Il pezzo di carta del nostro cuoreGli adulti che sognano la maturità e i giovani bocciati che somigliano alla zia Guia

Ogni anno, di questi tempi, spuntano quelli che hanno i titoli di studio nella bio social e si slogano il collo su Venditti. Adesso però vedo una speranza nei ciucci figli delle mie amiche, incapaci di farsi promuovere nelle scuole più facili del mondo

Lapresse

Ogni giugno scopriamo cosa intendesse quel filosofo che duecento anni fa diceva che la maggior parte degli uomini vive vite di silenziosa disperazione. Poi, da luglio a maggio, rimuoviamo il concetto, pronti a vederlo di nuovo, al giugno successivo, sulle prime pagine dei giornali.

Ogni giugno arrivano gli esami di maturità, e i risultati scolastici dei puccettoni, e la scuola al centro del discorso pubblico come il resto dell’anno accade solo se qualche puccettone accoltella un insegnante, o se qualche giornalista decide di raccogliere like lamentandosi che durante una pandemia si faccia lezione da casa.

E, ogni giugno, noi scopriamo le drammatiche vite di adulti cui l’ultima cosa rilevante è successa trenta, quaranta, cinquanta anni fa. Ogni giugno scopriamo che la scuola è, per troppissimi adulti, un tema vibrante come dovrebbe esserlo solo per i sedicenni (che nella vita non hanno altro e soprattutto non hanno conosciuto altro).

Dovremmo saperlo sempre, perché esistono i social, che hanno avuto molte colpe ma almeno un’utilità: svelarci la stupidità degli umani con un’istantaneità che in altri secoli era inconcepibile. Tutto quel che ti toccava andare a cena con qualcuno per sapere di lui, annoiandoti poi fino all’ammazzacaffè, adesso lo scopri in due secondi: ha i titoli di studio nella bio social, non ti serve altro per sapere che in questo secolo non gli è accaduto nulla d’interessante.

La cosa più importante che gli è successa è che trent’anni fa ha preso buoni voti, è la cosa più importante e probabilmente l’unica, giacché i buoni voti di trent’anni prima sono il modo in cui sceglie di presentarsi trent’anni dopo. Dicci, caro aspirante opinionista vegliardo, cosa dovremmo sapere di te? Andavo fortissimo in ricerche sui Sumeri.

Gli adulti sognano l’esame di maturità, ti dicono cercando complicità mentre pensi che andrebbe chiamata la croce verde, gli adulti annuiscono fino a slogarsi il collo su Venditti che la matematica non sarà mai il suo mestiere, gli adulti contano sulla tua complicità, e tu non vuoi dirgli che veramente a te della maturità non importava niente, che avevi diciott’anni e come ogni diciottenne sano pensavi solo a scopare, che avevi diciott’anni in un secolo in cui dei diciottenni non importava a nessuno e gli adulti dell’epoca non rievocavano il loro esame di maturità.

Non lo dici perché sai che contraddire gli interlocutori noiosi ha il tragico effetto di allungare le conversazioni, e perché un po’ te ne vergogni: non sarai tu quella strana? Non sarà normale feticizzare i propri anni di scuola, i propri voti, il proprio argomento a piacere all’orale (il mio era Beckett, so che ci tenevate a saperlo), non sarai l’unica insensibile a non essertelo sognato proprio mai?

Poi arriva il giugno 2023. In cui gli adulti sono come sempre smaniosi di dirci che tema fecero, ma finalmente vedo adolescenti che mi somigliano. Sono i figli delle mie amiche, che – quasi tutti – si sono fatti bocciare. In tutta la mia vita adulta non avevo mai visto ragazzini bocciati, ero convinta che non si bocciasse più, e invece nel 2023 praticamente tutti. Uno solo s’è salvato per inspiegabile miracolo, e con la madre abbiamo convenuto che ha perso l’ultima occasione d’imparare qualcosa: «Lo aspetta una vita felice, nella grande prateria di ciucci e cani e capre come lui».

Un’altra amica, una di quelle il cui ciuccio dovrà invece ripetere l’anno, ha avuto la bella pensata di scrivere su Twitter della bocciatura del figlio. La poverina s’illudeva di commentare l’attualità: l’accoltellatore di professoressa bocciato, coi genitori che fanno ricorso (poi quando diventano Pietro Maso ci meravigliamo); gli sparatori di pallini promossi, con nove in condotta (io presi sette e tutte le materie a settembre per aver detto che Dante aveva copiato Venditti: sarò ancora in tempo a fare ricorso, o almeno a sparare alla prof?).

Non aveva fatto i conti con la dolenza media riflessiva. Selezione minima di risposte al suo tweet. «Non lasciatelo solo, non perdete il filo del dialogo…»; «Individua la sua passione e incanalala nella riflessione»; «Una sconfitta della famiglia»; «Passare attraverso delle sconfitte è quello che mi ha fatto diventare adulto. È una strada tortuosa, ma prima o poi va percorsa».

Lo so, vi sembra che non manchi niente: puntini di sospensione, rime interne, psicologismo d’accatto, frasi fatte. E ci sono anche quelli che parlano della bocciatura come chi torna dalle Bahamas dopo aver visto i delfini: «Ho conosciuto due uomini bocciati allo scientifico»; «Ricordo che un caro compagno di classe al liceo scientifico fu bocciato in seconda». Ma non sono i migliori. I migliori sono quelli che comunque vogliono dirti che sì, bocciati, ma coi buoni voti.

«In fondo anche Alberto Angela una volta fu bocciato…»; «Sono stato bocciato alle superiori. Mi sono dato una regolata, ho scoperto il piacere per lo studio. Mi sono anche laureato in giurisprudenza»; «Mio fratello bocciato due volte […] si è laureato, non contento di farlo qui si è trasferito in Giappone e ne ha presa un’altra anche qui»; «All’università ne ho conosciuti tantissimi di bocciati al liceo, davano esami a raffica di 30»; «Un ragazzo che seguivo con le ripetizioni, dopo una bocciatura meritata, ha preso il rimbalzo e adesso è tutto un 30 e lode»; «A volte le bocciature sono utilissime: dopo si impegnano così tanto che diventano medici e avvocati»; «Conosco un ragazzo che alle superiori è stato bocciato e oggi è ingegnere…»; «Guarda mio fratello bocciato due volte alle medie, e debiti sparsi durante le superiori. Ora è laureato e ha due studi medici».

Ecco, nessuno più di me è contrario al feticismo del titolo di studio e consapevole che, specie in un paese in cui anche un comodino può prendere 30 a un esame universitario, ogni volta che si va da un medico o da un avvocato o da un commercialista ci si deve fare il segno della croce e sperare che ci sia toccato in sorte uno capace, una garanzia che purtroppo i titoli di studio non ci danno.

Però non vorrei passare su un ponte costruito da uno che è riuscito a farsi bocciare due volte alle medie (cos’è, non riusciva a capire il quadrato dell’ipotenusa?), e anche i due studi medici, ecco, se me ne date le coordinate li evito volentieri.

Quanto ai ciucci delle mie amiche, tutti la zia Guia nel non riuscire a farsi promuovere neanche nelle scuole più facili del mondo, purtroppo e per fortuna tra trent’anni sarò morta. Per fortuna, perché nel frattempo saranno diventati adulti che costruiscono ponti che crollano, prescrivono medicine sbagliate, sbagliano arringhe. Purtroppo, perché sarà il loro turno, nel revisionismo con cui gli anni di ciucciaggine vengono dagli adulti rievocati come anni di studi matti e disperatissimi, e io mi perderò il loro spettacolo d’arte varia.