La pioniera del cicloturismo letterario in Italia è una bella scrittrice americana dagli occhi azzurri e dai capelli neri: Elizabeth Robins Pennell. Nell’autunno del 1884 va col marito Joseph da Firenze a Roma in triciclo. Poi pubblica, nel 1887, “An Italian Pilgrimage”, tradotto in Italia nel 2002 come “L’Italia in velocipede”.
Elizabeth Robins è nata a Philadelphia il 21 febbraio 1855. A otto anni perde la madre. Fino a diciassette, quando pubblicherà il suo primo articolo, studia in una scuola di suore. Alla fine degli anni Settanta monta in sella e pedala. La incoraggia a scrivere lo zio Charles Godfrey Leland, umorista e scrittore, amico di Oscar Wilde, tornato in America dall’Inghilterra nel 1880.
A Philadelphia, Elizabeth conosce Joseph Pennell, incisore, disegnatore, litografo, illustratore e scrittore, più giovane di lei di due anni. Pedalano insieme su un Coventry Rotary tandem tricycle. Lei cattolica praticante, lui quacchero. Il ciclismo li unisce.
Un prete rifiuta di sposare Elizabeth con un quacchero «per la sua rivolta contro la disciplina della chiesa». Joseph viene espulso dalla (Quaker) Meeting House «per la scandalosa relazione con una cattolica». Così il 4 giugno del 1884 i due si sposano in municipio.
Elizabeth pedala con entusiasmo, rara donna tra maschi. Ma non è una new woman. È abbigliata in perfetto stile vittoriano: pesante gonna lunga, blusa dalle maniche lunghe, fiocco e cappello. Non mostra un centimetro quadrato di pelle nuda, a parte il volto e le mani. E il decoro è garantito dalla presenza costante del marito. Elizabeth ha appena pubblicato una biografia di Mary Wollstonecraft, protofemminista inglese madre di Mary Shelley. I Pennell vanno a Londra, dove si radicano: torneranno in America trentatré anni dopo. Cambiano il triciclo con un più moderno modello Humber tandem tricycle. Lo provano sul per corso Londra-Canterbury sulle tracce dei Racconti di Canterbury di Chaucer. Poi Elizabeth scrive il suo primo libro di ciclismo: A Canterbury Pilgrimage (Pellegrinaggio a Canterbury, 1885).
Entusiasti di quella prima avventura, i Pennell decidono di fare un viaggio in triciclo da Firenze a Roma. Nell’autunno del 1884 caricano il triciclo sul treno e partono. Elizabeth Pennell con elegante ironia descrive le catastrofiche premure degli amici che giudicavano il viaggio una follia. I londinesi li avvertono che il triciclo sarebbe stato un fardello impossibile, che sarebbero rimasti preda di facchini e doganieri. Quando, il 13 ottobre, giunti a Firenze, entrano all’albergo Minerva, i fiorentini li mettono in guardia da pericoli maggiori: il colera, la malaria, i galeotti evasi, i parassiti.
Eppure, scrive Elizabeth, «non cambiammo niente nel nostro programma di viaggio. La mattina del 16 ottobre, la terza dopo l’arrivo a Firenze, con l’entusiasmo di sempre ce ne andammo via pedalando senza la polvere contro le pulci, senza il brandy, senza il chinino o l’estratto di manzo, insomma senza tutte quelle cose che gli amici premurosi ci avevano raccomandato di portarci dietro. Secondo la loro profezia ci stavamo gettando diritti nelle fauci della morte».
Quando partono, il sole inonda piazza Santa Maria Novella. Pedalano verso via Tornabuoni. Percorrono i lungarni. Scavalcano il Ponte Vecchio, di cui Joseph l’anno prima aveva eseguito un’incisione, la sua prima in Europa. Passano attraverso Porta San Frediano e si trovano sulla strada per Pisa. Hanno fissato al portabagagli le cartelle e due valigie, con i cappotti sui manubri e lo zaino sulle spalle di Joseph.
Non sono nemmeno usciti dalla città che il portabagagli si rovescia. Trovano un fabbro. Si fanno capire a gesti. La gente si affolla per vedere. Il loro era il primo triciclo a due posti che passava in Italia. «Ci salutavano con grida festose le donne, che intrecciavano la paglia tenendo grandi mazzi gialli appesi alla vita e che avevano intorno tanti bambini, i fornai scamiciati e bianchi di farina, i barbieri che tenevano in mano i rasoi e i loro clienti dai visi mezzo rasati e mezzo coperti di schiuma, e uomini con il bicchiere di vino alle labbra».
Con alacre impegno, il fabbro fissa il portabagagli e non vuole nulla. I Pennell ringraziano stupiti e ripartono seguiti dagli sguardi. Pedalano con vigore spinti dalla gioia di vivere all’aria aperta nella natura. Pernottano a Empoli e il triciclo viene parcheggiato nella stalla come un cocchio. Passano per Certaldo e Poggibonsi. Scalano le prime colline. Nella discesa ecco il primo brivido.
Da “I vagamondi – scrittori in bicicletta” di Claudio Gregori, 66thand2nd, 264 pagine, 18 euro