Willy Wonka dei ghiacci Dentro la fabbrica del gelato

Prima di lanciarci nelle gettonate classifiche delle novità gelato 2023, abbiamo raccolto dati e informazioni su come sta cambiando questo mercato, fino a fare un giro dentro uno degli stabilimenti del gelato industriale che produce alcuni tra i marchi più famosi in Italia

Già da settimane i principali marchi del gelato industriale italiano propongono le novità della stagione. Nuovi stecchi, nuovi coni, nuovi gusti e follie che diventano argomento di discussione per chi è bravo a fare small talk.
Da sempre, ma ancora di più negli ultimi anni, con l’aumentare dell’interesse verso le tendenze del cibo, l’attenzione nei riguardi del gelato confezionato è fortissimo. I motivi sono principalmente due, e sono concatenati: primo, la forte stagionalità del prodotto, che lo rende una specie di momento/evento che si perpetua negli anni; secondo, il senso di appartenenza e legame che ciascuno di noi instaura con un prodotto che è forse la sua prima esperienza d’acquisto della vita e che, un po’ come il primo amore, non si scorda mai.
Insomma, il gelato confezionato rappresenta una delle prime esperienze che facciamo senza i genitori e nel pieno dell’entusiasmo estivo. Come quel primo flirt al mare. Non so voi, ma io, al mio primo bacio e alla prima volta che mi diressi da solo verso la cassiera del Lido Belvedere per pagare il gelato Motta, fui travolto dallo stesso sbattimento emotivo.

Ora che vi ho parlato di due donne importanti della mia vita, torniamo a parlare di gelato confezionato.
Stando ai dati IRI distribuiti da Froneri Italia, la categoria gelato nel settore retail (e quindi tutti i luoghi in cui acquistiamo il gelato direttamente) vale 1,4 miliardi, crescendo quasi del 17% rispetto al 2022. Sul lungo periodo si parla di una crescita molto elevata, stimolata da un’industria che ha apportato molta innovazione al prodotto, oltre che investire in comunicazione e progetti di sostenibilità. Alimentando, così, un mercato che si trovava in una discreta crisi.

Ma il gelato confezionato è buono?
Iniziamo a capire come riconoscere un gelato artigianale da quello industriale. Non sempre il risultato di un tizio che crea il cono con palline, petali e palettate di gelato davanti ai nostri occhi è da considerarsi artigianale. Quello stesso gelato può provenire dall’industria o può essere l’esito di un semilavorato. Niente di male, sia chiaro, ma quei prodotti avranno tutte le caratteristiche e la lista ingredienti tipiche di un prodotto industriale. Molto simile a quello della vaschetta del supermercato, per intenderci, ma nel contesto della gelateria, con il prezzo della gelateria.
La legge definisce “artigianale” anche un gelato che nasce da un mix di ingredienti creati da un’azienda – i semilavorati, appunto – e rivenduta alla gelateria, mettendolo sullo stesso livello del gelato fatto a partire da latte fresco, frutta fresca o cioccolato da un volenteroso gelatiere.

Ci sono modi più o meno virtuosi per fare gelato artigianale, e vale lo stesso per quello industriale. Non è la classificazione di un gelato a decretarne la bontà, ma come viene prodotto nei singoli casi.
Un dato certo sui gelati industriali è la lista ingredienti, che non riesce mai a fare a meno – oltre alle materie prime – di additivi utili a garantire la stabilità del prodotto e una migliore resa. Addensanti ed emulsionanti sono parte fondamentale dei gelati industriali che, altrimenti, non arriverebbero integri nelle nostre case o fino al bar del paesino più sperduto.
Non è possibile pensare al cibo industriale senza l’utilizzo di questi ingredienti. Non sarebbe possibile ottenere prodotti buoni e ben conservati. L’alternativa sarebbe mangiare prodotti di filiera corta o molto corta. Bello, ma non economicamente sostenibile.

Il valore aggiunto del gelato industriale è in parte un valore sociale. Non esiste prodotto che meglio rappresenti i gusti degli italiani, pur nelle loro sfaccettature e tra generazioni. I cambiamenti nello stile alimentare hanno inciso meno su quelli che sono i legami con il gelato d’infanzia. E così, ci ritroviamo che un quarantenne e un ventenne di oggi hanno ben poco da condividere circa le loro guilty pleasure, fatta eccezione del gelato incartato, su cui troveranno un’intesa. Non di meno, il gelato industriale, con le sue pubblicità e i suoi immaginari, ha contribuito persino a creare il modello dell’estate italiana.

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Come nasce un gelato confezionato?
Premessa: vi auguro di poter assaggiare, una volta nella vita, un Maxibon appena confezionato: è un’esperienza paradisiaca.
Questo per anticipare che, come nasce un gelato, sono andato a vederlo direttamente dentro uno degli stabilimenti di Froneri Italia, l’azienda generata da una joint venture – un’unione temporanea di due o più imprese allo scopo di perseguire un obiettivo comune – tra Nestlé e il gruppo inglese R&R Ice Cream e che oggi si afferma come la casa di gelati storici tra cui Coppa del Nonno, Maxibon, Antica Gelateria del Corso, ma anche di prodotti innovativi come Nuii.
Nello stabilimento di Froneri a Ferentino (l’azienda conta due stabilimenti produttivi in Italia, il secondo è a Terni) la temperatura è bassa ma la vista di nastri trasportatori che conducono ordinatamente mattoncini di gelato, cialde e wafer scalda gli occhi. Ad accompagnarci, Francesco Cusani, head of manufactoring, e Luca Regano, ad di Froneri Italia. Due persone che ti raccontano il gelato, con la passione e la voglia di confronto di chi sa che quello che fanno non è solo un cibo, ma un generatore di buon umore e, azzardo, un vizio goloso dell’estate.

Fare alimenti a livello industriale richiede una tecnologia complessa, controllo costante e standardizzazione delle procedure. Tra tutte, l’industria del gelato è forse la meno sfidante, ma è di gran lunga la più divertente. Specie quando il gelato bisogna prima inventarlo. Mesi e mesi di lavoro che si compone di individuazione di nuove tendenze, studi di fattibilità e molti tentativi. Froneri, per esempio, dispone di una piccola fabbrica dentro la fabbrica stessa: un luogo dove si sperimenta la produzione in piccola scala, si testano nuove creme e si decidono i nuovi gusti, stagione dopo stagione.
«Vedere l’idea di un nuovo prodotto dal nulla, discutere tutte le modalità con cui puoi realizzarlo e poi arriva un giorno in cui assaggi il campione finale, ecco, quello è un momento magico». Dalle parole di Luca Regano si capisce quanto sia importante, nel mercato attuale, la necessità di innovazione di prodotto fatta di nuovi gusti che seguano le aspettative dei giovani, ma rappresentino delle opportunità per i consumatori di sempre.
Ma come si fa a mettere insieme i gusti di giovani e storici consumatori per accontentare tutti?
«Se da un lato il gelato industriale è consumato da più del 90% degli italiani e quindi sappiamo che è un prodotto a cui accedono tutte le famiglie e le fasce di età, quello che ci permette di fare bene il gelato è proprio una costante ricerca di innovazione e un contatto con i nuovi trend. Ma la cosa importante è che il gelato è legato a una stagionalità che, seppur rappresenta una sfida, è anche un’opportunità data dalla sua teatralità che ogni anno ci consente un nuovo debutto, facendoci ricominciare da capo. Il divertimento, la distrazione, le vacanze, fanno sì che ogni generazione in ogni estate trovi il proprio legame con il prodotto. Questo ciclo consente di tenere vivo e reattivo il mercato del gelato confezionato».

Stando alle Parole dell’ad Luca Regano, sembra che a tenere in forze il mercato del gelato industriale sia proprio l’innovazione. Froneri ha puntato sull’utilizzo di ingredienti di pregio nel caso dello stecco Nuii e sull’assecondare i trend del gusto, aggiungendo il macchiato cioccolato o caramello a Coppa del Nonno. Eppure, i grandi classici non conoscono crisi.
E qui torno al momento dell’assaggio del Maxibon appena incartato: possiamo stare qui a giocare al tribunale del gelato e pesare pro e contro di tutti i gelati del mondo, o possiamo confermarci che alla parola “gelato preferito” ci viene prima in mente quello industriale, dando onore a una tradizione gastronomica italiana che ha settant’anni di storia. Il Maxibon era un gelato perfetto, dal primo all’ultimo morso. E dire che non è neanche il mio gelato preferito.

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Ok, ma il gelato confezionato è sostenibile?
Il gelato è un prodotto energivoro, che richiede energia per creare e mantenere il freddo necessario per produrlo e conservarlo. Ancora di più se quel gelato deve viaggiare e ne va garantita la catena del freddo. E poi ci sono gli incarti, la plastica, il trasporto.
C’è molto da discutere riguardo la sostenibilità del cibo che mangiano e che non riguarda solo l’atteggiamento dell’industria, ma anche quello dell’artigiano e il nostro. Tutte le aziende del gelato italiano, negli ultimi anni, si sono impegnate a ridurre l’uso di plastica, a ridurre e valorizzare gli scarti, ma chiaramente non basta.

A lanciare un segnale molto più vigoroso, qualche giorno fa, è stata Sammontana, l’azienda toscana del gelato fondata nel 1948 e che, nel corso egli anni, ha acquisito marchi come Tre Marie e Il Pasticcere.
Sammontana, nata per vendere gelato ai bambini di Empoli, sente ancora oggi il dovere di dedicarsi ai giovani consumatori, reinterpretando l’esigenza di regalare qualcosa alle generazioni future senza limitarsi a un gelato, ma a un modo di fare più sostenibile. Con questo pensiero l’azienda famigliare ha deciso di diventare società benefit. Essere società benefit significa introdurre nel proprio statuto sociale l’impegno per finalità di beneficio comune e per condividere in modo trasparente e continuativo l’impatto positivo della propria attività. Prodotti alimentari di qualità, crescita delle comunità in cui opera, modelli di produzione e commercio responsabili, economia a zero emissioni sono alcune delle voci che Sammontana dichiara di voler garantire nel proprio modello di business. A crederci, in questo progetto, non sembrano solo i più giovani della famiglia Bagnoli (proprietari di Sammontana Italia), ma anche e soprattutto i più grandi come Marco Bagnoli, vicepresidente di Sammontana, che durante la conferenza stampa di presentazione della società benefit era fortemente emozionato all’idea di un progetto di visione così orientata al futuro sostenibile.
Le azioni concrete sono già in essere: dalla riorganizzazione della mobilità dei dipendenti, fino al lavoro in atto con gli stabilimenti balneari che, acquistando i prodotti Sammontana, potranno ricevere attrezzature (frigo, sedie, tavoli) ottenuti da materie plastiche riciclate e provenienti dai centri di raccolta in Toscana.
C’è molto da fare ancora sulla sostenibilità dell’industria alimentare, ma immaginare di farne a meno è a sua volta insostenibile per altri motivi. In questo, le istituzioni hanno dei doveri, le aziende hanno delle sfide, noi consumatori abbiamo il compito di farci domande sulla bontà del cibo che vogliamo mangiare.

Cosa abbiamo capito del gelato confezionato?
L’Italia è una Repubblica fondata sul gelato confezionato. Negli anni in cui dicevamo addio alla monarchia, avanzavano il progresso e l’ice cream. L’industria alimentare italiana è a tutti gli effetti riconosciuta come un’eccellenza e il settore del gelato non viene certo meno. Siamo il Paese che ha inventato il cono e poi lo ha reso impermeabile per fare in modo che diventasse un prodotto industriale: l’Italia ha inventato il Cornetto e il gelato su stecco, ed è un Paese che mangia più gelato industriale di tanti altri. In generale, siamo il Paese del gelato, industriale e artigianale. Non serve fare la guerra, serve solo buon senso nella scelta, perché se fate storie sul gelato industriale e poi al banco della gelateria siete tra i fan del gusto nutella, allora vi meritate un’estate fatta di soli ghiaccioli. Quelli alla Cola.

Fun fact sul gelato confezionato

  • In Italia se ne consumano circa 3 kg all’anno a persona.
  • Il primo gelato industriale fu il Mottarello, lo stecco alla panna ricoperto di un sottile strato di cioccolato lanciato da Motta nel 1949 (ispirato dal primo gelato su stecco creato da Pepino, il Pinguino).
  • Il Barattolino Sammontana è stato il primo cestello gelato, nel 1959, pensato per il consumo domestico.
  • L’industrializzazione del gelato iniziò nel dopoguerra, grazie agli strumenti per la produzione di ice cream lasciati dell’esercito americano, a Genova.
  • La gelateria Spica di Napoli creò la prima versione di Cornetto, ideando una cialda rivestita da uno strato di olio, zucchero e cioccolato che la isola dalla crema, consentendole di rimanere croccante (era il 1961).

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