci che il contesto web cambia tutto», mi ha detto un intellettuale che conosco, sembrandomi improvvisamente, con l’uso dell’espressione «contesto web», mia nonna quando diceva «tv color».
E lui pazienza, che mi sa non è neanche tanto appassionato di Leosini, ma tutti gli altri indignati dell’appunto contesto web, tutti loro come possono essere patiti di cronaca nera e non sapere che gli assassini più efferati ricevono lettere d’amore da ben prima che esistesse il modem col trillo?
Poi, grazie al caso dell’agenzia pubblicitaria nella cui chat non pensata per la pubblicazione venivano dette cose irripetibili quanto quelle che vengono dette dagli esseri umani che credono che le loro conversazioni resteranno private, abbiamo scoperto che l’umanità è privatamente cafona anche allorché impiegata in contesti teoricamente rispettosi. (L’agenzia seguiva Netflix, «così inclusiva», trasecolavano gli osservatori: puoi sempre contare sulla stolidità di chi usa seriamente la parola «inclusività»).
Ma, benedetti lettori stuporosi, dove credete stesse l’irresistibilità del genere giornalistico delle intercettazioni? Non avevate mai notato che la loro attrattiva era l’essere un buco della serratura sull’indicibile? Non avete, miei ingenui figlioli, amici con cui dite cento volte a telefonata «maresciallo, stiamo scherzando», nella certezza un po’ mitomane d’essere intercettati, e nella certezza assai realista che, se ciò che diciamo in privato venisse reso pubblico, la reputazione personale e la coerenza politica di molti di noi diverrebbero mangime per maiali?
(La miglior critica culturale, inconsapevole come tutte le critiche culturali efficaci, alla questione dell’agenzia pubblicitaria sta nella puntata di “And just like that” che va in onda venerdì prossimo. Nella scuola dove vanno i figli di alcune protagoniste, viene fuori che gli studenti hanno classificato le madri in ordine di scopabilità, sotto il volgarissimo acronimo Milf, Mom I’d like to fuck. Charlotte e un’altra considerano eccessiva la punizione decisa per gli studenti, e altre due le liquidano: siete indulgenti solo perché vi siete classificate seconda e terza).
Avrei voluto aggiungere anch’io la mia capacità di stupirmi dell’ovvio dopo aver visto la sleppa di indignati che, sull’Instagram di Paolo Banchero, gli intima di togliere la bandierina italiana vicina al nome. Banchero, lo dico per chi seguisse lo sport persino meno di me, è un giocatore della Nba figlio d’un italoamericano. È italiano quanto io sono colombiana: non ha mai vissuto in Italia, giocato in Italia, ha sì la doppia cittadinanza ma solo una nazione di mitomani poteva pensare che non scegliesse di giocare nella nazionale statunitense.
Scorrevo i commenti indignati e mi stupivo dell’ovvio: ma tu pensa, agli italiani interessa solo chi è in grado di fargli vincere delle gare, mica chi paga le tasse qui – sarà forse per quello che non facciamo un plissé se un campione di qui ha la residenza a Montecarlo? Da parte loro, i tifosi si stupivano dell’ancor più ovvio: ma tu pensa, tra una nazionale che vince tutto e una che non vince niente, Banchero (di razza mista) non ha scelto di giocare per il (perdente) paese che al riminese Carlton Myers urlava «Non esistono negri italiani». Stuporone proprio.
Proprio quando sembrava che non ci fosse rimasta acqua calda da scoprire, alcune giornaliste che normalmente non si occupano di moda sono andate alle sfilate maschili. Dove – come ogni anno, due volte l’anno, da praticamente sempre – alcuni uomini sfilavano in gonna: la moda maschile è la cosa più noiosa del mondo, i poricristi che la disegnano devono pur movimentarla.
Poiché con la cultura generale, come già detto, questa società ha fallito, le gonne maschili cascano per le non specialiste del settore evidentemente sotto la categoria «non ci siamo arrivati col programma».
Ricorderemo il giugno del 2023 come il mese in cui le gonne maschili divennero una notizia nel modo in cui le notizie diventano notizie quasi sempre sui giornali italiani: perché chi ne scrive è stato su Marte, dormiva, non ci è arrivato col programma. E chi in redazione dovrebbe dire «guarda che questa è la quattromillesima gonna maschile delle ultime tre stagioni» non può fare il proprio lavoro, cioè evitare al giornale che lo stipendia di rendersi ridicolo, giacché è impegnato ad ascoltare un podcast di cronaca nera, a cercare di capire perché il Papa non l’abbia invitato, ad aggiornarsi sul contesto web altrimenti poi i figli gli dicono «boomer».