Sia la Repubblica che la Banca d’Italia hanno imposto ai loro dipendenti di partecipare al gay pride di Roma dell’11 giugno 2022; «La galassia LGBTQI+ è un impero multinazionale, forse il quarto del pianeta per volume d’affari, sostenuto da tutti i giganti fintech, da colossi come Nike e Adidas, Coca Cola, Walt Disney e da tutto il parterre des rois del turbocapitalismo»; i popoli occidentali sono ostaggio di governanti venduti all’élite globalista, che ha come scopo l’instaurazione di una sinarchia totalitaria che prelude all’instaurazione del regno dell’Anticristo; la riproposizione di principi neonazisti da parte dell’Ucraina è sostenuta e finanziata dal mondo ashkenazita, di cui sono esponenti molti leader politici e personaggi di spicco del globalismo, con l’apporto di movimenti neocon filosionisti, presenti soprattutto negli Stati Uniti e legati al Deep State americano; per colpa dell’introduzione dell’euro ogni italiano ne ha persi settantatremila; i medici hanno ucciso deliberatamente i contagiati per farci accettare mascherine, lockdown, coprifuoco.
Sono queste alcune delle narrazioni con cui Vladimir Putin prova a convincere gli italiani a stare delle sua parte, e che sono state raccolte in “Dezinformacija e misure attive”: le narrazioni strategiche filo-Cremlino in Italia sulla democrazia liberale e la “decadenza” delle società occidentali, ultimo research paper dell’Istituto Gino Germani di Scienze Sociali e Studi Strategici, a firma di Massimiliano Di Pasquale e Luigi Sergio Germani.
Come ricorda una nota del rapporto, bastano in realtà alcuni semplici dati statistici a demolire il mito della «Russia baluardo dei valori cristiani e della spiritualità contro la decadenza dell’Occidente ateo, secolarizzato e nichilista». In Russia ci sono infatti il doppio dei divorzi che in Italia. La Russia è uno dei Paesi al mondo in cui si ricorre di più all’aborto, con 53,7 ogni mille donne. In Russia ci si suicida quattro volte di più che in Italia. La percentuale media di persone affette da Aids-Hiv in Russia (1,2) è il quadruplo che in Europa (0,3). In Russia l’aspettativa di vita dei ragazzi è uguale a quella di Haiti.
Eppure, proprio questo mito viene rivenduto dalla propaganda putiniana contro quello che viene presentato come «Occidente collettivo». E la propaganda di Putin ha individuato proprio nell’Italia un ventre molle della civiltà liberale: scelta peraltro azzeccata, a vedere il modo in cui, alla faccia del preteso «pensiero unico mainstream», punti di vista pesantemente simpatetici per gli invasori dell’Ucraina sui media italiani continuano a imperversare in misura che il resto dell’Occidente neanche si sogna.
Secondo l’ipotesi del paper, sono molti i fattori storico-politici e culturali di lungo periodo per cui la società italiana è più permeabile all’influenza di narrative strategiche filo-Cremlino rispetto ad altri Paesi della comunità euro-atlantica. «Storicamente, intellettuali e politici italiani sono stati simpatizzanti della Russia. Pur appartenendo a blocchi militari opposti durante la Guerra Fredda, Urss e Italia hanno continuato a mantenere buoni rapporti economici e politici».
Il paper non vi si sofferma, ma in ciò un conoscitore di Storia non può non ritrovare la continuità dello Stato nazionale italiano con quel Ducato Sabaudo che riuscì a mantenersi indipendente appunto giocando i propri confinanti francesi e asburgici gli uni contro gli altri, secondo la celebre battuta per cui «i Savoia finivano una guerra dallo stesso lato in cui la avevano iniziata solo se avevano cambiato fronte un numero pari e non dispari di volte».
Il ministro degli Esteri e cancelliere tedesco Bernhard von Bülow disse che «un marito non deve essere geloso se sua moglie in una festa fa qualche giro di valzer con un altro cavaliere» per difendere il diritti dell’Italia a trescare con i soci della Triplice Intesa pur stando nella Triplice Alleanza, salvo poi il 24 maggio 1915 passare direttamente dall’altra parte. La Seconda Guerra Mondiale iniziò invece dal lato della Germania, salvo poi, anche là, cambiare fronte l’8 settembre. E nel dopoguerra il capo dei partigiani anticomunisti Enrico Mattei e la famiglia leader dell’imprenditoria italiana Agnelli furono in primissima a linea a combattere il comunismo in casa ma a sfruttare poi al contempo ogni possibilità di fare affari con l’Urss, dall’Eni a Togliattigrad. Se vogliamo, è anche lo schema di Silvio Berlusconi: tra il «siete solo dei comunisti» e il «voleva mettere al potere a Kyjiv gente per bene» sull’aggressione neo-staliniana all’Ucraina del vecchio agente del Kgb Putin.
Ma a ciò, ricorda il paper, si è poi aggiunta «l’enorme influenza culturale del Partito Comunista Italiano (Pci) sulla società italiana durante la Guerra Fredda». Così, «i sentimenti antiamericani hanno permeato il dibattito politico, anche se la politica estera italiana è rimasta atlantista e filoamericana. Come è stato sottolineato da Elena Aga-Rossi e Victor Zaslavsky, il Pci è riuscito a diffondere la convinzione dell’imminente collasso del capitalismo e a collegare questa convinzione al mito dello Stato proletario sovietico facendo leva sui sentimenti anticapitalisti e antiamericani diffusi negli ambienti fascisti, cattolici, socialisti e comunisti italiani. Con il passare del tempo, l’idealizzazione dell’Unione Sovietica è diminuita e il Partito comunista italiano ha preso le distanze dal regime sovietico, ma la denigrazione degli Stati Uniti è rimasta una caratteristica importante del discorso politico e culturale del partito. L’antiamericanismo continuò a definire l’identità comunista e a permeare ampi settori della cultura italiana fino al crollo dell’Unione Sovietica. La propaganda antiamericana diffusa dal Pci ha plasmato atteggiamenti e visioni del mondo anti-occidentali e ha mantenuto una forte presa nella società italiana dopo il 1991, in particolare tra gli intellettuali».
Poi, «nei primi anni ’90 inizia a svilupparsi – in un primo momento nell’ambito dell’estrema destra italiana – il fenomeno del rossobrunismo, una sintesi ideologica di fascismo e social-comunismo, caratterizzata da estremo nazionalismo e “sovranismo”, lotta alla globalizzazione e al capitalismo, antiamericanismo, ostilità nei confronti dell’Unione europea, tradizionalismo e critica radicale alla “decadenza” delle società liberal-democratiche dell’Occidente».
Questa area avvia una intensa collaborazione con intellettuali e politici ultranazionalisti russi, tra cui il filosofo e geopolitico neo-Eurasista Aleksandr Dugin, che dopo il collasso del sistema sovietico si reca con frequenza nel nostro Paese, diventando un punto di riferimento per la destra radicale e la nascente galassia rossobruna.
«Dopo l’ascesa di Vladimir Putin nel 1999 – e soprattutto dopo la svolta del Cremlino nella seconda metà degli anni 2000 verso una politica estera più assertiva, nazionalista e di contrapposizione all’Occidente – la galassia rossobruna cresce e acquisisce un profilo sempre più marcatamente filorusso e putiniano. Il rossobrunismo diventa un fenomeno politicamente rilevante a partire dal 2012-13, e le idee di quest’area entrano nei dibattici politici e mediatici mainstream, grazie all’onda populista-sovranista che allora sconvolge il sistema politico italiano».
Frutto un po’ dello stesso contraccolpo della paura del jihadismo e della crisi economica mondiale – ma innescato su un tronco nazionale differente che è quello della tradizione diplomatica machiavellico-sabauda piuttosto che dell’antiamericanismo comunista e fascista – «allo stesso tempo, a partire dalla seconda metà degli anni Duemila si afferma in Italia un’altra scuola di pensiero filo-russo, più pragmatica e moderata: quella degli intellettuali e politici Russlandversteher. Le misure attive di Mosca in Italia nell’era Putin mirano a rafforzare sia il rossobrunismo sia la corrente Russlandversteher. Ma a differenza dei rossobruni, i Russlandversteher italiani non attaccano l’Occidente, la Nato e l’Ue, ma affermano che l’Italia, al fine di tutelare i propri interessi strategici (specie in campo economico ed energetico) deve, pur appartenendo all’Alleanza Atlantica, coltivare un rapporto speciale con la Russia e rafforzare la collaborazione con Mosca in tutti i campi. I Russlandversteher, come i rossobruni, ammirano Putin come leader politico e statista. Quando scoppia la crisi ucraina nel 2013-2014 l’orientamento Russlandversteher occupa già una posizione dominante nel mondo accademico e nella comunità di esperti di politica estera in Italia». Prima dell’attacco all’Ucraina del 2022 la posizione mainstream in Italia è piuttosto la loro, e tuttora questa tendenza ha un forte spazio nel dibattito.
Si potrebbe poi forse aggiungere un ulteriore filone che, pur finendo per alimentare a sua volta narrazioni filo-Putin e anche antiamericane, viene in realtà da un certo filone complottista tipico della cultura statunitense, dal movimento No Vax a QAnon. Roba che è arrivata da noi attraverso i social, e di cui il paper non indaga esplicitamente il pedigree ideologico, ma di cui cita come importante rappresentate l’ex-nunzio apostolico negli Stati Uniti Carlo Maria Viganò.
Fu lui in particolare a sostenere che i medici uccidevano i pazienti per giustificare la «dittatura sanitaria», e a parafrasare Donald Trump sostenendo che oltre al Deep State esiste una Deep Church. Secondo Viganò, Trump sarebbe un difensore dei figli della luce, mentre i suoi avversari politici sarebbero figli delle tenebre che ogni giorno lottano per «demolire la famiglia e la nazione, sfruttare i lavoratori per arricchirsi indebitamente, fomentare le divisioni intestine e le guerre, accumulare il potere e il denaro”».
In particolare, il messaggio inviato da Viganò lo scorso 15 marzo in occasione della costituzione del Movimento Internazionale dei Russofili a Mosca è di per sé una sorta di summa di questo tipo di complottismo pro-putiniano: «La crisi presente ci mostra il crollo di un Occidente corrotto in cui non vi è un Papa Leone Magno che ne salvi le sorti ma che ha ancora un destino se ritrova la propria missione provvidenziale e riconosce ciò che l’accomuna alla missione della Russia. Gli eventi recenti ci hanno mostrato che l’ateismo materialista che devastò l’impero russo e il mondo dal 1917 come annunciò la santissima Vergine Maria a Fatima si è oggi unito al liberalismo nell’ideologia globalista che è alla base del delirante progetto del Nuovo Ordine Mondiale. Un progetto infernale, come ha giustamente evidenziato in un suo recente intervento il presidente Vladimir Vladimirovich Putin, in cui l’odio per la civiltà cristiana vuole creare una società di schiavi asserviti alle élite di Davos. Una società distopica senza passato e senza futuro, senza fede e senza ideali, senza cultura e senza arte, senza padri e madri, senza famiglia e Stato, senza maestri e guide spirituali, senza rispetto per gli anziani e speranze per i nostri figli. Non possiamo stupirci che dopo aver scristianizzato il mondo occidentale, questa élite consideri la Russia un nemico da abbattere. La Federazione Russa si pone innegabilmente come ultimo baluardo della civiltà contro la barbarie e raccoglie attorno a se tutte quelle nazioni che non intendono sottostare alla colonizzazione della Nato, dell’Onu, dell’Oms, della Banca Mondiale, del Fondo Monetario Internazionale e di quella congerie di fondazioni che hanno come scopo l’indottrinamento delle masse, la manipolazione dell’informazione, la creazione di primavere colorate per destabilizzare i governi legittimamente eletti e seminare caos, guerre e miseria come instrumentum regni. Alla recente farsa pandemica condotta con metodi criminali […] sono seguite nuove emergenze tra cui la guerra Ucraina provocate deliberatamente con lo scopo di distruggere il tessuto sociale ed economico delle nazioni, decimare la popolazione mondiale, concentrare il controllo nelle mani di un’oligarchia che nessuno ha eletto e che ha perpetrato un vero e proprio colpo di Stato mondiale di cui prima o poi sarà chiamata a rispondere dinnanzi al mondo. I teorizzatori di questi colpi di stato hanno nomi e volti, da iniziare con George Soros, Klaus Schwab e Bill Gates».
Ma quella di Viganò non è che una figura tra tante, anche se particolarmente clamorosa. Lo studio, appunto, «si occupa delle narrazioni strategiche relative al tramonto dell’Occidente “decadente e nichilista” e al fallimento delle democrazie liberali diffuse in Italia da media russi attivi nel nostro Paese, da media autoctoni filo-Cremlino e da opinion maker influenzati dal Cremlino, e analizza la loro evoluzione anche in relazione agli eventi chiave che hanno interessato la politica internazionale nell’ultimo decennio quali la crisi migratoria, il terrorismo jihadista, la pandemia da Covid-19, la guerra in Ucraina».
Nella parte iniziale del lavoro viene spiegato il concetto sovietico di «misure attive», che è essenziale per comprendere la strategia di influenza e di guerra cognitiva perseguita dal Cremlino nell’era Putin nei confronti delle democrazie occidentali.
Inoltre, come già ricordato, vengono appunto esaminati i principali fattori storico-politici e culturali che hanno reso la società italiana più permeabile all’influenza delle narrazioni strategiche filo-Cremlino. La seconda parte dello studio analizza la natura del regime putiniano e la sua ideologia, approfondisce il concetto di Occidente Collettivo e passa in rassegna le quattro macro-narrazioni storicamente utilizzate dal Cremlino per attaccare l’Occidente e la democrazia liberale: le élite contro il popolo; i valori minacciati; la sovranità perduta; l’imminente collasso. Nella terza parte il paper analizza le principali narrazioni sul tema del tramonto dell’Occidente e del fallimento dell’ideologia liberale diffuse dalla versione italiana di Geopolitika.ru, da Sputnik Italia e da altri «media alternativi» italiani che amplificano le narrative strategiche della propaganda russa.