Non è certo la prima cannonata del Parlamento europeo all’Ungheria di Viktor Orbán, e molto probabilmente non sarà l’ultima. Questa volta, però, il bersaglio è grosso: la presidenza di turno del Consiglio dell’Ue, che dovrebbe spettare a Budapest nella seconda metà del 2024, e che secondo l’Eurocamera il governo ungherese non sarebbe in grado di ricoprire in modo credibile.
Bruxelles accusa Budapest
Le preoccupazioni degli eurodeputati sono espresse in una risoluzione non legislativa, approvata a larga maggioranza nella sessione plenaria ridotta celebratasi a Bruxelles: 442 i favorevoli, 144 i contrari e 33 gli astenuti. Tra gli italiani si oppongono solo i parlamentari di Lega e Fratelli d’Italia, più qualche astensione e un voto contrario tra quelli di Forza Italia (in disaccordo con la linea del Partito popolare europeo, che ha sostenuto la risoluzione).
Le accuse al governo di Orbán includono l’adozione di leggi senza un sufficiente controllo parlamentare e consultazione pubblica, l’abuso dello stato di emergenza, gli assalti ai diritti delle persone Lgbti e a quelli degli insegnanti. Ma anche le campagne anti-Ue dell’esecutivo di Budapest, tra cui spicca quella contro le sanzioni imposte alla Russia, dipinte come bombe sull’economia nazionale.
Non mancano neppure i riferimenti alla corruzione sistemica, ai decreti governativi usati per modificare novantacinque volte il bilancio statale nel 2022, alle intimidazioni della polizia verso determinate aziende considerate «strategiche», per portarle sotto il controllo governativo.
Il risultato complessivo, a giudizio del Parlamento, è che i «tentativi deliberati e sistematici del governo» in questa direzione hanno ulteriormente deteriorato il rispetto dei valori dell’Ue nel Paese.
Tutto ciò, nonostante le istituzioni comunitarie abbiano già adoperato la mano pesante con Budapest per i rischi di violazione dei valori fondamentali dell’Ue e la corruzione dilagante nel Paese: l’Ungheria è sottoposta dal 2018 alla procedura di Articolo 7, che potrebbe portare alla sospensione dei suoi diritti in seno all’Unione, tra cui quello di voto, e soprattutto ha subito il congelamento di oltre la metà dei fondi europei che le spettano fino al 2027: 6,3 miliardi.
Per questo l’Eurocamera, «mette in discussione la possibilità che l’Ungheria sia in grado di adempiere in modo credibile» al compito di presiedere il Consiglio dell’Ue, a cui chiede di «trovare quanto prima una soluzione adeguata».
Una strada complicata
Il testo della risoluzione non invoca in maniera diretta la sospensione della presidenza ungherese, ma di fatto lo suggerisce, ricordando anche che «il Parlamento potrebbe adottare opportune misure» qualora non venisse trovata una soluzione.
La vaghezza della formulazione non aiuta a chiarire i contorni di una minaccia inedita nella storia dell’Unione europea e che solleva parecchi dubbi a livello giuridico tra gli esperti.
In primis perché il Parlamento non ha teoricamente alcun potere di influenzare la rotazione stabilita per la presidenza del Consiglio, che spetta per sei mesi a turno a tutti i ventisette Stati membri, suddivisi in gruppi di tre chiamati a collaborare su un periodo di un anno e mezzo.
Il calendario attuale, stilato nel 2016, è valido fino alla fine del 2030. È accaduto in passato che l’ordine fosse per qualche motivo invertito, ma mai su richiesta dell’Eurocamera.
L’«aggancio» legale invocato dai parlamentari è però la necessità di difendere lo Stato di diritto in tutti i Paesi dell’Ue, mentre le «opportune misure» da adottare se la rotazione seguisse il suo corso potrebbero tradursi in una sorta di boicottaggio della presidenza ungherese.
Come ha spiegato al quotidiano Politico, l’eurodeputato dei Verdi/Ale Daniel Freund, l’Eurocamera potrebbe rifiutarsi di ospitare i ministri ungheresi nei suoi dibattiti e soprattutto bloccare i processi legislativi durante i sei mesi con Budapest al timone: un grosso problema, visto che la maggior parte degli atti legislativi dell’Ue devono essere approvati sia dal Consiglio che dal Parlamento.
Un’altra reazione potrebbe riguardare atti prettamente simbolici: dare la parola a giornalisti dissidenti e oppositori ungheresi o evitare ogni momento di incontro pubblico con i rappresentanti del governo, come ha affermato l’eurodeputata liberale olandese Sophie in ‘t Veld, cofirmataria della risoluzione.
Per scongiurare ogni possibile «rappresaglia» parlamentare, il Consiglio ha diverse possibilità a sua disposizione, spiega su Twitter Alberto Alemanno, professore di diritto dell’Unione all’École des hautes études commerciales di Parigi.
La prima prefigura una decisone collegiale degli altri Stati membri dell’Ue, che votando a maggioranza qualificata possono modificare l’ordine delle presidenze, posticipando quella dell’Ungheria.
La soglia del cinquantacinque per cento degli Stati con almeno il sessantacinque per cento della popolazione totale dell’Unione, necessaria per approvare la decisione non è però cosi semplice da raggiungere, anche se la Germania potrebbe guidare il fronte: «Dubito che l’Ungheria possa esercitare una presidenza di successo», ha detto di recente la ministra tedesca per l’Europa Anna Lührmann.
Le altre opzioni spettano invece a Spagna e Belgio, che formano insieme all’Ungheria il «trio» delle presidenze dalla seconda parte del 2023 alla fine del 2024.
I governi di Bruxelles e Madrid, secondo Alemanno, potrebbero decidere di dirigere nei rispettivi semestri le discussioni relative allo stato di diritto, impedendo che le presieda l’Ungheria. O persino «dividersi» il semestre ungherese ampliando a nove mesi le loro presidenze, anche se in questo caso servirebbe il (difficile) assenso di Budapest.
Tutte le ipotesi, comunque, richiedono una presa di posizione decisa da parte degli omologhi di Viktor Orbán, per una misura senza precedenti che avverrebbe tra l’altro in un momento molto delicato: la presidenza ungherese cade immediatamente dopo le elezioni europee del 2024, e precede quella polacca. Un doppio semestre cruciale per gli equilibri futuri dell’Unione.