Intelligente, ma non si applicaL’altalenante sviluppo sostenibile (non solo ambientale) dell’Italia

L’Istat ha pubblicato la “pagella” per fare il punto sugli obiettivi dell’Agenda 2030 dell’Onu. Non peggioriamo solo nelle rinnovabili, ma anche nella percentuale della nostra popolazione esposta al rischio povertà. Resta evidente, inoltre, il gap a trecentosessanta gradi tra nord e sud, mentre il mercato del lavoro manda segnali confortanti

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Come se l’è cavata il nostro Paese negli ultimi dieci anni rispetto agli obiettivi definiti dall’Agenda 2030?  A chiederselo e a restituirci una risposta puntuale è l’Istat attraverso la sesta edizione del Rapporto sui Sustainable Development Goals (SDGs) presentato lo scorso 20 giugno.

Nel complesso lo studio testimonia che negli ultimi dieci anni, in fatto di sviluppo sostenibile (non solo dal punto di vista ambientale), nella nostra Italia diversi segnali positivi si sono manifestati, tant’è che il 58,6 per cento dei target dell’Onu risulta in miglioramento. Tuttavia, ci dice anche che se un 21,3 per cento resta stazionario, un buon 20,1 per cento segnala un peggioramento.

Per fare un primo esempio, tra le righe dei pochi organi di stampa che hanno dato spazio allo studio, si legge che miglioriamo sulla parità di genere ma peggioriamo in fatto di energia pulita. Andando a guardare nel dettaglio, alla voce dedicata alla parità di genere leggiamo che, dopo il picco della fase pandemica, lo scorso anno è sì calata la quantità di chiamate al numero di pubblica utilità (1522) contro la violenza e lo stalking, ma non è calato, anzi, è cresciuto, il numero di donne uccise prevalentemente tra le mura domestiche. 

Esattamente sono stati 119.3 in più rispetto al 2021. E ancora, se abbiamo segnato una crescita della quota di donne nei consigli di amministrazione delle società quotate in borsa (42,9 per cento, +1,7 punti percentuali) e negli organi decisionali (ventuno per cento; +1,9 punti percentuali) abbiamo poi ridotto quella nel parlamento nazionale scendendo al 33,7 per cento nel 2022 (-1,7 punti percentuali nei consigli regionali rinnovati nel 2023).

Uno dei dati che maggiormente colpiscono, in quanto rappresenta un punto di enorme fragilità anche in termini etici, è quello dell’esposizione al rischio povertà. Nel 2022, quasi un quarto della popolazione italiana ha affrontato il rischio di povertà o di esclusione sociale. Uno su quattro! Con le notevoli differenze territoriali che restano invariate: nel nord del Paese è a rischio meno del quindici per cento della popolazione, mentre nel mezzogiorno oltre il quaranta per cento. 2,7 milioni di persone, l’11,5 per cento, l’anno scorso pur lavorando risultava comunque nelle fasce di povertà.

Fa riflettere anche la continua decrescita della quota di bambini di 5 anni iscritti alle scuole dell’infanzia o al primo anno della scuola primaria: nel 2022 sono stati il 93,6 per cento contro il 96,3 per cento dell’anno precedente. Così come il dato di fatto che l’11,5 per cento dei ragazzi tra 18 e 24 anni è uscito senza diploma dal sistema di istruzione e formazione. L’Italia è lontana dall’Europa anche per il numero di giovani con un titolo di studio terziario (29,2 per cento tra i 25-34enni). In più, poco meno della metà delle persone di 16-74 ha competenze digitali almeno di base nel 2021. 

Conforta che il 2022 abbia fatto segnare un’importante ripresa del mercato del lavoro italiano. Il tasso di occupazione dei 20-64enni (64,8 per cento) sale, recuperando pienamente i livelli pre-pandemici. Il divario con l’Europa rimane tuttavia molto alto. E anche se il tasso di disoccupazione diminuisce di 1,4 punti percentuali, con progressi superiori per i giovani, rimangono ampi i differenziali territoriali, di genere e generazionali. Scende anche l’intensità di ricercatori per diecimila abitanti che registra per la prima volta una lieve battuta d’arresto, e anche la quota di lavoratori della conoscenza: dal 18,2 per cento, al 17,8 per cento. 

È sconfortante, invece, rilevare che riguardo al goal “Pace, giustizia e istituzioni”, la percentuale di misure in peggioramento è consistente, e non solo a causa dell’aggravarsi delle condizioni di affollamento delle carceri e della soddisfazione verso i servizi pubblici.

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